In occasione dell’uscita della Deluxe Limited Edition de Lo Strano Caso del Dottor Ratkyll e Mr.Hyde, a Lucca Comics i due autori Bruno Enna e Fabio Celoni hanno raccontato i retroscena della realizzazione del loro adattamento disneyano del romanzo di Stevenson.

Com’è nata l’idea di Dr. Ratkyll e Mr. Hyde?

Celoni: Io e Bruno ci conosciamo da molti anni e collaboriamo in Disney da molto tempo, abbiamo fatto anche Dylan Dog assieme; è molto bello lavorare con lui, abbiamo una bella intesa umana e artistica. L’avventura di Ratkyll e Hyde è iniziata sulla scia dell’esperienza di Dracula di Bram Topker, proposta che ci è stata fatta da Valentina De Poli e che ci ha lasciato piuttosto increduli, era un sogno che si realizzava; a parte tornare a lavorare in Disney dopo molto tempo, era la possibilità di fare qualcosa di diverso, non una parodia ma la trasposizione di un romanzo così particolare, con temi forti come il sangue e la morte. Dopo quella storia abbiamo pensato di sviluppare una serie di queste rivisitazioni letterarie/gotiche e la seconda scelta è stata Dr. Jekyll e Mr.Hyde.

Quanto c’è in ognuno dei personaggi negli autori? Quale senti di più nelle tue corde?

Celoni: Io mi sono sentito subito a casa disegnando questa storia, un po’ perché mi sento diviso in due mondi differenti, lavorando su “Topolino” (prima con storie canoniche) e dall’altra parte lavorando su Dylan Dog con tinte cupe e un uso dei neri completamente diverso, ho dovuto imparare a convivere con questa doppia vita.
Poi mi piace sperimentare, vivere esperienze diverse, e avere l’opportunità di lavorare su due testate così importanti e diverse è una gioia.

Ratkyll Hyde DeluxeAvete trovato delle difficoltà a rispettare i canoni disneyani con una storia di questo tipo?

Celoni: Non era facile trasporre a livello grafico disneyano tutta una serie di ombre, come quelle che poi si nascondevano nell’opera di Stevenson. Chiaramente avevo letto il libro, ho visto i film e letto le trasposizioni a fumetti che ne sono state tratte, adoro in particolare quelle di Battaglia e Mattotti.
Ma ho avuto la possibilità di disegnare delle scene che non avrei mai pensato di realizzare, non si vede tutti i giorni Pippo inseguire Topolino brandendo un’ascia.

Enna: Entrambi siamo grandi appassionati di Disney quindi, anche se alcune cose non sono scritte nere o su bianco, siamo noi i primi a non voler tradire una tradizione con cui siamo cresciuti. Le tradizioni vanno sempre rinnovate per farle continuare a vivere, ma va fatto mantenendo la loro essenza. Non è stato uno sforzo non uscire da questi paletti, so perfettamente dove posso arrivare, oltre quel limite del burrone non è più Disney.
Tutto torna al discorso di Dracula: in quel caso c’era il problema della chiave d’interpretazione, perché queste parodie non scimmiottano il romanzo, ma lo devono reinterpretare in chiave disneyana. Quando inizio a scrivere queste sceneggiature mi pongo dei problemi rispetto al pubblico che dovrà leggerlo. In Dracula ho calcato la mano umoristicamente, mentre qui ho mantenuto un equilibrio tra scene umoristiche e momenti con più tensione, il lettore un po’ doveva inquietarsi assieme ai personaggi; non è semplice però in questo mi aiutano i personaggi della Disneu che ti portano a non superare certi limiti.
Poi sapevo chi avrebbe fatto i disegni e questo mi tranquillizzava, lui mi mandava i suoi schizzi e io mi esaltavo.

Per la colorazione hai utilizzato il digitale o maniera tradizionale tempere?

Celoni: Le tavole originali sono in bianco e nero, realizzate con un disegno a china pulito, inchiostrato interamente a mano, con un pennello. Il mio tratto è piuttosto sporco, ma mi piace mantenere questo stato che ti lascia la possibilità di interpretare di nuovo con la china, disegnare ulteriormente.
Quando l’inchiostro è terminato pulisco la tavola con una gomma e queste sono le tavole come sono consegnate alla redazione.
Per la versione a colori apparsa su “Topolino” ho collaborato con Mirka Andolfo: abbiamo fatto molte prove, perché anche come colore volevo riprendesse le atmosfere della Londra ottocentesca, tenendo conto del tipo di carta di “Topolino”, del formato…
L’albo in bianco e nero è un altra cosa ancora, ho preso le tavole originali e le ho colorate in digitale applicando questo retino digitale, che richiamasse le vecchie illustrazioni del libro di Stevenson, ma avesse anche uno stacco, una differente anima rispetto alla storia pubblicata su “Topolino”.

Come avete affrontato la trasformazione tra topo e papero?

Celoni: Da parte mia la scena della trasformazione ha fatto nascere alcune domande su come avrebbe reagito il pubblico. È stato studiata in modo che non sia fastidiosa, non spaventi, ma che crei un senso d’inquietudine. Poi ci sono le due icone disenyane per eccellenza che coesistono nelle stesse tavole.
Non mi sentivo più un autore ma uno che vuole continuare a leggere per vedere come va a finire.

Enna: Abbiamo deciso di non limitari al dualismo bene/male, ma tra istinto/ragione; da quel momento in poi l’attribuzione dei ruoli è stata quasi naturale. Il ruolo più difficile è stato quello di Pipperson, il motore della vicenda, perché non è proprio Pippo.

Fabio CeloniVi capita di leggere una storia desiderando di averla voluta scrivere/disegnare voi?

Celoni: Certo, capita di trovare soluzioni grafiche a cui sarei voluto arrivare io, ma non solo in Disney. Rimango colpito, ma è un’invidia sana, mi viene da dire “Accidenti, non pensavo che una cosa si potesse risolvere in questo modo”.
Io ho una sorta di venerazione per Alberto Breccia, che ha poco a vedere con Disney, però penso che un po’ delle tracce del suo stile si vedono in quello che faccio in Disney: il mio non è un disneyano canonico, ma ci sono molte influenze, anche a livello inconscio tutto quello che leggo mi rimane dentro.

Enna: Io sono onnivoro, mi piacciono un po’ tutti e  erco di rubacchiare; in Disney ci sono autori storici come Scarpa, Cimino che sono sempre un riferimento. Ma anche nel presente ci sono miei colleghi attuali degni di nota, per lavorare su Topolino bisogna essere bravi. Io sono sempre un po’ geloso di tutto, li ammiro.

Ti è capitato di rileggere una storia e dire “se non l’avessi fatta era meglio?”

Enna: Può capitare, essendo un lavoro che facciamo a tempo pieno. Tutto quello che facciamo viene pubblicato ma esprime il nostro modo di vivere, e la vita ha alti e bassi; durante il processo creativo gli alti e i bassi della vita si possono intravedere tra le righe, tra le vignette.
Ecco, avrei potuto fare di meglio, l’avrei riscritta, ma cerco sempre di sentirmi soddisfatto, sono molto indulgente con me stesso.

Celoni: A me capita praticamente sempre di voler ridisegnare una storia, sono molto poco indulgente nei confronti del mio lavoro, anche dopo una settimana che l’ho consegnata. Lo vedo come uno stimolo a fare meglio, ma è anche un po’ frustrante perché non riesco a sedermi mai, ma non si può continuare a cesellare un disegno in eterno. Ci sono delle date di scadenze implacabili.

Quanto vi rispecchiate nell’iconografia dell’artista preso dall’impeto?

Celoni: È un lavoro creativo, non meccanico, ma va fatto tutti i giorni, ed è la passione che ti fa andare avanti a lavorare seduto al tavolo anche quando fuori c’è il sole e vorresti uscire.

Enna: Io cerco di darmi degli orari d’ufficio, però effettivamente soprattuto quando c’è una scadenza le idee iniziano a girare nella testa, non riesco a farle quagliare e tutto improvvisamente si sblocca.

Bruno EnnaHo trovato molto particolare il fatto che il fumetto sia diviso in capitoli, proprio per sottolineare l’origine letteraria della storia. Ci puoi parlare di questa scelta?

Enna: La suddivisione in capitoli vuole rispettare i capitoli del romanzo, ogni volta mi sorprendevo nel suddividere la storia in tante sezioni, che celavano un finale da thriller. Mentre lo leggevo mi immaginavo lo stupore di chi l’ha letto la prima volta, quando ancora non tutti conoscevano la figura di Dr. Jekyll e Mr. Hyde; ho voluto mantenere questa cosa anche se ora tutti “sanno già chi è l’assassino”.

Il tratto di Fabio è molto particolare e riconoscibile, con linee curve e forme deformate. C’è un motivo dietro questa tua scelta stilistica?

Celoni: Non so neppure quanto sia una cosa voluta. Mi è capitato di tornare in un paesino dov’ero stato da bambino e da allora non ci ero più ritornato; lì ho trovato degli archi, delle linee, qualche scorcio, che probabilmente avevano influenzato il mio gusto. Lì ho capito che tutto quello che vediamo, non solo disegnato o al cinema, viene trasformato alchemicamente nel nostro lavoro.
Non saprei dirti come e perché il mio disegno ha queste curve, ti potrei fare un elenco di artisti che mi piacciono, anche nella pittura o nell’architettura, Gaudì ad esempio, o registi che sperimentano inquadrature virtuose come Hitchcock, Kubrick, Burton… È l’insieme delle cose che fai a formare il tuo disegno.
Poi annualmente c’è un’evoluzione in ciò che faccio: se guardo le mie primissime cose disneyane ci vedo un’impronta più Carpiana, particolare considerando il mio disegno morbido, gommoso. Poi con queste ricerche mie, o esperienze che ho vissuto, questa cosa si è modificata nel tempo.