In occasione dell’uscita di Infierno 2 pubblicato da Rizzoli Lizard, i due autori Tito Faraci e Silvia Ziche hanno incontrato i lettori a Lucca Comics per raccontare qualche retroscena sulla realizzazione del volume.

Com’è nata l’idea e quali sono state le principali difficoltà nel realizzare una sceneggiatura priva di dialoghi?

Faraci: È la stessa domanda che mi ponevano 15 anni fa. È una sceneggiatura difficilissima, in cui ho fatto un sacco di descrizioni. Non c’è la percezione che la sceneggiatura del fumetto sia costruire delle scene; la parte dei dialoghi è solo una parte, e neanche la più grande, la più importante. Ci sono un sacco di parole che il lettore non leggerà e che riguardano la progettazione della scena.

Cos’è cambiato nei 15 anni che separano questo secondo capitolo dal primo?

Faraci: Malgrado le mie lamentele che non ci siano elementi critici nel mondo del fumetto, ora c’è un po’ più coscienza di cosa sia la sceneggiatura, la maggior parte dei lettori non lo vede come uno strano elemento misterioso e sa che anche le sequenze in cui non ci sono dialoghi o didascalie, anche queste vignette sono state sceneggiate da qualcuno. Il lavoro da parte nostra è stato lo stesso, ma attorno a noi in questi anni è cambiata la percezione di quello che stiamo facendo, il nostro lavoro è stato messo un po’ più a fuoco. Visto che siamo a tema Inferno. Che battuta terribile, ringraziate che non ci siano delle battute scritte.

InfiernoCom’è avete comunicato tra voi per realizzare il volume?

Ziche: All’inizio del volume è presente uno scambio Whatsapp che descrive i nostri dialoghi, anche se in modo un po’ romanzato. C’era un periodo in cui avevo problemi perché stavo traslocando e Tito mi scriveva nei momenti più impensabili.

Faraci: Io invece mi trovavo in Sardegna e mentre gli altri andavano al mare io stavo in veranda a scrivere e lavorare, con in sottofondo il rumore del mare, mentre Silvia era immersa in un trasloco. Le chiedevo pareri e lei mi diceva di aspettare perché era alle prese con gli operai.

Come mai avete lasciato passare 15 anni dal primo Infierno?

Faraci: In un fumetto come questo non può fare prima uno la sceneggiatura e l’altro la disegna, è qualcosa che si fa assieme, ci si sente, se ne parla, ci si confronta e si cambia fino all’ultimo momento, quindi bisogna trovare un momento in cui entrambi hanno tempo da dedicarci. Un conto è fare una sceneggiatura per “Topolino”, ma per trovare la condizione di lavorare assieme nello stesso periodo non è così facile.
Poi bisogna anche trovare l’editore giusto che ci dia le condizioni per lavorare bene, per avere un prodotto come piace a noi; volevamo un editore con cui fosse possibile avere un contatto diretto, com’è avvenuto con lo staff di Lizard.
Poi un caso fortunato ha giocato a favore non nel momento della scrittura, ma quando Silvia ha messo mano ai disegni: Silvia ha traslocato più vicina a casa mia e poteva farmi vedere i disegni più semplicemente. Si è creato un gruppo di autori, una coppia che era come una sola persona.

Quei 15 anni si vedono tutti, sia graficamente che dal punto di vista strutturale. Siete consci della notevole diversità tra le due storie?

Faraci: Sì, perché come dice Stephen King, la cassetta degli attrezzi si è riempita, quindi ho trovato alcune nuove soluzioni per raccontare senza parole, esigenza che nel primo Infierno mi ha messo in difficoltà ma qui conoscendo più trucchi sono riuscito a lavorare con più dimestichezza. Forse c’era più difficoltà di lettura nel primo.
Per quanto riguarda i disegni in realtà ho ritrovato un segno che mi è sembrato molto coerente, prima mi sono messo ad aprire pagine avanti e indietro a caso e non percepivo la differenza. Poi c’è questa ossessione umoristica mia e di Silvia su alcune cattiverie… secondo me siamo rimasti uguali, però mi piacerebbe sapere l’opinione del lettore.

Ziche: Sì, anche per me è simile e diverso. Anch’io non riesco a capire se è cambiato il segno, anzi, vedo quasi migliore i primi miei disegni, perché quando è passato meno tempo mi rendo conto di più cose che avrei voluto cambiare. Il mio lavoro è meno progettuale di Tito, io lavoro in maniera emotiva, soprattutto se disegno una storia costruita da un’altra persona, mi occupo più di restituire le sensazioni che la sceneggiatura mi ha passato.
Mi sono resa conto che era cambiato qualcosa dal primo al secondo quando ho visto le scansioni assieme per mandarle all’editore: ho aperto le due cartelle e avevo tutte le icone davanti a me, ma mentre le icone del primo erano grigio chiare quelle del secondo erano tutte fitte fitte fitte, ricche di disegno, e mi ha stupito perché non me n’ero resa conto. Ero consapevole delle difficoltà mentre lavoravo, ma non mi ero resa conto dell’intensità del disegno differente.

Il rapporto tra di voi invece è cambiato?

Faraci: Quando ho fatto il primo Infierno ero terrorizzato da Silvia perché lei era cattivissima e ne ero intimidito. Il progetto iniziale è stata una buona intuizione, perché avevamo già fatto un po’ di cose assieme (il successo più grande erano state le Angus Tales) ma non eravamo ancora una coppia di autori come siamo considerati oggi.
Ora invece c’è maggior affiatamento e questo mi ha permesso di inserire in Infierno situazioni che ho ideato sapendo che Silvia si sarebbe divertita a rappresentare, creando degli spazi in cui lei potesse inserirci il suo umorismo e il suo disegno, che ormai so come funziona. Questa è stata una sceneggiatura più ardua, ma più ti conosci meglio e più ti viene naturale allargarsi.

Silvia, Tito ti ha mai chiesto di modificare qualcosa?

Ziche: Ci sono stati alcuni elementi che ognuno ha chiesto all’altro di modificare, ma si discute, siamo due persone e questo lo consideriamo un lavoro comune, perciò ci sono intrecci tra i due ruoli che non sono poi così separati.

Silvia, com’è stato costruire pagine in cui lo sceneggiatore non ha inserito alcun dialogo?

Ziche: È molto più difficile disegnare una storia senza le parole, perché se prendete un qualsiasi fumetto vi accorgerete che è delegata ai dialoghi quasi la totalità degli snodi narrativi della storia. Il disegno è di supporto alla spiegazione che arriva dai dialoghi. In questa situazione invece si deve capire tutto dal disegno e dalle espressioni dei personaggi, richiede un maggior impegno, disegnando di più e concentrarsi maggiormente sulle espressioni dei personaggi, altrimenti la comprensione della lettura si intoppa e diventa difficile proseguire.
Non ci sono neanche onomatopee, non c’è assolutamente nulla; voi potete immaginare le musichine come nel cinema muto, quella è stata la cosa a cui mi sono ispirata… ma nel cinema muto almeno c’erano i cartelli per far proseguire la storia, qui non c’erano nemmeno quelli.
Comunque bisogna puntare sul’espressività dei personaggi, e non mi riferisco solo alle espressioni ma anche alle mani e al resto del corpo, e l’ho usata esagerando, ispirandomi proprio al cinema muto. Sicuramente c’è un approccio diverso quando c’è un dialogo e quando non c’è, come in questo caso.

Faraci: Sia da parte mia che di Silvia c’è stato un liberarsi dall’ossessione che il lettore capisca. È stata una paura preliminare, poi siamo arrivati a quella cosa per cui ci siamo detti: questa cosa per me funziona, spero che il lettore la capisca.
Per un autore di fumetto popolare come me è difficile liberarsi da questa cosa.

Ti ricordi come avvenne la genesi di questa storia completamente muta?

Faraci: L’idea di Infierno è venuta a Silvia, mi ricordo ancora la telefonata che mi ha fatto. È nata per una collana che curava Daniele Brolli per la casa editrice Phoenix, voleva fare questa collana di libri senza parole, quindi aveva scelto degli autori che accettassero questa sfida. Mi ricordo che un giorno stava sfogliando un numero di Spawn, molto serioso e pieno di diavoli, però le venne in mente che gli inferi si prestavano a gag visive divertenti, potremmo fare qualcosa di divertente, tipo Geppo.

Infierno 2Perché pensiate si notino i 15 anni trascorsi?

Faraci: Bè, nel primo il lettore viene portato per mano senza possibilità di confondersi, nel secondo invece ci sono 2-3 passaggi in cui il lettore deve sforzarsi per capire cosa sta succedendo. Silvia ha aiutato in questo con un disegno più semplice, meno dettagliato, anche se le scene sono più piene. Anche le tematiche sono cambiate: da una comicità infantile, quasi da “Topolino”, si è passati a una comicità infernale, con argomenti più divertenti.

In questa seconda parte di Inferno c’è la prima femmina di carne, la prima creatura erotica di Silvia Ziche, che si sente in imbarazzo solo a parlarne. Come se l’è cavata Silvia, dovendo disegnare delle scene di sessualità un po’ esplicita.

Ziche: Con grande difficoltà, infatti ho chiesto a Tito qualche modifica, perché non è nelle mie corde. Sono molto contenta di come 15 anni fa avevamo rappresentato la Morte, nella narrativa c’è questo sottile fascino per essa e quindi visualizzarla in quel modo è stata una buona idea.

Faraci: C’è una scena in Infierno 2 che prima era -accidentaccio!-, era diversa, ma forse ora è ancor più -accidentaccio!- di prima… Era una cosa che Silvia non aveva voglia di disegnare, ed è perfettamente legittimo non sentirsi di fare quella scena. All’epoca mi ha chiamato, ricordo ancora che ero per la strada: mi sono messo in un angolo e l’abbiamo risolta senza che io avessi nemmeno davanti la sceneggiatura, l’avevo scritta settimane prima ma me la ricordavo, vedevo le immagini nella mia testa e l’abbiamo risolta così, senza nemmeno rimettere materialmente mano alla sceneggiatura.
Questo per farvi capire come in questo lavoro la sceneggiatura non è stato un punto di arrivo ma un punto di ripartenza.

Ci sono stati degli elementi su cui siete stati in disaccordo?

Faraci: La sintonia è che anche quando c’è un piccolo attrito ce lo si dice e si riconnette subito, la sintonia non è essere d’accordo su tutto ma capire cosa vuole l’altro. Dio benedica whatsapp, perché 15 anni fa ci scambiavamo dei fax, ora invece Silvia mi mandava anche delle foto con Whatsapp di quello che stava facendo senza nemmeno fare scansioni accuratissime, perché tanto conosco come disegna.

Qual è la coppia di poliziotti che ha ispirato quella dei due diavoli?

Faraci: Bè, io mi sono formato questo telefilm degli anni ’70 che cito spesso che è Starsky e Hutch, questo telefilm degli anni ’70 anche un po’ ingenuo, con due protagonisti sgangherati, e come autore mi è rimasta molto dentro.
Io sono stato molto influenzato dai cartoni di Hanna e Barbera e penso anche Silvia.

Ziche: Graficamente, credo che fumettisticamente Altai e Johnson siano perfetti.

Silvia, in qualche intervista passata avevi timore di avere qualche limitazione negli ambienti, se ti senti maturata da questo punto di vista?

Ziche: È un blocco, la mia storia ideale è con la linea dell’orizzonte bassa e solo i personaggi, mi stanco a fare gli sfondi, ma mi rendo conto che servono quindi li faccio, ma se potessi eviterei.
Infatti se guardi le cose che faccio da sola, come Alice a quel paese o Lucrezia, l’ambientazione è ridotta all’osso. Come nelle strisce: a parte Calvin e Hobbe in cui il disegno è più elaborato, solitamente gli sfondi sono ridotti al minimo.
Però mi piego alle necessità della storia, ma non arrivo a cimentarmi con prospettive particolari.

Visto che il primo Infierno è stato pubblicato anche a colori, come mai questo secondo volume è stato realizzato in bianco e nero? È stata una vostra scelta o una richiesta dell’editore?

Ci siamo confrontati: la versione a colori non è stata uno sbaglio, ci è piaciuta, ma ci siamo chiesti una volta questa cosa e ci è sembrato naturale il bianco e nero. Forse perché il primo episodio è nato così ci è sembrato naturale, la cosa giusta da fare; nella prima sceneggiatura non avevo mai usato il colore, se avessi saputo che l’avevamo a disposizione avrei di sicuro pensato a qualche stratagemma per sfruttarlo, quindi per coerenza mi è sembrato naturale il bianco e nero.

Come fa Silvia a conciliare la produzione di una vignetta settimanale su “Topolino” con le altre storie?

In realtà ne faccio 2 settimanali: una per Donna Moderna e una per “Topolino”, ma non è nulla rispetto a chi lavora coi tempi terrificanti dovendo realizzare una vignetta al giorno, o una striscia al giorno più la tavola domenicale, come fanno molti artisti americani… non riesco ad immaginare la fatica.
I due estremi sono Schultz, che ha fatto una striscia al giorno per tutta la vita, e Watterson che ha fatto cose mai fatte prime, come chiedere un periodo di ferie ai giornali, per poi dopo 10 anni scomparire senza fare più nulla.