In occasione di Lucca Comics and Games 2015, abbiamo avuto la possibilità e il privilegio di intervistare Paul Azaceta, artista statunitense di origini cubane, noto fra le altre cose per essere co-creatore e disegnatore del fumetto Outcast, edito da Image Comics (linea Skybound), scritto da Robert Kirkman (The Walking Dead), e anche in procinto di diventare una serie televisiva. Si ringraziano sentitamente Andrea G. Ciccarelli, Jacopo Masini e tutti gli amici di saldaPress per averci dato questa opportunità.

 

Outcast: Un'oscurità lo circondaPaul, non mi hai nascosto di sentirti molto fortunato per il fatto di essere a bordo di Outcast insieme al tuo amico Robert Kirkman. Dopo tanto “girovagare”, sei finalmente arrivato a casa. Cosa provi quando ripensi a questo importante passo della tua carriera?

Sì, esattamente. Erano anni che vagavo senza sosta, di miniserie in miniserie, di progetto in progetto, con Marvel, DC Comics, Vertigo. Cercavo da tempo qualcosa di più “stabile” e a lunga gittata, qualcosa della quale potessi essere l’artista regolare. Quando Robert mi mandò un’email, scrivendomi di avere avuto un’idea potenzialmente vincente per un progetto Image, pensai “Che fortuna”! Era il momento perfetto, ed il fumetto perfetto per me. Outcast è qualcosa che credo essere davvero incredibile, perché scritto magnificamente. Adoro disegnare questa storia: so bene che è una cosa che direbbe qualsiasi artista del suo lavoro ma, credimi, non mi sono mai sentito più soddisfatto, dal punto di vista lavorativo. Non mi stancherei mai di fare qualcosa del genere, perché sto davvero amando il mio lavoro!

Hai stuzzicato la mia curiosità: qual era il contenuto della mail ricevuta da Kirkman alla quale accennavi poco fa? Ci puoi rivelare le “origini segrete” di Outcast?

Ok, cerco di fare mente locale. Nella prima email, Robert mi chiese come stessi, cose molto “formali”, se vogliamo. E subito dopo sganciò la bomba, parlandomi di questo progetto sul quale stava lavorando. Specificò che si trattava di una serie regolare e a lungo termine, che non era ancora stata programmata. Mi chiese se fossi interessato a disegnarla, il tutto in maniera molto pacata. Penso di averci pensato su per un millisecondo, dopo aver letto la mail. Risposi immediatamente che ero a dir poco interessato, perché era il momento perfetto: avevo appena finito di lavorare a un fumetto di Conan, e stavo giusto cercando cosa fare in seguito. E l’idea dietro Outcast mi conquistò subito.

Outcast - Il Reietto 1, variant cover di Paul AzacetaEcco, parliamo proprio dell’idea originale: come si è evoluto il primo soggetto di Kirkman dopo il tuo approdo su Outcast?

Bella domanda! Effettivamente si è trattato di un processo creativo davvero figo, oltre che molto gratificante. Robert mi propose la sua idea iniziale, che trovai già praticamente perfetta. Lui è un genio e un maestro della scrittura creativa. Il mio apporto c’è stato, ma soprattutto a livello visivo. Quello che ho dato allo script iniziale è la forma estetica, che ho plasmato in maniera molto libera. Ho preso tutta la grandissima immaginazione di Robert e l’ho trasformata in immagini.

A proposito di trasformare idee in immagini, vorrei parlare del character design del protagonista del fumetto, Kyle Barnes: a chi o a cosa ti sei ispirato?

Quando Robert mi raccontò le caratteristiche di Kyle, specificando quanto fosse un vero reietto, tagliato fuori dalla società e dalla sua famiglia, in mente mi si paventò la figura di un ragazzo sciatto, con la barba incolta, i capelli spettinati, con vestiti consunti e tutt’altro che alla moda. Cominciai a fare diversi sketch per sottoporli all’attenzione di Robert e insieme iniziammo a delineare quello che poi sarebbe stato il design finale del personaggio. La cosa divertente è che, quasi inconsapevolmente, ho basato la fisionomia di Kyle su quella di mio fratello maggiore, Dani. Non è che lui sia un outcast, o che sia posseduto da demoni [ride], ma nel modo in cui appare e si veste, ricorda sostanzialmente Kyle Barnes. Dani è il quel tipo di ragazzo che si sveglia la mattina e si mette addosso le prime cose che gli capitano a tiro. Non gliene frega nulla di pettinarsi o di apparire in ordine. E Kyle è esattamene così: passa le sue giornate da solo, in casa, magari non si fa nemmeno la doccia…

Mi stai dicendo che…

[Ride] No, no, mio fratello si fa la doccia, quotidianamente… Credo… È solo un ragazzo un po’ disordinato, ecco.

Venendo alla struttura narrativa di Outcast, ho molto apprezzato la presenza di quelle che possono essere definite come “micro-vignette”, che danno una prospettiva secondaria e più dettagliata su alcuni aspetti della storia. Come le avete ideate tu e Robert?

Le micro-vignette sono un’idea di Robert, almeno originariamente. Lui voleva trovare un modo per aggiungere maggiore carica all’atmosfera del fumetto e dare un punto di vista extra al lettore. Ragionandoci assieme, abbiamo deciso di applicare questa soluzione, che non va a saturare la narrazione, dando comunque ulteriori dettagli al pubblico. Penso sia una trovata molto originale e interessante…

OutcastTrovo che sia qualcosa dal taglio molto cinematografico.

Esattamente! È come quando in un film, o in una serie TV, la telecamera “stacca” dalla sequenza principale, ti fornisce un dettaglio apparentemente secondario, per poi ritornare al filone narrativo principale. È uno shift molto rapido, che impegna pochi attimi. Questo discorso vale sia nel fumetto che nel cinema o nella televisione. Devo ammettere che trovare il modo per utilizzare al meglio queste micro-vignette non è stato facile, specie per le prime uscite. Si trattava di qualcosa di totalmente nuovo per me. Progressivamente, però, ho fatto mia questa tecnica e adesso penso di riuscire a maneggiarla in maniera molto naturale. Dovevo capire il quando, il come e il perché utilizzare una micro-vignetta: è tutta questione di tempismo, perché molto spesso questi piccoli dettagli avvengono tra i momenti del filone narrativo principale.

Parlando di tempismo, mi hai suggerito la domanda successiva: ritengo che uno degli aspetti più interessanti di Outcast sia proprio la sua tempistica di narrazione, che è molto cadenzata, ma che improvvisamente raggiunge picchi di alta tensione, per poi tornare a una fase di plateau. Scrivendone, l’ho definita come una narrazione “a ondate”. Cosa pensi a riguardo?

È proprio quello che volevamo fare, sono contento che tu mi stia dando questo feedback. Ti presento gli esempi che noi per primi facevamo a noi stessi, quando abbiamo iniziato a lavorare a Outcast. Abbiamo guardato al cinema, ma anche al mondo della musica: ogni film, ogni canzone, ha un suo ritmo. Più questo ritmo riesce a entrare nell’anima dello spettatore, più il prodotto funziona. Abbiamo dunque curato molto la ricerca di un nostro ritmo per Outcast. Questa cosa ci ha consentito di trovare quella che riteniamo essere la giusta atmosfera per il fumetto. Bisogna sempre considerare che si tratta di una serie horror: avere un ritmo troppo accelerato, l’avrebbe trasformata in un fumetto d’azione. Penso che il nostro fumetto riesca a far crescere nel lettore un’angoscia costante, nell’attesa del climax. Ecco, se dovessi trovare una metafora, direi che Outcast è come una montagna russa: ci sono momenti di quiete, nei quali si sale, e poi, in un’attimo di accelera e si scende a velocità importanti e vorticose. Accelerazioni, esplosioni, poi frenate e rallentamenti improvvisi: è una corsa, nella quale si provano tantissime, diverse emozioni. C’è quella suspense costante, nella quale sai che sta per accadere qualcosa, ma non sai quando.

Outcast #5Leggendo il primo volume di Outcast, ho apprezzato moltissimo il lavoro della colorista Elizabeth Breitweiser. Trovo che il suo lavoro sia davvero notevole e che con le sue tonalità cromatiche riesca ad esaltare le tue matite. Ti trovi d’accordo?

Elizabeth è grandiosa, a dir poco. Lei è una parte importantissima, fondamentale di Outcast. E se questa serie è ben riuscita, e credo fortemente che lo sia, almeno un terzo del merito va al suo lavoro. E non sono di certo l’unico a pensarlo, dato che a ogni convention in cui vado sono in tanti a chiedermi di lei. Quello che riesce a fare con i colori mi emoziona, perché credo riesca ad aggiungere ulteriore atmosfera al racconto. Se Outcast riesce a provocare tensione, spavento ed eccitazione nel lettore, non puoi non ammettere che è anche merito della veste cromatica con la quale questa serie si presenta. Il contrasto tra tonalità scure e colori brillanti penso sia uno degli aspetti più unici di Outcast. È fantastica, come dicevo, e sono felicissimo di lavorare con lei. Non ho problemi a dichiarare che è la mia colorista preferita, la migliore con la quale abbia mai lavorato. E ce ne sono stati tanti…

Tu e Kirkman avete già in mente un finale per la serie?

Sì. È stata una delle prime cose che abbiamo delineato: entrambi sappiamo già come Outcast andrà a finire. Quello che non sappiamo è quando: ci stiamo divertendo tantissimo a lavorare a questo fumetto, e ogni giorno abbiamo nuove idee per la storia. Ma la fine arriverà, prima o poi. E noi saremo pronti. Anche perché, finito Outcast, quasi sicuramente vorrò dedicarmi a qualche mio progetto personale, che scriverò, disegnerò e magari colorerò anche. Ho già due o tre store in mente, da tempo.

In conclusione, parliamo un po’ della serie TV di Oucast, in arrivo nel 2016 su Cinemax. Hai avuto modo di collaborare alla realizzazione? Cosa provi a riguardo? Cosa devono aspettarsi gli spettatori?

Io e Robert crediamo fortemente in questo adattamento e ne siamo a dir poco orgogliosi. Questa serie TV sarà fedele al fumetto e apprezzabile di per sé. Ho già avuto modo di vedere l’episodio pilota e guardandolo ho pensato “Wow, accidenti: questi ragazzi ci sanno fare!” Allo stesso tempo, però, lo show avrà una propria specifica identità, non sarà un “copia e incolla” del fumetto. Credo sia uno dei prodotti televisivi più coraggiosi degli ultimi anni: sarà qualcosa di terrificante e politicamente scorretto. Posso solo fare i miei complimenti a tutti gli addetti ai lavori della serie TV di Outcast.

 

Paul Azaceta