J.M. Ken Niimura, ospite di BAO Publishing a Lucca Comics & Games 2018, è un artista grandioso. Il disegnatore di I Kill Giants, miniserie Image Comics scritta da Joe Kelly, è un personaggio gentilissimo con tanta voglia di parlare di sé e di Fumetto.

Fortuna nostra che, grazie a questa sua disponibilità e a quella della casa editrice milanese, abbiamo potuto rivolgergli qualche domanda sul suo successo recentemente trasposto in un film, sulle sue varie incarnazioni di artista e sul linguaggio del Fumetto internazionale contemporaneo.

 

Ciao, Ken, benvenuto su BadComics.it!
Viviamo in un mondo a fumetti in cui tutto è diventato internazionale. Ieri, C.B. Cebulski ha sottolineato il fatto che una percentuale grandissima degli albi Marvel coinvolge un artista straniero. Gli stili del Fumetto sono oggi frutto di questo incontro e di tantissime influenze che si intrecciano. Senti in qualche modo di essere l’artista ideale per quest’epoca, dato che la tua esperienza è quella di un disegnatore europeo, con esperienze americane e retaggio giapponese? In pratica sei il frutto delle tre fondamentali tradizioni fumettistiche.

I Kill Giants, copertina di J.M. Ken Niimura

No, non sono così fortunato. Ti dirò come la vedo io dopo aver viaggiato in un sacco di posti per qualche anno: i film americani, che da una vita sono popolari in tutto il mondo, hanno creato un linguaggio più o meno condiviso da tutti quanti, a livello internazionale, e lo hanno fatto decenni fa; non è successa la stessa cosa con il Fumetto perché, almeno a livello di mainstream, le tradizioni sono rimaste abbastanza separate fra loro, e il pubblico americano, per la maggior parte, non sapeva di preciso cosa succedesse in Giappone o in Francia. Non c’era diffusione di materiale ampiamente popolare a livello di massa. Pertanto, fino a qualche anno fa, c’erano grandissime differenze tra un manga, una bande dessinée e un fumetto di super eroi, in termini di stile narrativo e visivo. In ogni aspetto, sostanzialmente.

Nella scena underground, invece, c’erano più somiglianze e più consapevolezza di quel che succedeva altrove. Pian piano, questo aspetto è venuto sempre più a galla, anche grazie alla rete, a Tumblr e a DeviantArt. Tutti sono diventati esperti di quel che succedeva altrove. Nel mio caso, certamente, avere un padre giapponese mi ha reso facile sapere cosa succedeva in Oriente. Inoltre, in Europa arriva un po’ di tutto da tutto il mondo. Un lettore di fumetti, oggi, si trova più o meno nella situazione in cui ero io a cinque anni, con un sacco di fumetti diversi per casa.

Io sono qui, qualche giorno fa ero a Londra, non molto prima ero negli Stati Uniti e recentemente ho visitato la Francia. Ovunque vedo un sacco di fumettisti che in qualche modo mi somigliano, un sacco di gente in cui mi riconosco. Oggigiorno, rispetto al passato, secondo me, questo è cambiato: tra noi artisti e autori c’è molto più riconoscimento, ci sono dei legami più forti. E, inoltre, il pubblico è ormai abituato a leggere cose che vengono da tutto il mondo. Cosa che trovo decisamente entusiasmante, perché permette di avere una platea molto più ampia con cui condividere il tuo lavoro. Il che è ciò che tutti noi vogliamo, alla fine.

Una cosa che trovo sia interessante di te è il fatto che tu abbia sempre mantenuto, fino ad oggi, uno stile molto riconoscibile, pur essendo frutto di un miscuglio di ispirazioni. Moltissimi artisti internazionali, che lavorano presso industrie per loro straniere, sono costretti ad adattarsi in qualche modo allo stile della tradizione di destinazione. Tu ti sei sempre mantenuto libero da questo punto di vista.

Ti confesso: non sono in grado di adattarmi. Sono incapace di farlo. Ho lavorato a una storia breve per la Marvel, su Spider-Man, e per un breve periodo della mia carriera ho lavorato anche in Giappone. Ogni volta cercavo di adattarmi al mercato, ma non ci riuscivo. Proprio non riesco. Ed è questo il motivo per cui, nonostante mi piaccia, non lavoro granché nel fumetto di super eroi. Non ce la faccio. Amo il fumetto francese, ad esempio, ma anche lì non riuscirei ad adattarmi. Ecco perché ultimamente ho portato avanti progetti online di Fumetto digitale. Lì, più che altrove, si comunica con una grammatica condivisa.

Tuttavia, credo che questo sia un punto di forza: sei obbligato ad essere fedele a te stesso. Forse è questa la ragione per cui hai mantenuto gelosamente la tua libertà e per cui sei così legato al Fumetto indipendente.

Già. Per un po’ ho considerato il Fumetto come un lavoro, ero disposto a lavorare dove capitava. Poi ho capito che è soprattutto quello che amo, che amo fare in tutti i suoi aspetti. Non importa che scriva, che disegni, che mi occupi di sfondi o personaggi, di vestiti o scene d’azione. E adoro il fatto che mi consenta di esprimermi su più fronti, dando vita a una visione completamente mia delle cose. Semplicemente con una matita. La libertà è diventata una delle cose più preziose che ho, e ho smesso, perlopiù, di vedere il Fumetto come un lavoro. A volte lo faccio, sia chiaro. Con le illustrazioni su commissione e con piccoli lavori per sceneggiatori che stimo. Ma sono sempre meno incline a farlo e, quando si parla di Fumetto, sento proprio il bisogno di fare quello che voglio e che dico io. Il che, da un lato, impone scelte più complesse e difficili, ma dall’altro mi fornisce un luogo dove posso rifugiarmi e dove so di poter far accadere tutto quel che desidero. Meraviglioso.

L’abilità e la fortuna di aver anticipato in qualche modo i tempi, con “I Kill Giants”, ti hanno favorito. Si tratta di uno dei titoli che hanno forgiato i nostri tempi, riportando la Image Comics e il Fumetto indipendente americano sotto i riflettori e al successo di critica e pubblico. Un fumetto ibrido proprio come tu sei un artista ibrido. Sono passati dieci anni dalla sua pubblicazione: dove sta il segreto del suo successo incredibile? Erano i tempi giusti per un prodotto spurio, non specializzato, che tiene assieme tanti generi diversi sia narrativamente che visivamente?

I Kill Giant - Titan Edition, copertina di Ken Niimura

“I Kill Giants” ci ha messo un sacco di anni prima di diventare quel che è oggi. All’esordio non vendemmo chissà quanto, siamo stati un long seller. All’inizio, mi ricordo di essere stato a un po’ di convention con Joe Kelly, dove incontravamo tanti ragazzi che ci raccontavano di quanto fosse importante per loro la storia, di quanto ci si fossero riconosciuti. Notavo che “I Kill Giants” tendeva a creare una specie di connessione diretta tra noi e una parte molto specifica di pubblico, che poi, pian piano, ha iniziato a lievitare. Il passaparola è quello che ci ha fatto diventare un successo e di questo siamo incredibilmente grati a tutti i lettori che hanno consigliato di leggerci ai loro amici.

Nessun segreto, per il resto. Credo che la vicenda sia davvero molto umana e che io e Joe abbiamo raccontato in maniera sincera come ci saremmo sentiti se ci fossimo trovati nella situazione che racconta. C’è un sentimento forte nella storia. E la fortuna è tutta mia, che mi sono trovato per le mani una sceneggiatura così ben fatta da Joe, così intima e personale nei suoi contenuti. Siamo andati a prenderci i lettori uno per uno e poi hanno fatto tutto loro.

Hai visto il film, immagino. Ti è piaciuto?

Sì, mi è piaciuto.

E cosa credi che si sia perso, nella trasposizione? Perché io ho un’idea abbastanza precisa.

Be’, ecco perché i fumetti sono così grandiosi: puoi fare davvero quello che vuoi. Nel Cinema devi collaborare con altri, il che è fantastico ma anche un limite, e poi ci sono i limiti di budget che ti condizionano. Nel Fumetto puoi raccontare qualunque bugia – si dice in Giappone – e diventerà vera, credibile. Nel Cinema è più difficile mostrare cose inverosimili e farle sembrare realistiche. Quindi, ci sono diverse cose che vanno bene in un fumetto e che sono divertenti, ma che non puoi tradurre in un film. Devo dire che l’adattamento è comunque stato un successo, artisticamente parlando: mi ha divertito ed emozionato.

Grande scelta degli attori.

Assolutamente. Le due opere sono chiaramente diverse, ma era inevitabile.

A proposito, qual è il tuo rapporto con Joe Kelly? Diresti che è lo sceneggiatore del tuo cuore, perfetto per te?

Certamente. La cosa divertente è che ci siamo incontrati per la prima volta a una convention. Eravamo fianco a fianco a firmare copie. Avevo letto il suo nome e sapevo che mi diceva qualcosa, ma non mi ricordavo di preciso chi fosse. Chiacchieravamo un po’, tra una firma e l’altra, e lui era il tizio più gentile e simpatico del mondo. Poi sono andato a casa e… ca%%o! Mi sono accorto di avere a fianco l’autore di “Steampunk”, un fumetto che avevo adorato. Da lì ci siamo mantenuti in contatto, e pian piano è iniziata la nostra amicizia e collaborazione. Ogni volta che parlo con lui ho la sensazione di avere di fronte un fratello maggiore. Ogni volta che ho dei dubbi sul lavoro gli chiedo consiglio e lui c’è sempre per me. Un mentore. Ammiro il suo lavoro davvero tantissimo.

Vorrei farti anche una domanda su “Umami”, il tuo fumetto digitale pubblicato online. Pensi che questo formato sia un po’ il tuo futuro?

In parte. Ho diverse possibilità di fronte a me e mi piace sperimentare con il mondo digitale, ma sono ancora innamorato della carta. Attualmente sto lavorando in Giappone, dove hanno questa cosa meravigliosa delle riviste antologiche che ti permettono di lavorare su piccole porzioni di fumetto. Quella è attualmente la mia dimensione preferita, che un po’ assomiglia a quella del Fumetto digitale, il quale spesso è prodotto poco per volta. Certo, pubblicare online significa farlo per un pubblico vastissimo, pensare a storie che davvero chiunque potrebbe leggere e apprezzare. Quindi è certamente una delle opzioni che valuto.

“Umami” è anche un fumetto un po’ comico e un po’ avventuroso, molto brillante e allegro nelle atmosfere. Persino “I Kill Giants”, con il suo portato drammatico, lo era nei toni visivi, tutto sommato. Questa è una caratteristica fondamentale del tuo fumetto? Ti ci riconosci?

Certo. Ma è solo una delle incarnazioni possibili. Ultimamente, ad esempio, ho pubblicato gratuitamente sul mio sito l’adattamento di una leggenda giapponese a fumetti ed è un lavoro decisamente più dark.

Quindi ti vedremo anche su storie più drammatiche?

Sì. Il fumetto che sto realizzando è qualcosa di addirittura terrificante. E sto lavorando a qualcosa di nuovo con Joe Kelly, di cui non posso ancora parlare, che sarà molto adulto nei toni. Ci vorrà qualche anno perché lo vediate realizzato.

 

Niimura Claudio