Tre scrittori che hanno segnato la storia di Pantera Nera tornano a lavorare sul personaggio accompagnati da grandi artisti. Reginald Hudlin, Christopher Priest e Don McGregor sono responsabili di alcune delle pagine più importanti della saga di T’Challa.

A febbraio, esce negli Stati Uniti Black Panther Annual #1, che vedrà una storia ciascuno ospitata tra le sue pagine. I tre hanno risposto pochi giorni fa alle domande di Marvel.com e noi vi riportiamo le loro dichiarazioni più interessanti.

 

Black Panther Annual #1, copertina di Daniel AcunaHudlin – Quando ho saputo che ci saremmo stati io, Priest e McGregor, ognuno con una sua storia su Pantera Nera, ho pensato che sarebbe stata una cosa storica. Immediatamente ho voluto farne parte.

Priest – Nessun entusiasmo per questa proposta. Seriamente. L’ho trovata una cosa terrorizzante. La mia run originale, specialmente quella dell’epoca Marvel Knights, ha finalmente trovato dei lettori. Quando la scrivevo, potevamo letteralmente dar via gratis le copie. C’era un sacco di resistenza a comprarle e c’era del vero odio nei nostri confronti, anche minacce da parte di fan che non accettavano che Pantera Nera avesse un iPhone. Seriamente: ci fu una fronda di puristi anti-tecnologia che credo avessero confuso Pantera con Tarzan. Ai tempi, passavo un sacco di tempo a discutere con questa gente, invitandola a leggere Fantastic Four #52 per capire chi davvero fosse il personaggio: il re di una delle nazioni tecnologicamente più avanzate del mondo. Tranquillo, tipo, può avere eccome un iPhone.

McGregor – Grande entusiasmo quando Wil Moss mi ha chiamato la prima volta per chiedermi di scrivere di nuovo Pantera dopo decenni di assenza. Ho adorato le mie storie di un tempo e ho passato anni con la voce di T’Challa nella mia testa, cercando di ascoltare non solo lui, ma tutti i personaggi del Wakanda. Poi, però, ho scritto su Facebook che ho pensato di non farlo, all’inizio. La paura più grande di un narratore è quella di tornare a lavorare su un personaggio e sentire i lettori che dicono che Don non ci sa più fare come un tempo, che forse avrebbe dovuto lasciar perdere questa volta. Ma, quando scrissi questa cosa sui social media, talmente tanta gente ha scritto di volermi rivedere all’opera che ho iniziato a riconsiderare la scelta, mentre ero in visita da mia figlia in California.

La Rabbia della Pantera NeraLa sua rinnovata popolarità, grazie al cinema, è grandiosa. Pantera è sempre stato un supereroe importante, perché ha aperto la strada nel mondo dei comics a tanti altri personaggi le cui storie furono finalmente prese in considerazione. Ho passato anni assieme a lui, e in questi casi si crea un’intimità forte. Un autore spesso passa più tempo con il suo personaggio che con molte delle persone che conosce, ed esso diventa parte di lui, pagina dopo pagina, vignetta dopo vignetta, per tutto l’impegno profuso nel fargli giustizia.

Credo che l’attore Chadwick Boseman abbia la giusta combinazione di grazia e impeto, di solennità e forza che io ho sempre visto in Pantera Nera. Sono molto felice che Peter Charpentier della Marvel mi abbia concesso l’occasione di incontrarlo durante il San Diego Comic-Con, l’estate scorsa.

Priest – Be’, ovviamente credo che la sua popolarità sia una cosa ottima. Chadwick Boseman e la sua interpretazione di un uomo che perde la sua innocenza hanno alzato l’asticella per quanto riguarda l’idea di un supereroe africano o afroamericano.

Hudlin – Mi ricordo tutte le sceneggiature su un film di Pantera Nera che sono state proposte nel corso degli anni. La quasi totalità di esse era terribile. C’erano alcuni soggetti che lo vedevano cresciuto in orfanotrofio in America, ignaro della sua eredità regale. Perversioni dell’idea originale. Quando io e Axel Alonso abbiamo iniziato a parlare di quella che inizialmente pensavamo sarebbe stata una miniserie, volevo raccontare la storia nel modo giusto.

Black Panther #1, copertina di Mark TexeiraMcGregor – La differenza tra oggi e le mie storie del passato? Innanzitutto non devo fare due mesi di ricerca per scrivere una storia di dodici pagine, mentre La Rabbia della Pantera Nera ne contava duecento. All’epoca, dovetti prendere una serie di decisioni vitali prima ancora di scrivere la prima pagina di sceneggiatura. Non solo mi lessi tutti i fumetti in cui compariva Pantera, ma dovetti anche fare grandi ricerche per dar vita a tutti i mille dettagli di Wakanda. Lee e Kirby l’avevano creato, ma solo come concetto.

Fu durante quel lavoro iniziale che scoprii che nemmeno una storia aveva parlato di Ramonda, la madre di T’Challa, e decisi che non l’avrei citata ne La Rabbia e che meritava una storia a sé, completa e di grandi dimensioni. Poi scrissi un’avventura che affrontava il tema dell’Apartheid in Sud Africa. Sarebbe diventata Panther’s Quest, la storia di un figlio alla ricerca della madre in un regime oppressivo e fascista, che raccontava come una situazione del genere potesse influire sui sentimenti di un giovane che ha perduto la figura materna da bambino.

Un tema molto umano con cui speravo tutti potessero entrare in empatia. Già all’epoca, come vedete, ero preoccupato di dove sarebbe andata la vita di T’Challa dopo quella storia e delle sue radici precedenti alla scrittura degli esordi della serie. Avevo bisogno di sapere che c’era un obiettivo, una destinazione per me come scrittore, ma anche assicurarmi di non riscrivere la stessa storia, numero dopo numero.

Black PantherPriest – Quando scrivevo il personaggio, vent’anni fa, la missione era semplice: scrivere la storia di un tizio che credevate di conoscere, ma di cui in effetti non avevate mai capito nulla. Saltiamo avanti vent’anni e tutti lo conoscono benissimo, le aspettative dei lettori sono molto differenti. Quelli di Marvel Knights si aspettavano delle tematiche serissime riguardanti la cultura africana, quindi noi giocammo a scansarle. Oggi tutti invece sanno delle capacità di T’Challa e del suo genio tecnologico, quindi non posso più scrivere quelle storie piene di sorpresa nel vederlo stendere Mefisto con un pugno. Tutti, ormai, sanno che potrebbe farlo.

Hudlin – Alcuni fan, sul mio sito, mi chiedono a volte quali storie scriverei se tornassi su Pantera Nera, ora che ci siamo, ce ne sono alcune nella mia testa, ma la mia preferita è una grande saga intitolata World War Wakanda. Sarebbe un enorme crossover. Avevo solo sei pagine per raccontare quel che dovevo in questo Annual, quindi ho scritto un epilogo in cui vedete qualche spiraglio della storia. Ma funziona anche come un seguito di Black to the Future, la storia che ho scritto per il primissimo Annual di Pantera Nera.

 

Infine, i tre hanno risposto a una domanda fondamentale sul personaggio: cosa rende Pantera Nera un eroe così iconico? Secondo McGregor è il fatto di vedere un leader potente e autorevole che è anche un eroe. Tutti segretamente vorremmo che i nostri governanti fossero altrettanto nobili d’animo. Per Hudlin, Pantera è l’equivalente africano di Capitan America e simbolizza tutto ciò che di grande c’è nel Vecchissimo Continente. La risposta di Priest è più colorita.

 

Priest – Il fatto che sia il tizio nero. Andiamo, siamo onesti: è il tizio nero. E non è arrabbiato, non fa questioni di terminologia di razza, si mette al lavoro e mantiene sempre la parola. Pantera Nera ci fa tutti vergognare, tutti quanti, con la sua nobiltà. Potrebbe essere la persona più nobile d’animo del mondo intero. Fa’ del tuo meglio, mantieni la parola. Questo è tutto quel che si può chiedere a una persona. T’Challa è l’ultimo cuore d’oro al mondo. Io non mi avvicino nemmeno a lui, ma aspiro ad essere tanto buono quanto la mia personalità mi consente. Che è il meglio che ognuno di noi possa fare.

 

 

Fonte: Marvel