Mary e il fiore della strega

Dopo aver diretto Arietty – Il mondo segreto sotto il pavimento e Quando c’era Marnie, qualche anno fa il regista Hiromasa Yonebashi ha lasciato lo Studio Ghibli assieme al suo produttore e a uno staff di animatori per fondare lo Studio Ponoc (parola serbo-croata che sta a significare “il momento in cui un giorno finisce e un altro comincia”). Sin dal nome, l’intenzione è chiaramente quella di creare una nuova realtà pronta a sfornare lungometraggi animati, in un periodo in cui lo Studio Ghibli ha subito la scomparsa di Isao Takahata e sta realizzando quello che molto probabilmente sarà (per limiti di età) l’ultimo film di Hayao Miyazaki.

C’è il desiderio di suggerire al pubblico una continuità, come si evince fin dal primo pannello che precede la proiezione di Mary e il fiore della strega, nel quale è presente il nome dello Studio Ponoc abbinato alla silhouette della protagonista, soluzione grafica molto simile alla caratteristica schermata su sfondo azzurro con il nome dello Studio Ghibli e la sagoma di Totoro.

Guardando il primo trailer del film, la necessità di rimarcare la propria provenienza ci era sembrata un po’ eccessiva: una bambina strega che vola su una scopa in compagnia del suo gatto nero ricorda parecchio Kiki – Consegne a domicilio; ma, dopo aver visto il film in anteprima al Future Film Festival (esce oggi nei cinema italiani, dove resterà in programmazione per una settimana, grazie a Lucky Red), possiamo dire che ci sbagliavamo e che le similitudini non vanno oltre la sinossi.

La storia è ispirata al romanzo La Piccola Scopa, della scrittrice britannica Mary Stewart, pubblicato negli anni ’70. La protagonista si ritrova catapultata in un mondo incantato nel quale è resente una scuola di magia, dove incontra alcuni professori e viene rapidamente riconosciuta come una delle streghe più dotate di sempre. Le similitudini con Harry Potter sono evidenti, e viene da chiedersi se il libro sia stato d’ispirazione per J.K. Rowling (così come lo è stato Il mago di Earthsea, adattato proprio dallo Studio Ghibli), ma il personaggio principale è differente sia dal maghetto con gli occhiali che dalla Kiki di Eiko Kadono.

Mary è una normale bambina che per le vacanze estive si trasferisce in campagna, nella casa della nonna; inseguendo un gatto nel bosco, trova dei fiori speciali che le conferiscono poteri straordinari e una scopa, a bordo della quale si ritroverà catapultata a Endor (no, non aspettatevi Ewok o un generatore di scudo per la Morte Nera).

Il mondo della magia è il più grande risultato della pellicola: la prima visita della protagonista a questo luogo fantastico è una fucina di idee visive che vanno a formare un universo ricco e credibile, più vivace e sgargiante della Hogwarts cinematografica e con una tale quantità di trovate da essere necessaria una seconda visione per poterle cogliere tutte. Anche i comprimari sono affascinanti dal punto di vista estetico, per la loro caratterizzazione psicologica e per il loro ruolo nella storia; ogni tanto si ha però l’impressione di assistere a una carrellata di buonissime idee ma non sviluppate a fondo.

Non aspettatevi la complessità di altre celebri saghe fantasy: Mary e il fiore della strega è una storia perfettamente autoconclusiva che, grazie a un intreccio intrigante, riesce a intrattenere per tutti i suoi 100 minuti riservando più di una sorpresa. Invece di innescare il racconto mostrando le giornate bucoliche della ragazzina dai capelli rossi, rimandando così la sorpresa del mondo magico al secondo atto, il film ha inizio con un prologo che mostra uno scorcio di misticismo attraverso un rocambolesco inseguimento; quasi un teaser di quanto avverrà, inserito per timore di annoiare lo spettatore, ma così facendo si riduce l’impatto della prima visita di Mary a Endor, e gli spettatori più perspicaci potrebbero già intuire qualche successivo colpo di scena.

L’opera prima dello Studio Ponoc rappresenta un ottimo risultato; confrontandolo con i precedenti lavori del regista non risulta magari raffinato e minimalista come Arrietty, ma nemmeno complesso e malinconico come Marnie. Siamo al cospetto di un film di puro intrattenimento, in grado di affascinare e divertire grandi e piccini. Stampa e critica sono costantemente alla ricerca del “nuovo Miyazaki” (siamo sicuri che questa definizione verrà utilizzata più volte, nei prossimi giorni), e forse proprio Hiromasa Yonebashi ha tutte le carte in regola per portare avanti la tradizione dei grandi lungometraggi d’animazione giapponese, grazie alla sua forte impronta stilistica – simile a quella di Hayao ma senza ricalcarlo più di tanto – e a storie che possono incontrare il consenso del grande pubblico.

 

Mary e il fiore della strega