In un interessante articolo, Bleeding Cool ci propone i pensieri di Matt Fraction sui propri lavori per la Marvel di qualche tempo fa. L’opinione dell’autore di Sex Criminals e Hawkeye abbraccia diversi anni di storie e, soprattutto, il periodo di Civil War, dal punto di vista di uno dei collaboratori più stretti del ciclo di Mark Millar e Steve McNiven, oltre che di uno degli architetti della Marvel del decennio scorso.

 

Punisher War Journal #2, immagini d'archivioQuale consiglio darei allo scrittore che ero dieci anni fa? Cosa penso del mio lavoro oggi, cosa mi piace e cosa no di quell’epoca? Ma soprattutto, non mi metterà terribilmente a disagio rileggere tutta quella roba e valutare il lavoro che ha di fatto costruito la mia carriera nel fumetto mainstream di supereroi? Certo che lo farà.

Eccovi una breve storiella: durante la realizzazione della miniserie di Civil War, lo scrittore Mark Millar si ammalò, al punto da non poter scrivere per un breve periodo. Questo ha provocato, come immaginerete, delle complicazioni. Quando una storia enorme come quella prende forma, è un po’ come una portaerei, che regge sulle proprie spalle tutto il resto, che gli ruota attorno. Quindi, che fare?

In quel momento stavo scrivendo i tie-in di Punisher War Journal [pubblicati in Italia su Marvel Mega 40 con il titolo Punisher War Journal 1: Civil War – NdR]e per me voleva dire saltare in avanti, scrivere i miei numeri in anticipo rispetto a quelli della miniserie di Mark, in attesa del suo ritorno. E quando questo avvenne, sapevo che lui aveva bisogno di alcune scene con il Punitore all’interno di Civil War. Solo che, finché lui non le avesse scritte, non avrei potuto farvi riferimento.

In pratica dovetti saltare al numero #3 della mia storia, perché sapevo quale sarebbero state le condizioni di uscita del Punitore da una certa situazione, per poi tornare al numero #2 solo in un secondo momento e conformarlo alle scene in questione.

Fu uno splendido esercizio di progettazione parallela, improvvisazione, pazienza e mestiere. Fu anche l’occasione di vedere Tom Brevoort dirigere l’orchestra come solo lui sa fare. Credo di aver tirato fuori due storie inserite nel contesto, ma anche leggibili a sé.

Ariel Olivetti dovette, poverino, ridisegnare quattro volte una scena di Punisher War Journal #2, perché i personaggi presenti in scena continuavano a cambiare per le oscillazioni classiche di un evento crossover, che si rimodella in continuazione, fino alla pubblicazione.

Punisher War Journal #9, copertina di Ariel OlivettiOra che rileggo i miei tie-in, mi chiedo perché mai volessi comprometterli avvicinandomi così tanto alla storia principale. Invece di utilizzare il caos prodotto dagli eventi di Civil War come una scusa per raccontare quello che mi pareva nel contesto, per qualche ragione ho deciso che la mia roba doveva irrompere in quello che scriveva Mark, per poi uscirne. Volevo creare… non so… un’esperienza di lettura più coesa? Fino al punto da prendere di peso alcuni dialoghi scritti da Mark e inserirli nei miei. Oggi, una cosa del genere, mi pare oltre il concetto di continuity e somiglia a una trappola.

Il vero regalo che Mark mi fece, al termine di Civil War e dopo l’omicidio di Capitan America, era lasciarmi mostrare Frank Castle che raccoglie la maschera di Cap. Questo portò alla folle creazione di Ariel Olivetti del costume di Captain Punisher e alla storia Verso il West [Punisher War Journal 2: L’Iniziativa, pubblicato su Marvel Mega 42 – NdR], in cui Frank combatte i suprematisti razziali al confine col Messico.

Poi venne L’Immortale Iron Fist, il titolo con cui mi sono fatto davvero un nome alla Marvel. Come giunsi alla testata? Fortuna dell’idiota. Ed Brubaker chiede a Robert Kirkman di scriverlo assieme a lui. Kirkman disse di no.

 

 

Fonte: Bleeding Cool