Finora abbiamo parlato di spiritualità, ma un altro tema che emerge dalla tua opera è la diversità: qual è stata la difficoltà principale che hai dovuto superare per evitare di scadere nel banale, trattando una tematica così delicata?

C’è stato un momento in cui dovevo decidere cosa fare con queste tribù. Rappresentare il popolo indiano – un termine errato, ma così veniva chiamato all’epoca, con un’accezione fortemente negativa – non è stato facile. Per non mancare di rispetto a nessuna delle diverse popolazioni che hanno abitato l’America prima dell’arrivo degli occidentali, ho fatto sì che il fulcro fosse l’annullamento temporaneo delle proprie divisioni e l’utilizzo di un abito nero, come se fossero tutti a lutto. Unendosi, le loro diversità sono come morte, ma ciò permetterà  loro di continuare a sperare nella sopravvivenza.

Non sono stato estremamente rispettoso del nucleo originario delle leggende dei nativi, perché quei nuclei variano da tribù a tribù. Nell’unificarle, ho ricercato la sintesi e ho sempre mantenuto un grande rispetto per tutti, pur di perseguire il fine della spiritualità.

I protagonisti partono per un viaggio che assume un forte valore salvifico. Cosa rappresenta per te il viaggio?

Il viaggio è un momento in cui si mettono da parte le differenze per il raggiungimento di un obiettivo comune, in questo caso la salvezza. Barabba e Maddalena mettono da parte le proprie divergenze per raggiungere la salvezza, operazione similare fatta anche dalle varie tribù che accantonano le differenze per la propria salvazione.

In coda, voglio aggiungere anche il tema della sconfitta. Quando uno ha tutti i diritti per vincere e trionfare, spesso resta deluso. Più è forte la voce che ti dice che vincerai (in questo caso quella del Grande Spirito), più è grande il pericolo di chi quella voce non la sente. Queste due posizioni sono esemplificate dai personaggi di Wovoka e da Caifa.

Non solo la sceneggiatura ma anche il disegno presenta interessanti aspetti di originalità. Quali sono state le principali sfide da te affrontate e quali sono i tuoi principali riferimenti artistici?

La prima sfida è stata sicuramente la colorazione. Non avevo delle idee precise sul risultato finale, ma ero certo di volermi tenere lontano dall’idea suggerita dal titolo, ovvero qualcosa che rimandasse alla religiosità e ai contrasti tra bianchi e neri. A questo punto ho puntato molto sulle sfumature: ci sono tantissimi colori, a tratti quasi psichedelici. Senza voler minimamente sminuire il lavoro di chi utilizza il bianco e nero, sentivo che se avessi utilizzato questa soluzione avrei avuto un approccio più scontato.

I miei riferimenti nel campo del disegno sono quasi tutti italiani e a me contemporanei. Io divoro tantissimo Fumetto italiano, amo Ratigher e Nicolò Pellizzon, per esempio. Spostandoci in Francia, invece, mi piace tanto Christophe Blain e la tetralogia di “Gus”. In particolare, di quest’opera mi ha colpito l’uso del colore, una libertà cromatica che va oltre l’utilizzo dei soliti toni seppiati, pratica che per me è intollerabile. A me non piace la limitazione, quindi preferisco un’alternanza di tonalità che assecondi i miei gusti.

Nel progettare “Black Gospel”, volevo che ogni capitolo avesse la propria unità cromatica, per cui ciascuno ha le sue tonalità giustificate da quanto succede nel racconto. I colori devono avere un significato per me. Una delle domande che mi fu posta durante il Lucca Project Contest fu proprio sui colori, in quanto quelli di prova erano troppo surreali, a detta del giudice. Lui, poi, non ha più seguito il progetto, e io ho potuto utilizzarli!

Se osservi attentamente, nel primo capitolo, Maddalena e Barabba sono monocromi in quanto polarizzati l’uno contro l’altro, non ci sono le sfumature che poi acquisiscono nel corso del libro. Solo nell’ultima parte i personaggi sono colorati in maniera naturalistica, mentre il luogo in cui si ritrovano perde di colore.

Come vivi la scena del Fumetto italiano e in che rapporto sei con i giovani autori che stanno segnando questa nuova stagione?

Se si può parlare di una nuova stagione del Fumetto italiano, credo che si debba farlo già da diversi anni, in quanto io non ho la percezione di essere staccato da autori più grandi di me. Le cose preferite che ho nelle mia libreria sono opere recenti. Certo, ci sono dei classici ai quali sono legato, però sono molto vicino ad autori a me contemporanei. Su tutti, posso citarti il nome di Pellizzon, il cui utilizzo del colore mi ha aperto la mente. Penso a “Manuale di anatomia” come a una delle mie opere preferite. Oltre a una bella storia e a dei bei disegni, aveva un impianto narrativo originale, concepito in maniera diversa dal solito. Così come trovo incredibile e allucinato il coloring di “Gli amari consigli”.

Non frequento fumettisti, e le persone con cui mi relaziono non lavorano in questo campo. A differenza di altri che magari tendono a condividere spazi e amicizie con altri colleghi, vivo meglio in solitario quello che per me è un lavoro, mentre la mia socialità è rivolta ad altre persone. Ci sono collettivi che stanno facendo delle cose incredibili, dei prodotti professionali completi e assurdi, ma è un discorso che per ora non mi appartiene.

A cosa stai lavorando ora?

A un progetto segreto con Edizioni BD, di cui ovviamente non posso svelare nulla, e a un’opera che dovrebbe riguardare un personaggio storico femminile che amo particolarmente. Non ho ancora presentato la sceneggiatura, ma spero possa diventare la mia prima pubblicazione all’estero.

 

Pasquale Gennarelli e Vinci Cardona