Il ventitreenne Vinci Cardona ha firmato una delle graphic novel d’esordio più intense ed interessanti degli ultimi anni. Vincitore del Premio Giovanni Martinelli 2016 al Lucca Project Contest e del premio Nuovi Talenti alla XXIII edizione di Romics, l’autore romano ha dato dimostrazione di grandi capacità autoriali, tanto per lo spessore dei contenuti quanto per le soluzioni artistiche adottate nel suo libro d’esordio, Black Gospel.

Nel corso dell’ultima edizione di Napoli Comicon abbiamo avuto il piacere di intervistarlo. Estremamente disponibile e loquace, Cardona ci ha portati alla scoperta della sua accattivante opera.

Ringraziamo Anna Spena, Daniel De Filippis e tutto lo staff di Edizioni BD per la disponibilità.

 

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Cominciamo parlando della tua opera d’esordio, “Black Gospel”, graphic novel intensa, ricca di spunti di riflessione e tematiche. Com’è nata l’idea alla base di questo libro?

Black Gospel: Un vangelo western, copertina di Vinci Cardona

Nasce da un’idea di cui mi ero innamorato già da tempo e che volevo assolutamente trasformare in un fumetto. Mi piace sempre ricordare che “Black Gospel” parte da un sogno. Più precisamente, ho sognato un presepe con dentro dei cowboy di plastica. Ho confidato al mio coinquilino quanto sognato e lui mi ha detto che sarebbe potuto diventare un fumetto bellissimo. “Pensa come potrebbe essere bella una versione western del presepe“, ha aggiunto. Ci ho lavorato un po’ e, sebbene non sapessi dove stessi andando a parare all’inizio di quest’avventura, ero talmente innamorato del progetto da portarlo avanti comunque.

Sono contento che i diversi piani di lettura emergano così bene. Alla base di “Black Gospel” c’è inoltre la lettura dei Vangeli, operazione che ho portato avanti non tanto focalizzando l’attenzione sull’aspetto religioso quanto guardandoli come libri, considerando il grande impatto che hanno avuto sulla narrativa.

Quali sono state le principali difficoltà che hai incontrato nella realizzazione di “Black Gospel”?

È stato difficile imbastire un racconto che parlasse di argomenti così complessi come la redenzione e la salvezza ma allo stesso tempo disponesse i personaggi nella maniera giusta, tutti atti a perseguire uno scopo. Mi interessava dare a “Black Gospel” una problematicità di fondo religiosa, anche se non sono più credente da anni.

Mi faceva piacere realizzare qualcosa che mettesse in discussione tanto gli atei convinti quanto i cristiani o, comunque, i religiosi in generale. Indipendentemente dal tuo essere credente o non credente, quello che conta è la sensibilità con la quale tratti un tema. Non si riduce il tutto a una questione di partigianeria.

Per fare questo, però, ho dovuto utilizzare solo alcuni aspetti dei Vangeli. A esempio, manca del tutto il tradimento, così come manca Giuda, tra le mie pagine. Qualcuno me l’ha fatto notare, e io ho sottolineato come per il tipo di storia che volevo scrivere non mi servisse. A differenza di quanto succede nei Vangeli, i personaggi da me creati non sono perfetti, o comunque non raggiungono quella condizione, e volevo rimarcarlo.

Diversi, dunque, sono i punti di vista su un tema così complesso come quello dell’esistenza di Dio. Tra queste posizioni troviamo anche la tua idea di divinità o hai cercato di mantenerti quanto più esterno possibile alla narrazione?

Spero di essermi mantenuto quanto più esterno possibile alla narrazione, sebbene credo che emerga quanto una delle voci narranti non creda in Dio e non senta la presenza Dio. La parte iniziale si sofferma proprio sui diversi tipi di divinità: uno di queste non comunica con i suoi adepti, quindi è come la divinità degli atei, che non esiste in quanto non dialoga e non manifesta la sua presenza. Oppure, proseguendo nella lettura, appare il grande spirito indiano, incarnazione della forza panteista della natura, che però si trova a regredire in caso di aggressione (l’attacco dell’uomo bianco). Insomma, tanti elementi, tante idee che non devono combaciare, ma che nemmeno devono annullarsi a vicenda.

L’unico punto controverso è nato valutando la possibilità di inserire degli elementi impossibili, come i miracoli. Ho discusso con alcune persone, durante la fase di realizzazione di “Black Gospel”, e alla fine ho deciso di non farlo. A me interessava parlare di redenzione e di come influisca la ricerca della redenzione sui personaggi che hanno qualcosa da farsi perdonare. Nel mio Vangelo il protagonista, Barabba, è una sorta di Pietro al rovescio, in quanto è quello che più degli altri ha bisogno di aiuto per redimersi.

Per i tuoi personaggi utilizzi nomi dei Vangeli, sebbene ognuno di loro intraprenda un percorso personale che li allontana dalla figura originale. Come mai questa scelta narrativa?

Volevo che non seguissero pedissequamente il ruolo che hanno nei Vangeli, quindi, in alcuni casi si scambiano: Barabba, come dicevo prima, è come San Pietro; Maddalena, invece, è come San Tommaso, e crede solo alle cose concrete che le si materializzano davanti. È un personaggio con molti dubbi, e meno di tutti si lascia affascinare da questa religiosità, a differenza di Barabba, che ci crede di più in quanto sente la necessità di essere salvato.

Anche chi riprende il ruolo di Gesù è un personaggio che abbraccia un comportamento messianico, ma poi ha un rapporto con la fede diverso, obiettivi diversi e avrà una riflessione che si distacca dai Vangeli. Non volevo utilizzare i nomi alla stessa maniera, anche per non creare aspettative nel lettore.

Nell’affrontare tematiche religiose, hai utilizzato una struttura e un immaginario western. Da dove nasce questa scelta? È forse il genere che senti più tuo e che meglio ti avrebbe permesso di affrontare questo tipo di argomenti?

Non è un genere che consideravo mio, sebbene – più in generale – io non abbia un genere preferito. Amo ibridarli, mescolarli, vedere dove mi conducono. Questo sì. Sin dall’inizio, però, avevo chiaro il risultato finale: volevo un’avventura, non solamente un mattone religioso. Il western, dunque, mi offriva elementi adrenalinici che, nella mia personale visione, avrebbero aiutato la storia.

Inoltre, il western offre la possibilità di compiere un’attenta riflessione sulla violenza e sulla brutalità. Nel Selvaggio West ci si lascia la vecchia vita alle spalle e si è liberi di cominciare qualcosa di totalmente nuovo, ma il prezzo da pagare – appunto – è la violenza: un elemento problematico che volevo affrontare e sfruttare per la mia graphic novel.

“Black Gospel”, dunque, ha una matrice western non convenzionale. Hai mai temuto le reazioni dei fan più puristi?

Non mi sono preoccupato di quello che un fan del genere avrebbe potuto dire, sono andato dritto per la mia strada. Inoltre, tieni presente che io amo “Ken Parker”, fumetto che rappresenta il mio punto di riferimento del genere, un’opera che non rispecchia proprio i canoni del western. In “Ken Parker”, infatti, emerge una vena politica, con protagonista un eroe malinconico.

Ecco, nel costruire “Black Gospel”, più che sulla politica, sono andato sulla spiritualità. A mesi dalla pubblicazione, i fan che hanno letto il mio fumetto sono contenti di come abbia reso originale la storia e sfruttato il genere.

 

 

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