Alcuni di noi della redazione, non necessariamente tutti ma certamente almeno uno, sono cresciuti in una casa con una taverna. In questo mitologico locale interrato, assieme a console di videogiochi degli anni ’70 e ’80 (tra cui un Atari 2600) e a un mini-canestro inchiodato al muro, c’erano un biliardino… un calcetto… un calciobalilla o come diamine si chiami nella vostra provincia o regione. Per un paio di bambini di sette anni non era un oggetto leggerissimo da spostare e riuscire in questa impresa, che allora pareva titanica, faceva scaturire dalle bocche di questo fantomatico redattore di BadComics.it e del suo inseparabile amico dell’epoca la frase di inflessione invariabilmente lombarda: “Oh, se ce la facciamo, siamo del gruppo dei ninja“. Un riferimento esplicito alla sigla italiana del cartone animato tratto da Teenage Mutant Ninja Turtles, probabilmente il più grande successo di ogni epoca del fumetto underground statunitense, divenuto fenomeno internazionale in brevissimo tempo a partire dalle storie di Peter Laird e Kevin Eastman. Trasposte su ogni media possibile e immaginabile (al di là, scommetteremmo, della radio), stampate su qualunque genere di merchandising, riviste e rivisitate in ogni salsa, le Tartarughe Ninja sono tornate al cinema un paio di settimane fa. L’episodio infantile della nostra introduzione serve a farvi capire, lettori, con quale aspettativa e speranza, con quale affetto per i rettili mutanti siamo andati a vedere il film di cui stiamo per parlarvi.

Tartarughe Ninja 1

April incontra Leo

Speriamo che sia superfluo raccontare l’idea di base del film: quattro umanoidi, decisamente cresciutelli sia per le normali dimensioni di un uomo che per quelle ben più ridotte di una tartarughina, si aggirano per le fogne di New York. Decisamente meno minacciosi del coccodrillo bianco, sono silenziosi e notturni vigilantes che si oppongono all’avanzata di una sorta di gruppo paramilitare che sta tentando di impadronirsi della più grande città d’America, del simbolo urbano dell’Occidente: il Clan del Piede. Leonardo, Donatello, Raffaello e Michelangelo sono adolescenti… un particolarissimo tipo di adolescenti, ma non di meno dei teen-agers, e alla loro educazione ha provveduto un topo di nome Splinter, loro padre e loro maestro. Maestro di che? Di Ninjutsu, naturalmente! Di katana, di bo, di sai e di nunchaku, ovvero le quattro caratteristiche armi che contraddistinguono ognuno di loro, come i caratteri e ruoli decisamente ben definiti: Leo è il capo, Donnie è il genio tecnologico, Mike è il buffone di corte e Raf è il migliore in quello che fa, anche se quel che fa non è piacevole… sì, insomma, è il fratello un po’ ribelle ma di buon cuore. Fin qui tutto familiare, giusto? Perfetto.

April O’Neil è una giornalista. Non esattamente il genere di giornalista che avrebbe voluto diventare la figlia di un famoso scienziato impegnato a scoprire cure genetiche per le peggiori malattie dell’essere umano, ma fare servizi sullo zumba e di ginnastica olistica per un importante quotidiano newyorkese potrebbe essere soltanto la rampa di lancio per incarichi davvero prestigiosi. Solo che la giovane April si sente già pronta, sta seguendo una pista tanto affascinante quanto pericolosa. Quella del Clan del Piede. Sarà in una notte resa ancor più buia dalla batteria scarica di un cellulare che farà il suo incontro prima con il Clan e poi con le Tartarughe, per scoprire che entrambe le fazioni di Ninja sono strettamente legate al suo passato e a quello del suo defunto padre. Da qui, l’inizio di un’avventura tipica da cinefumetto, con i buoni impegnati a sventare il malefico piano dei cattivi per conquistarsi la città e, nel mentre, fare una strage. Combattimenti mirabolanti, parecchia adrenalina, arti marziali e tanta ironia intrecciata all’azione. Due ore scarse di divertimento, giusto (occhio, che ora iniziano gli SPOILER, per quanto blandi)?

Tartarughe Ninja 2

L’aspetto delle Tartarughe

Dipende. Quanti anni avete? Se siete dei dodicenni, allora non c’è problema. Non vi infastidirà una regia discutibilissima e decisamente piatta che fa un ricorso allo slow motion decisamente fastidioso e invariabilmente di scuola Michael Bay, che della pellicola è il produttore. Non avvertirete la mancanza totale di carisma di uno dei cattivi storici dell’immaginario fumettistico occidentale, quello Shredder che non vedevamo l’ora di veder combattere e che oggi non vediamo l’ora di dimenticare. Privo di personalità non perché costruito male, ma perché del tutto inconsistente. Non lo si vede quasi mai se non in armatura, non ha una caratterizzazione e, per quei pochi minuti in cui appare, è totalmente in ombra e non identificabile se non come un giapponese nerboruto. Dov’è Oroku Saki, il maestro livoroso e orgoglioso, il malvagio con manie di dominazione, pronto a ogni compromesso pur di raggiungere il suo scopo? Come faccio a trovarlo minaccioso se non so niente di lui e mi parla solo attraverso la maschera di un’armatura dall’aspetto decisamente troppo voluminoso? Soprattutto, perché non farlo interpretare a quel meraviglioso caratterista che è William Fichtner, che gli gravita attorno strabordando aura di minaccia ad ogni scena in cui appare?

Un’altra cosa di cui dovete riuscire a scordarvi durante la visione, per apprezzarla, è la mancanza di conseguenze di praticamente qualunque cosa accada. Ad esempio, esplosioni in ambienti chiusi (tipo una fogna) che lasciano intatti monitor a schermo piatto, vivi e vegeti topi giganti e perfettamente pettinate pessime attrici more di nome Megan Fox. Ma soprattutto, e qui dovete perdonarci ma stiamo per rovinarvi (rovinarvi?) un nodo della trama (trama?), dovrete dimenticare la storia di origini più risibile che ogni cinecomic con un minimo di pretesa di qualità ci abbia mai offerto fino ad oggi. Nel catalogo delle pagliacciate troviamo, a distanza ravvicinatissima, uno scienziato che decide di darsi fuoco da solo senza che se ne veda il bisogno, per distruggere la propria ricerca ed evitare che cada nelle mani sbagliate, una figlia che invece di tentare di salvare il proprio padre dall’incendio si premura di portare al sicuro quattro tartarughe e un topo, infine un animale antropomorfo che impara il Ninjutsu da un libro. Da un libro.

Un cattivo che non funziona e una storia per nulla plausibile; peggio, piuttosto ridicola. Non proprio un contorno gustoso per il piatto forte, che invece avrebbe potuto funzionare benissimo. Le Tartarughe, infatti, sono esattamente quello che avremmo voluto. Ben caratterizzate, perfettamente rispettose dei personaggi originali, un’ottima sintesi tra quelle di Laird e Eastman e quelle viste nelle altre incarnazioni mediatiche. Interagiscono tra loro in maniera divertente, con alcune scene entusiasmanti. Vederle fare una sorta di beatbox a quattro voci in attesa di un combattimento è decisamente una delle scene più spassose del film. In generale, sono davvero degli eroi adolescenti, con tutta l’immaturità che la situazione imponeva. Anche il loro senso di gruppo funziona, per quanto non aggiunga molto a quel che già sapevamo di loro. Se avevate dei dubbi sul design del loro aspetto in CGI, potete dormire sonni tranquilli, perché anche su questo punto il regista Jonathan Liebesman ha fatto centro. Ma allora perché, perché mai tutte quelle scene con April? Perché tutto quello spazio a una delle peggiori attrici attualmente in attività ad Hollywood, quando è piuttosto chiaro che il tuo pubblico è venuto al cinema per vedere quattro energumeni verdi mangia-pizza darsele di santa ragione con i loro nemici e scambiarsi battute? Non abbiamo una risposta.

Che delusione: avremmo voluto uscire da cinema dandoci dei grandi round-high-five tra amici e facendo la figura dei fessi gridando un banale quanto sonoro Cowabunga. Ora invece ci tocca produrci in una delle attività che ci riescono peggio in assoluto e che la storia ha dimostrato come per lo più fallimentari: confidare in un sequel migliore.