Bleeding Cool intervista Chris Claremont alla vigilia di una nuova pubblicazione, con più contenuti, del documentario di Patrick Meaney sull’autore. Christ Claremont’s X-Men sta per essere rilasciato nuovamente negli Stati Uniti e lo sceneggiatore ha parlato di vari temi riguardanti il Fumetto di supereroi, tra cui il suo rapporto con le iniquità e le ingiustizie sociali. Assieme a lui, intervistato anche Meaney.

 

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Claremont – Se guardo ai personaggi, probabilmente il mio X-Men preferito è sempre stato quello che scrivevo, mentre lo scrivevo. Non ho preferiti, nel pantheon. Li conosco da talmente tanto tempo e voglio bene a tutti quanti. Se ne dicessi uno, dovrei immediatamente aggiungere un altro.

Se penso alla mia storia preferita, direi che sono i numeri dal #94 al #279 incluso. Tutti i diciassette anni della mia run. Per me, si tratta di una sola storia, raccontata in piccole parti. Sceglierne una o un’altra sarebbe come indicare il giorno preferito della mia vita. Impossibile.

Meaney – Ad introdurmi al mondo dei comics è stato il cartone animato degli X-Men. Ho letto Essential X-Men #1, una piccola ristampa di vecchie storie molto economica, e poi Giant-Sized X-Men #1, che riproponeva il ciclo di Chris. Mi spazzò via. Era spettacolare leggere l’intera run presentata come un’unica storia ininterrotta, vederla come l’evento importantissimo che è diventato nella nostra cultura popolare, ripresa da così tanti film e serie TV.

La gente non si rende conto del fatto che tutto questo viene creato da un numero di persone ristrettissimo: Chris e gli artisti che lo hanno accompagnato. Volevo, con il documentario, raccontare qualcosa su questo gruppo di eroi che avrebbe raccontato chi sono anche tra cento anni. Spero che nel futuro la gente guardi il mio film e pensi a chi erano le persone, gli autori che hanno creato i personaggi che, anche allora, ispireranno tanta gente.

Claremont – Credo che il mondo abbia bisogno di fumetti che possano far appassionare dei ragazzi e tenerli con sé per tutta l’adolescenza, fino all’età adulta e alla maturità. Quel che ha reso la Marvel quel che era, per me, era che potevo guardare a Reed, Sue, Ben e Johnny non come a icone, ma come a persone. Li vedi girare per le strade di New York, passare il tempo. Quando ero ragazzino, ho passato un intero fine settimana a camminare per il lower east side in cerca del negozio di sartoria di Del Floria, perché lo avevo visto in una scena di Operazione U.N.C.L.E., e non mi ero reso conto che era solo un’inquadratura di scena. Per me era reale.

Quello che rendeva vitale la Marvel era vedere Thor entrare in un taxi, la Cosa in un bar della zona, i miei personaggi in un deli che sta proprio dietro l’angolo di casa mia. Chiunque può mettersi un costume e prendere a pugni i cattivi, ma la Marvel era così appassionante perché ti permetteva di entrare nella testa dei personaggi, ti mostrava cosa significasse essere una persona di colore con dei poteri; una persona non politicamente corretta, di religione contraddittoria, che cerca di fare i conti con la vita in America e che fa delle scelte senza sapere quali siano quelle giuste. Parlava di uomini e di donne che facevano i conti con le inuguaglianze sociali.

Come fai a lottare contro di esse? Sei un supereroe: come ci fai i conti? Sei un super eroe e fai un errore, o peggio, un amico paga il dazio delle tue decisioni. Ti lasci coinvolgere? E in che modo? Risolvi la questione? Come ti colpisce? Che fai se i tuoi genitori vengono licenziati? Se Zia May non può provvedere a Peter, e lui non può farlo con Zia May, che succede? Queste erano le basi per quelle storie. A cosa rinunci quando riduci tutto a persone con costumi stretti che ne combattono altre? Cosa ricorderà la gente, dopo aver letto quella storia?

Meglio cercare di puntare a quel che faceva Stan Lee, raccontando una storia in cui Galactus attaccava la Terra, gli FQ lo battevano e, nella terza parte della storia… che succede? Johnny Storm parte per il college. Che cosa spettacolarmente normale! Bisogna trovare una connessione: la vita reale di un personaggio di fantasia deve avere un’importanza, una rilevanza per la vita reale dei personaggi.

 

 

Fonte: Bleeding Cool