All’ultima Torino Comics abbiamo avuto il privilegio e il piacere di incontrare Paolo Eleuteri Serpieri. L’iniziale, naturale impaccio di fronte al grande autore, si è disperso immediatamente per l’affabilità e la schiettezza con cui il maestro ci ha accolti e messi a proprio agio. Ne è scaturito questa intensa, appassionante intervista dove abbiamo parlato innanzitutto dell’ultimo capolavoro firmato per la Sergio Bonelli Editore: Tex d’Autore 1: L’eroe e la leggenda. Abbiamo sviscerato il genere Western a lui molto caro, per arrivare alla “sua Druuna”, come chiama affettuosamente il suo personaggio più noto. Abbiamo disquisito sul delicato discriminate tra erotismo e pornografia, passando attraverso un excursus della sua straordinaria carriera, della sua formazione, fino ai progetti attuali e futuri. Vi lasciamo a questa colta e distesa chiacchierata con l’artista internazionale, ringraziandolo ancora sentitamente per la squisita cordialità.

 

Tex d’Autore: L’eroe e la leggenda

Tex d’Autore: L’eroe e la leggenda

Ciao Paolo e benvenuto su BadComics.it. Partiamo subito dal tuo ultimo lavoro, il Tex d’autore che hai realizzato per Sergio Bonelli Editore, inaugurando una nuova collana per l’icona del fumetto italiano. Com’è nato questo progetto?

Questa storia di Tex era già in divenire da tempo. Se ne parlava da un po’ di anni con Sergio anche se lui era dubbioso su alcuni punti. Anche dopo che purtroppo Sergio ci ha lasciati, il discorso è andato avanti. Devo dire che ho avuto carta bianca dalla casa editrice e io ho potuto realizzare quel Tex che ho sempre desiderato.

La storia che hai ideato era qualcosa che avevi in mente già da tempo o ha preso forma per l’occasione?

Come ho detto prima, ho potuto raccontare il personaggio creato da Gianluigi Bonelli così come me lo sono sempre immaginato. Mi piaceva l’idea della storia nella storia. Chi riportava la vicenda veniva ascoltato da qualcuno che a sua volta l’avrebbe poi narrata ad altri. Ne emerge volutamente una visione personale, dipendente da chi parla, che forse manipola addirittura i fatti accaduti, ecco il perché del termine “leggenda” nel titolo. Vi ho aggiunto in seconda battuta il vecchio Carson, un po’ imbroglione poiché non si capisce fino alla fine se sia il vero Carson o un impostore.

Ti sei documentato parecchio prima di metterti al lavoro, a che fonti ti sei rivolto principalmente?

Mi sono rifatto prima di tutto ai film western che amo di più: L’uomo che uccise Liberty Valance di John Ford, oppure Il piccolo grande uomo di Arthur Penn. In quest’ultimo vediamo la battaglia di Little Big Horn raccontata da un vecchio Dustin Hoffman così come l’aveva vissuta lui. Io ho aggiunto un tono più drammatico rispetto alla pellicola di Penn. Mi sono documentato parecchio, certo. Gli indiani delle pianure avevano un codice preciso legato ai capelli. I capelli lunghi sono segno di dignità, autorità, di coraggio. Scalpare un nemico, al di là del gesto brutale, significava privarlo del suo onore e annientarne il timore che magari aveva inculcato prima. Ecco perché anche Tex ha i capelli lunghi, oltre al fatto che negli anni ’50 dell’800 erano pochi coloro che li portavano molto corti; era una questione di comodità e di necessità. Gli uomini di frontiera non trovavano un barbiere dietro l’angolo [sorride] e non era certo una loro priorità andarselo a cercare.

Tex d’Autore - il giovane Kit Carson

Tex d’Autore – il giovane Kit Carson

L’altra figura di spicco della tua graphic novel è Kit Carson. Possiamo dire senza paura di smentita che sei molto legato al vecchio pard.

È una figura che mi affascina moltissimo. Ho tralasciato tutta la parte umoristica, le punzecchiature e le battute tra Kit e Tex, trattandosi di una storia breve e del fatto che i due non fossero ancora così legati da un vincolo di amicizia. Ma mi è piaciuto inserirvi almeno un momento che ricordasse questo rapporto quando all’ “Avevi proprio ragione!” di Carson rivolto a Tex, durante l’attacco degli indiani, lui risponde: “Maledizione, Carson! Non sai quanto mi secca avere sempre ragione!”

Quanto è vicino e quanto si discosta dal canone classico di Aquila della Notte il tuo soggetto?

Per me è Tex. Anche se giovane è Tex, deciso, risoluto. Da ciò si capisce che è Tex. È coraggioso, duro, molto sicuro di sé. Ci sono in lui tutti i semi del futuro ranger raccontato da Gianluigi.

Cosa ti affascina di più del ranger creato da Gianluigi Bonelli e Galep?

È proprio la sua determinatezza, la sua fermezza, anche la sua durezza, che col passare degli anni si sono un po’ ammorbidite, affievolite, non la sua capacità di intuire e distinguere il bene dal male, come dice anche Carson. Sono queste le caratteristiche che da sempre più mi hanno colpito. Mi piace pensare che un Tex così sarebbe stato gradito a Gianluigi. Il finale è un omaggio a lui, l’ho voluto fare per Davide Bonelli oltre a essere dedicato a Sergio, ovviamente. Ci tenevo a dare questa conclusione. Ero molto affezionato a Gianluigi anche se non l’ho mai conosciuto. Ma ho letto le sue storie da bambino e me ne sono innamorato subito.

Orient Express - L'Indiana Bianca

Orient Express – L’Indiana Bianca

Il Western è un genere che conosci molto bene e per il quale hai realizzato un numero incommensurabile di tavole. Qual è il carattere peculiare di Tex rispetto alle altre pubblicazioni?

Per me è quello di essere una saga e un eroe ben riusciti, indipendente dal genere e dall’ambientazione. Io non penso che i lettori di Tex in linea di massima siano grandi appassionati di western, sono grandi appassionati di Tex. Non è tuttavia facile capire il suo successo strepitoso e durevole in così tanti anni. Non è facile dare una risposta definitiva. È un fenomeno molto italiano, di questo siamo piuttosto convinti. Occorrerebbe un trattato sui nostri costumi e la nostra società per sviscerare l’argomento [sorride].

Pensando a icone del fumetto western come Tex, Ken Parker, Durango o Blueberry è lecito asserire che noi europei lo sappiamo fare meglio. Sei d’accordo? Cosa differenzia il Western europeo da quello americano?

Anche questa è una risposta difficile. Oltre a Tex, nel fumetto, noi italiani abbiamo un fiore all’occhiello nel cinema di Sergio Leone, anche se poi abbiamo rovinato tutto con i famigerati “Spaghetti Western”. Abbiamo dilapidato una fortuna lasciataci in eredità dal grande regista romano. Cosa che invece non è accaduto agli americani che ne hanno tratto una lezione e hanno tirato fuori capolavori come Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah del ’69, negli anni ’70 Corvo rosso non avrai il mio scalpo, ovvero Jeremiah Johnson, di Sydney Pollack con Robert Redford, fino a Gli Spietati di Clint Eastwood agli inizi dei ’90. Non ci sarebbero stati senza Sergio Leone, è un merito che dobbiamo prenderci, ma poi noi ci siamo persi. Non credo però che sia esaurita la questione Western, c’è ancora tanto da dire e raccontare. Ecco perché mi sono divertito a fare Tex. Ho creato un po’ di scompiglio [ride], spero i fan mi perdonino.

Lanciostory Anno V n. 38, 24 settembre 1979, copertina di Paolo Eleuteri Serpieri

Lanciostory Anno V n. 38 (1979) – copertina di Paolo Eleuteri Serpieri

In che modo ti sei avvicinato al fumetto e hai deciso di farne il tuo mestiere?

Quand’ero bambino ho iniziato con Pecos Bill e Tex. Notavo i disegnatori. Su Pecos Bill c’erano [Raffaele] Paparella, [Rinaldo] D’Ami e poi [Gino] D’Antonio. Alcuni episodi li aveva realizzati Dino Battaglia, lo adoravo. Su Tex c’era il grande Aurelio Galleppini. Poi c’era il cinema, mi stimolava molto a disegnare. Volevo imitare il cinema col mio disegno più che il fumetto in quanto tale. L’ho fatto sempre, ho sempre puntato al cinema per i miei lavori. Poi sono cresciuto, l’università… Ha avuto la meglio la mia passione per la pittura. Ho fatto per molti anni il pittore e insegnato negli istituti d’arte, nei licei artistici. Non ho mai smesso di leggere fumetti però. Scopersi gli artisti sudamericani, su tutti Luis Salinas e a metà degli anni ’70 il nostro Sergio Toppi. Era meraviglioso. Anch’io ero pregno di tutti i pregiudizi sul fumetto, come un mezzo d’espressione di serie b, roba per ragazzi, un male purtroppo tutto italiano. Mi era stato proposto di fare fumetti ma avevo rifiutato proprio per quei pregiudizi. Quando vidi le opere di Toppi, con quello spessore artistico, mi dissi “questo è un genio”. Quando venni invitato in redazione da Michele Mercurio [fondatore dell’Eura Editoriale, oggi Editoriale Aurea] e insieme ad Alvaro Zerboni mi mise davanti le tavole di grandi autori argentini come Luis Salinas, Alberto Breccia, Juan Zanotto, Rubén Sosa, ecc… Allora capì che si poteva fare qualcosa di egregio in questo campo, di creativo, con una dignità pari a qualunque altra arte. Adoravo raccontare e ho messo insieme le due cose. Agli inizi le storie le scriveva Raffaele Ambrosio, bravissimo sceneggiatore; inventavamo insieme e lui scriveva, poi ha preferito fare l’avvocato e così ho iniziato a scrivermele da solo, ma devo molto a lui. Avevo notato che in Francia molti autori lavoravano da soli su testi e disegni e ho provato a farlo anch’io. La pittura mi manca un po’ oggi, ma mi sono divertito e continuo a farlo facendo fumetti che spero il lettore legga come un romanzo, soffermandosi sulle mie immagini.

La Bible - illustrazione di Paolo Eleuteri Serpieri

La Bible – Illustrazione di Paolo Eleuteri Serpieri

Come nasce un tuo fumetto: sei un autore completo, scrivi i testi e realizzi poi i disegni, come hai appena ricordato. Come avviene questo processo creativo, segui un automatismo o l’ispirazione del momento?

Penso a quello che devo fare, ho una storia nella testa, un canovaccio diciamo così, una serie di situazioni che mi piacciono e le inserisco. Nel momento che inizio a disegnarle ho già la storia nella testa e il finale soprattutto. Quindi passo a collegare queste scene, queste vignette, colmando il vuoto narrativo e sequenziale che le separa. Man mano che la storia prende forma scrivo i dialoghi e il resto. Magari mi ero già appuntato alcune battute, ma non parliamo di un soggetto e men che meno di una sceneggiatura. Io non potrei mai scrivere una sceneggiatura per un altro autore, non è il mio mestiere, quando scrivo lo faccio solo per me e ci capisco solo io [ride]. La mia Druuna è tutta così.

Non possiamo perdere l’occasione di farti qualche domanda proprio sul tuo più grande successo: Druuna. A cosa ti sei ispirato per la sua genesi?

Druuna è un viaggio. Io sono un lettore insaziabile di qualunque genere narrativo, anche di fantascienza naturalmente. Tutto è iniziato da George Orwell. Volevo disegnare qualcosa in quella direzione. Odio tutto ciò che sa di autoritarismo, dittature, oppressioni, gerarchie. Mi ritengo un libertario e tutte queste cose mi danno un vero senso di malessere che sfocia in una vena claustrofobica. Ecco perché ho usato l’espediente dell’enorme astronave alla deriva, una sorta di pianeta artificiale perso nello spazio. È un elemento che richiama la mia claustrofobia; i suoi abitanti ne sono prigionieri e nemmeno lo sanno. Questa è una componente che mi intrigava tantissimo allora. Il personaggio di Druuna è venuto fuori nel primo libro, non doveva essere così, ne avevo in mente altri ma poi lei ha preso il sopravvento.

Druuna: Morbus Gravis

Druuna: Morbus Gravis

Hai preso spunto da qualche attrice o modella per i lineamenti l’aspetto del personaggio?

Beh, penso che si debba partire da La femme publique, pellicola francese di Andrzej Żuławski. Avevo in testa una storia e dovevo inserirvi una donna. Vidi il film e l’attrice protagonista, Valérie Kaprisky. Non la conoscevo ma ne fui rapito, incarnava il mio modello femminile. Poi la cosa è evoluta, sono subentrate sfumature anche di donne reali entrate nella mia vita. C’è stato un periodo di assestamento ma poi credo che la mia Druuna sia rimasta sempre la stessa.

La tua eroina del futuro ha una carica sensuale e sessuale esuberante che esplode in scene molto esplicite. Cosa sono per te l’erotismo e la pornografia, quale confine divide questi due termini solitamente il primo inteso con un’accezione positiva e il secondo negativa?

L’erotismo, il sesso in Druuna sono l’unica via di fuga da quel mondo-prigione, è la vita stessa in contrapposizione all’orrore che la circonda. Lei è carnale, esuberante e vive l’eros in tutta la sua pienezza. Talvolta le scene si sono fatte molto esplicite, me ne sono reso conto, qualcuno si è offeso. Però io non me ne accorgevo mentre le disegnavo. D’altronde come facciamo a rendere graficamente l’erotismo se non esprimendolo per quello che è, per come si manifesta nella sua naturalezza. Cosa c’è di volgare in questo? Il termine pornografia deriva dal francese pornographie, usato per indicare una trattazione esplicita dell’atto sessuale, a sua volta preso in prestito dal greco. Pornografia è dunque il rappresentare l’atto sessuale. Non c’è per me differenza con l’erotismo. L’erotismo è tutto, nel momento in cui io catturo su una tavola un momento particolarmente erotico, sto rappresentando un atto sessuale e quindi faccio pornografia. Ma rifiuto l’accezione negativa che si attribuisce a quest’ultima, non è una parolaccia. Ogni volta che racconto l’eros così come avviene in natura, con un disegno, un quadro, un romanzo, un fumetto, faccio pornografia. Mi dispiace invece e non lo comprendo quando nella rappresentazione dell’eros ci finisce dentro la violenza, sono due principi antitetici, quando li mescolo allora si, divento volgare.

Druuna

Druuna – Paolo Eleuteri Serpieri

Ritieni conclusa l’epopea di Druuna. Vanno di moda oggi sequel e prequel di fumetti del passato che hanno lasciato il segno; potremo rivederla prima o poi in azione?

Bella domanda. Si, credo che probabilmente ci sia ancora qualcosa da dire. È indubbio che Druuna sia diventata un’icona in un certo qual modo. Devo essere sincero, ci sto lavorando. Ho in progetto qualcosa. Qualcuno mi ha proposto di farlo diventare un fumetto seriale, con altri artisti. Sto prendendo in considerazione tutto. Con l’età che ho, non potrò andare avanti a disegnarla io da solo [ride]. Finora ho fatto 8 libri di fumetti, mi piacerebbe arrivare almeno a 10, cifra tonda [sorride].

C’è un genere, un titolo o un altro personaggio su cui ti piacerebbe sperimentare e cimentarti come hai fatto con Tex?

Più che personaggi ho delle storie in testa. Una l’ho anche scritta un po’ di anni fa e mi piacerebbe tanto disegnarla. È sempre un viaggio, una scoperta, come Druuna. È sotto certi aspetti una sorta di western ma il soggetto è più complesso ed è un racconto lungo. Sarebbe bello realizzarlo. Chissà. Vedremo. Tutti vogliono che torni a Druuna ma io ho in mente anche altro [sorride].

Chiudiamo con la nostra domanda di commiato. C’è un fumetto italiano o estero di questi ultimi tempi che ti ha particolarmente colpito?

Penso Ken Parker. Non tutta ma la gran parte della produzione di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo. È un fumetto molto intenso, Berardi è bravissimo e Milazzo è magnifico. Alcuni episodi sono delle perle che rimarranno nella storia del fumetto italiano. Forse avrei evitato in alcuni casi di insistere in modo palese su alcuni elementi di carattere ideologico o politico, io non l’avrei fatto. Ma è una scelta. Tanto di cappello a Berardi.