Teresa, tu invece cosa rubi, al di là dei testi e i libri che ti piacciono? Anche perché per un disegnatore è forse più semplice pensare a cosa trae dalle sue fonti di ispirazione, ma per una sceneggiatrice è forse più complicato. Soprattutto per chi come te, all’epoca del “Porto proibito”, si è trovato all’improvviso alle prese con un genere che non ha mai frequentato. Il mio istinto mi porterebbe a farmi dare una mano da qualcosa che conosco, da autori e opere che mi piacciono e che possano farmi da guida.

portop0Radice – Infatti è un po’ quello che faccio io. Poi mi faccio mille paranoie, perché spesso imparo a memoria dei pezzi di testi, delle citazioni, delle frasi o strofe, ma non mi segno e non mi ricordo di chi siano, e diventano talmente tanto parte di me che le uso, sotto forma di frasi o espressioni. Solo che non ho modo di verificare da dove le ho prese, non c’è il tempo di andare a cercare le fonti.

Adesso faccio le cose un po’ più con ordine, ma capita ancora di pensare a una frase che, magari, hai imparato al liceo leggendo uno dei tuoi tanti guru e di non sapere chi di loro l’abbia detta. In fondo ai miei libri ringrazio sempre tutti quelli che mi hanno fatto da ispirazione, e mi dispiace un sacco quando non riconosco o ricordo chi siano le mie fonti.

Turconi – Lo stesso meccanismo, per cui assorbi qualcosa e poi lo riutilizzi inconsapevolmente, c’è anche nel disegno. Spesso, Teresa mi fa notare che secondo lei ho citato questo o quest’altro e io cado dalle nuvole. Magari ti capita di disegnare un personaggio in una certa posizione e poi ti rendi conto solo in un secondo momento che è proprio la stessa che ha Asterix in un momento preciso o un personaggio di un cartone animato. Ma è del tutto involontario.

Radice – Me ne sono accorta già con “Viola Giramondo”, in cui spesso cito delle frasi di autori che mi piacciono. Ma vai a capire se questa l’ha detta Terzani o Gibran! Vai a rileggere tutto quanto, a caccia!

Turconi – La soluzione sarebbe ringraziare tutti. Tutti quelli che ti vengono in mente!

Radice – Ecco, se proprio invece devo dirti chi mi ispira dal punto di vista narrativo, devo sempre citare il mio amato Cyril Pedrosa. E “Tre Ombre” in particolare. Ha scritto mille altre cose stupende, ma quella storia rimane per me la più emozionante ed è stata la lettura che ha fatto da scintilla, che mi ha fatto pensare che avrei potuto raccontare una cosa tipo “Il porto proibito”.

Dato che non vogliamo rivelare troppo di “Non stancarti di andare”, mi limito a chiedervi qualcosa a partire da quel che già si sa. Cioè che si tratta di una storia di viaggio, che ha a che fare moltissimo con luoghi in cui siete stati e a cui volete bene. Tutto già noto. Ma in realtà, mi ricollego sempre al discorso di prima, dei riferimenti: oltre che dalla tua vita, hai rubato anche dal cinema?

Non stancarti di andare, anteprima 01Turconi – No. Sai che non penso proprio? Non mi viene in mente niente. Ho rivisto volentieri “Ladyhawke”, per “Tosca”, ma “Non stancarti di andare” è proprio un collage di cose della nostra vita, tantissime foto di viaggi in maniera mescolata. Non c’è un percorso all’interno delle nostre storie vissute, ma tante riemergono in maniera disordinata.

Radice – E vale per tantissime cose. Anche “Il porto”, pur essendo una storia ottocentesca e britannica, che pare non c’entrare niente con noi, in realtà c’entra tantissimo con le nostre vite. Solo che lo travestiamo. E questo ci succede in continuazione, anche con i personaggi. Ci si infila sempre dentro in modo mascherato qualcosa che è successo a noi o a qualcuno che ci è vicino. Parla tantissimo di rapporto tra genitori e figli, quindi è chiaro che ci finisce dentro quello che ti è successo, in un ruolo e nell’altro. In maniera mescolata, ovviamente.

Turconi – Questa diluizione degli elementi autobiografici la ritrovi anche nel disegno. Ad esempio, in “Non stancarti di andare” compare il mio tavolo luminoso, utilizzato dalla protagonista femminile per disegnare, per farti capire quali dettagli possano emergere nella storia all’improvviso.

Immagino che abbiate spulciato il vostro archivio fotografico in lungo e in largo, per “Non stancarti di andare”: che sensazione vi ha dato compiere questa operazione così personale?

Turconi – Da un lato abbastanza malinconica, perché molte erano foto della Siria scattate nel 2007, quando era un Paese in pace. Pensare a quello che è successo in questi dieci anni fa un effetto malinconico.

Direste che la malinconia è uno dei temi portanti del libro?

Radice – Sì, decisamente, ma mai senza speranza. Alla fine, racconta cose che stanno succedendo nel mondo oggi, ma il titolo è molto chiaro: nonostante quello che accade, non stancarti di andare. Poi, quando mi si chiede di cosa parli la storia, dico sempre che è incentrata su Iris e Ismail, ma in realtà loro sono i protagonisti principali, ma dietro – e dentro – ci sono un sacco di altre cose. Sono sempre un po’ in difficoltà nel descrivere l’argomento.

Turconi – Come anche a livello di ambientazioni, che sono molto varie. Ci sono le scene in Siria come quelle in montagna, sulle Alpi. Tantissimi elementi sono tratti da luoghi dove siamo stati. C’è anche casa nostra, in qualche modo. Un quadro, importante nella storia, è appeso su un muro di casa nostra.

Siete contenti che “Non stancarti di andare” sfugga a definizione, come genere e come argomento?

Radice – Io credo che un po’ tutto quel che abbiamo fatto sfugga a definizione. Una cosa bellissima ce l’ha detta Michele Foschini di BAO Publishing, quando ha acquisito i diritti per “Il porto proibito”, dopo che l’avevamo proposto da diverse parti e che non era stato accettato proprio perché non aveva un genere ben inquadrato in cui si inseriva. Michele ci disse che, se l’opera sfuggiva alle definizioni, dovevamo andare a proporla a loro. E questo è stato un bel segno d’accoglienza per noi, in BAO.

Anche “Viola Giramondo”, a suo modo, sfugge. Un libro per bambini? Mah. Secondo me, che lo scrivevo quando ero incinta del mio secondo bimbo, era un libro per mamme. Poi, non so! Ho conosciuto piccoli lettori di sette o otto anni che l’hanno adorato e sono rimasta stupita, a modo mio. Perché per me non era un libro per bambini. Quando lo scrivevo, mi chiedevano quale fosse l’argomento e rispondevo che era un libro sulle vocazioni. Oggi, quasi certamente, non lo direi più.

Possiamo dire che “Non stancarti di andare” sia il vostro lavoro più adulto in assoluto, come bersaglio di pubblico?

Turconi – Forse come “Il Porto”.

Radice – Forse un po’ di più, perché manca l’elemento fantastico. Ma il fatto che voglio precisare è che è molto diverso dal Porto Proibito. Siamo sempre noi, non temete, ma non sarà un altro “Porto proibito”. Sarà “Non stancarti di andare”. Storia, fra l’altro, ambientata parzialmente al giorno d’oggi, cosa che ci ha messi molto in difficoltà perché non siamo fan della tecnologia e metterla nella storia ci ha creato qualche problema, anche per alcune scelte narrative che son diventate complesse da costruire.

Ebbene, è la vostra storia più adulta e paradossalmente è dedicata al vostro secondo figlio. 

Radice – Sì. Dedicato al nostro piccolo Attila e a un’altra persona che non sveliamo. Sembra un po’ strano. Quando sarà grande, avrà modo di confrontarsi.