Incontro Scott McCloud a Bologna durante la seconda tappa del tour promozionale di BAO Publishing. Dopo aver trascorso la mattinata immerso nelle quasi 500 pagine de Lo Scultore, stringo la mano al suo autore pronto a scoprire qualche retroscena sull’opera che mi ha scombussolato, una forte riflessione sull’arte e sulla figura dell’artista, ma anche un’emozionante storia di amore, vita e morte.

 

Scott, per cominciare ti informo che sono ancora fresco di lettura de Lo Scultore, dalla prima all’ultima pagina senza interruzioni…

Oh. Sei ancora sveglio? Va tutto bene?

Sì, sì. Confesso che sono rimasto colpito e non potrò fare a meno di rifletterci ancora per qualche giorno.

Oh, grazie!

David all’inizio della storia sta attraversando un momento critico nella sua attività di scultore. Hai mai attraversato una crisi creativa? Come sei riuscito a superarla?

Scultore

Non ho mai avuto una crisi vera e propria come quella di David, ma ho attraversato piccoli momenti di difficoltà, quando non ero certo su cosa fare della mia vita. Ma sono abbastanza strano: da giovane avevo molta fiducia in me stesso, ero sempre convinto di procedere nella direzione giusta, perciò non mi sono mai sentito bloccato come David all’inizio della storia.

Ma sono presto diventato simile a David, una persona sola che spingeva gli altri lontano da sé, ho cominciato a essere introverso e avere davvero pochi amici. Quando avevo l’età di David ero diventato una sorta di eremita, e in quel periodo mia moglie è arrivata nella mia vita e mi ha salvato, nello stesso modo in cui David è stato salvato da Meg (personaggio ispirato proprio da mia moglie).

Ci sono alcune similitudini, ma io sono stato più fortunato di David, perché ho avuto questo raggio di luce su di me, mentre David sente di non avere nulla, nessuno lo ascolta, a nessuno importa più di lui. Fortunatamente non mi sono mai sentito così.

Lo Scultore riflette sulla questione etica di cosa valga la pena sacrificare per la propria arte. Tu cosa saresti disposto a sacrificare per la tua arte?

Io non ho una vita infelice come quella di David, ma tutti gli artisti fanno lo stesso sacrificio: sacrificano tempo, persone, relazioni, serate a base di pizza per dedicarsi alla propria arte.
Nelle vecchie storie del Faust il prezzo da pagare era l’anima, l’eternità, ma se non ci fosse un Dio, un aldilà, cosa sacrificheremmo? Nel mio fumetto vengono sacrificati giorni, David sacrifica i suoi giorni, ed è quello che fanno tutti gli artisti, quello che faccio io, quello che fa chiunque svolga qualsiasi forma d’arte. Sacrifichiamo giorni e tutti abbiamo un indefinito numero di giorni che ci rimangono.

A tal proposito, ho apprezzato molto la tavola in cui David vede un calendario sul marciapiede davanti a sé.

Oh sì, a volte anch’io mi sento così. Tra l’altro nella storia il 9 aprile è l’ultimo giorno sul calendario, e un paio di settimane fa proprio in quella data hanno cominciato a twittare e scrivermi molte persone “Ehi Scott, cosa succederà oggi?” “Tutto bene? Sei ancora vivo?”.

È una storia che ha tra i personaggi la Morte, ma si tratta dell’unica forza sovrannaturale; non è tutta la storia sovrannaturale, quando finisci di leggerla ti rendi conto che è una storia ordinaria, su una persona che sacrifica i propri giorni. La morte è reale. È una vicenda concreta, che parla di questo mondo, perché è ciò che succede a tutti noi.

La sequenza finale, “la vita in un secondo”, è diversa da tutte le altre pagine: Lo Scultore è un fumetto abbastanza regolare, con vignette squadrate… e poi arriva questa sequenza con una struttura della tavola fuori dagli schemi.
Avendo scritto tre popolari libri di teoria del fumetto, senti la pressione di realizzare qualcosa di differente nella forma? Quando cominci a scrivere una storia, pensi a come inserire qualche approccio inedito al fumetto, perché i lettori si aspettano un’evoluzione del medium?

Dipende dai progetti. Alcuni miei progetti sono molto sperimentali e voglio che il pubblico osservi i miei esperimenti e ragioni sulla forma, mentre in altri progetti voglio che si concentri unicamente sulla storia (come nel caso de Lo Scultore). Voglio che i fumetti siano molte cose diverse: a volte possono sfidarti a pensare alla forma e alle forme, ai passaggi tra le vignette, ma in altri casi possono essere mondi in cui tu devi precipitare e perderti al loro interno.

Il sogno di David in cui è circondato da artisti e la città è un piano inclinato fatto di ghiaccio è una metafora molto potente. È così che vedi il mercato del fumetto, o comunque in generale quello dell’arte, dove di questi tempi sembrano comparire sempre più artisti?

Sì, vedo così tante persone (non tutti, ma molti sì) che vogliono farsi un nome, diventare famosi, e il sogno di David rappresenta il nostro mondo, dove affolliamo le strade prima di scivolare e precipitare nell’oblio, con qualcosa che vogliamo veramente a cui aggrapparci per sopravvivere, qualcosa che speriamo sopravviva alla nostra morte.

Immagina di essere il commesso di una fumetteria e riempire uno di quegli scaffali con i consigli per gli acquisti “Se vi è piaciuto Lo Scultore dovreste provare…”

Credo che la storia d’amore di David e Meg contenga echi del meraviglioso Blankets di Craig Thompson, autore anche di Habibi, altro fumetto da leggere assolutamente. Se poi apprezzate Thompson vi consiglio anche E la chiamano estate di Jillian e Mariko Tamaki [anch’esso edito da BAO – NdR].

Mi piacciono sempre molto anche i lavori di David Mazzucchelli, in particolare la sua graphic novel Asterios Polyp [proposta in Italia da Coconino NdR]. Penso che in America i fumetti per bambini stiano diventando sempre più interessanti, autori come Raina Telgemeier stanno cambiando il nostro modo di guardare i fumetti per l’infanzia.

Da anni sempre più fumetti vengono adattati per il grande schermo. Pensi che questo sia un pregio, visto che il pubblico scopre l’opera e poi può recuperare la versione originale, o trovi che il medium possa essere sminuito diventando soltanto una tappa intermedia verso il traguardo del grande schermo?

Scultore città

Non mi preoccupa la competizione. Credo che chiunque faccia film tratti da fumetti debba cercare di realizzare il miglior film possibile, e se questo significa ispirarsi all’opera originale va bene, se deve prendersi delle libertà va bene comunque…

Le persone che lavorano nel mondo del cinema e in quello del fumetto dovrebbero essere ugualmente fiere di ciò che fanno, e se qualcuno rende un film più potente e memorabile dell’opera originale, buon per lui. Forse significa che dobbiamo impegnarci di più come fumettisti.

Ma non mi preoccupo per il mondo del fumetto, godrà sempre di ottima salute e dobbiamo impegnarci per valorizzare le caratteristiche che lo rendono unico e differente da tutte le altre forme d’arte.