[Cannes] The Paperboy, la recensione
Zac Efron, Nicole Kidman, Matthew McConaughey e John Cusack in uno dei peggiori film del concorso, inspiegabilmente selezionato in una manifestazione così importante...
Se già Precious aveva fatto sorgere ben più di un dubbio sulle scelte, le idee e i valori che hanno portato parte del pubblico e della critica all'esaltazione del cinema di Lee Daniels, The Paperboy porta la sicurezza.
La storia è di quelle di passione umida del sud degli Stati Uniti, immersa nelle paludi e nel sudore, nel desiderio non appagato che si sposa con il pregiudizio razziale che sconfina in quello omofobico. Insomma la terra del segreto inconfessato e pruriginoso. Ognuno ha qualcosa da nascondere in una vicenda che agita il criminale, il giornalista, la bella e sensuale, ma rinnega ogni idea di noir per puntare più al melò.Sarebbe in sostanza la fusione del sensuale e del proibito a fare il fascino di questo film. Il modo in cui le passioni del cuore influenzano i movimenti della carne e come tutta questa tensione vitale sia legata indissolubilmente a quella verso la morte. Insomma temi altissimi.
Invece il film di Lee Daniels replica l'idea di base di Precious, ovvero elevare allo stato di emozioni complesse e contrasti forti, quelli che sono stereotipi del cinema, luoghi comuni dei film che poco hanno a che vedere con la realtà senza mai operare una riflessione su di essi e quindi spacciandoli per effettivi per capaci di raccontare qualcosa sulla realtà delle cose.Esempio perfetto di tutto ciò è il corpo posticcio e implausibile di Nicole Kidman, ritoccato ma in costume, agghindato e pettinato come negli anni '60 ma totalmente moderno nella sua falsità. Bloccata artificialmente in un'eterna espressione sensuale (labbra in avanti, zigomi pronunciati...), Nicole Kidman è più falsa che mai, non credibile in nessun momento, specie quando cerca di proporre lo stereotipo in cui ha modellato il suo volto. Un'attrazione che non viene dall'atteggiamento e dalla recitazione ma solo dagli elementi superficiali (per l'appunto il volto ritoccato che aumenta i particolari stereotipicamente sensuali), cioè che non è costruita ma proposta già costruita e quindi insignificante.
Allo stesso modo tutto The Paperboy, con un abuso indecente della pazienza dello spettatore, propone con serietà e un po' di boria scene di provocazione sessuale che consistono in calze strappate e facce da panterona, momenti di tensione tra razze che consistono in volti imbronciati e scoppi di violenza anche poco plausibili. Insomma fa il minimo del lavoro sulla messa in scena, mette in scena il risultato senza il meccanismo, il cazzotto, il bacio o l'amplesso senza la costruzione che li rende epici o significativi.
Una sconfortante povertà espressiva che la storia spaccia per ricchezza agitandosi dalle parti dei temi più alti e morendo in un finale che suscita solo rabbia.