Dickens: l'Uomo che Inventò il Natale, la recensione
Concentrato su una rappresentazione molto poco creativa della creatività, Dickens: L'Uomo Che Inventò Il Natale perde tutti gli spunti migliori per strada
Eppure già a partire dal titolo sembrava possibile mettere in piedi un altro tipo di storia, una a cui il film strizza solo l’occhio senza affrontarla. È quella di Dickens e della maniera in cui l’insuccesso (veniva dal trionfo di Oliver Twist ma tutti i suoi romanzi successivi non riuscivano a vendere) lo spinse ad una trovata commerciale folgorante: inventare il libro natalizio non solo nei temi ma nelle rifiniture, nell’uscita e nelle illustrazione, per tornare a vendere. Il film di Bharat Nalluri poteva battere la strada dell’artista a confronto con il commercio, visto anche come sembra per un attimo voler raccontare una dinamica di disintermediazione molto moderna (Dickens si svincolò dagli editori e produsse tutto in proprio, da indipendente), invece preferisce coprire tutto con la solita aura di grande arte ispirata.
Perché a fronte di tutti questi stimoli non seguiti, quel che il film invece vuole mettere in scena è la tempesta creativa ma lo fa con il minimo della creatività. Nonostante sia pieno di problemi nella vita privata (tra genitori, mogli e amici al circolo) quando entra nello studio per lavorare e scrivere, nel poco tempo che gli rimane tra le rotture di scatole, Dickens incontra Christopher Plummer nei panni di Scrooge e molti altri personaggi del libro che interagiscono con lui. Come fossero attori i personaggi dicono la loro su se stessi, sfidano Dickens, lo insultano e ingaggiano una battaglia dialettica che dovrebbe rappresentare la furia creativa. È in buona sostanza un campionario delle più grandi e romantiche banalità sulla creazione di un’opera intellettuale, la maniera più consueta e abusata di rappresentare la scrittura di una storia, qui purtroppo anche confusa e poco coerente.