Fango e gloria, la rencensione
Operazione di pura propaganda nazionalista nelle cui pieghe però si trova uno dei migliori utilizzi del materiale di repertorio visti negli ultimi anni
Mentre la prima parte è molto canonica e ripiegata su standard di fotografia e raffinatezza di scrittura di sicuro impatto sui dirigenti che hanno approvato e supervisionato il progetto (ovvero quelli delle prime serate di Rai Uno), la seconda è decisamente più audace. Non solo la colorazione dei filmati in bianco e nero non stona per nulla (per quanto cercare un po' più di somiglianza tra quel tipo d'immagine e la fotografia delle parti dal vero sarebbe stato un colpo micidiale e il sapore dell'occasione mancata rimane!) ma la selezione delle immagini e la maniera in cui dialogano con le parti di finzione non è niente male davvero!
Il cinema italiano ha un cattivissimo rapporto con le immagini di repertorio, solo eccezioni come Vincere sono riusciti a contraddire quest'infausta tradizione. Fango e gloria sembra quindi ridestare un gigante dormiente, trova la poesia in quel che in teoria poesia non avrebbe, riesce a mettere in scena il realismo e si prende addirittura la briga di una metariflessione con il protagonista che indica quel che vede nelle immagini.Certo, il tono di tutto il film è degno del libro Cuore, un trionfalismo nazionalista che tace sugli insuccessi e celebra qualsiasi successo con un'epica senza senso, che spaccia azioni velleitarie e di propaganda per "vittorie della fantasia", che esalta i valorosi caduti di battaglie perse e si commuove su quelle vinte. Ogni apparato statale è encomiabile e anche la comparsa dei monarchi è segno di solennità, tuttavia sarebbe ingiusto non riconoscere in questa macchina da repertorio un gusto retro e una sapienza di montaggio poco comuni.