Guest of Honour, la recensione | Venezia 76

Con il fiacco Guest of Honour, Atom Egoyan non sfrutta appieno il potenziale di una dramma incentrato su memoria ed espiazione

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"Perché non mi ha detto nulla?" chiede con occhi lucidi Veronica (Laysla De Oliveira) a Padre Greg (Luke Wilson), il prete incaricato di pronunciare l'elegia funebre di suo padre Jim (David Thewlis). La domanda è solo una tra le molte che restano senza risposta in Guest of Honour, il dramma diretto da Atom Egoyan presentato in Concorso in questi giorni al Festival di Venezia.

Che vi siano punti insoluti nell'intreccio di linee temporali del ritratto padre-figlia del cineasta canadese non sarebbe, di per sé, un difetto: è la fiacchezza della scrittura - prolissa e fuori fuoco, considerati gli standard di Egoyan sceneggiatore - a decretare il fallimento di un'operazione che, in partenza, dimostrava un potenziale poi colposamente sprecato.

Nell'odissea di Veronica, finita in carcere per l'ingiusta accusa di abuso di potere sullo studente diciassettenne Clive (Alexandre Bourgeois), passato e presente s'intrecciano per rivelare gradualmente allo spettatore il nodo che spinge la donna ad accettare una condanna ingiusta, il gravoso senso di colpa che intuiamo affondare le radici in un tempo ormai molto lontano; in parallelo viaggiano i tentativi di Jim di scagionarla, attraverso un esercizio non propriamente ortodosso della propria professione di ispettore sanitario nei ristoranti.

Epurato dalle troppe contaminazioni e lungaggini pretestuose - su tutte, l'ampissima digressione sul ristorante armeno di proprietà di Anna (interpretata da Arsinée Khanjian, moglie di Egoyan), inizialmente accattivante ma rovinata da un exploit del protagonista fin troppo didascalico - Guest of Honour contiene un tema centrale assai caro al suo autore: la memoria. Attorno alla fallacità del ricordo ruota tutto il conflitto irrisolto tra Veronica e Jim, e da esso scaturisce la presente incapacità di perdonare e perdonarsi della ragazza.

Spunti interessanti che, associati alla dimessa ma efficace performance di Thewlis, sarebbero certo stati terreno fertile per un gran film nelle mani di un Egoyan più ispirato, ma che qui danno vita a una stanca cronaca famigliare che trova, nella sovrapposizione dei suoi piani temporali, l'unico elemento narrativo in grado di salvare lo spettatore dalla noia. Il rigore dell'asciutta messinscena avrebbe dato risalto e forza a una sceneggiatura meglio congegnata, ma finisce qui per appiattire ulteriormente un'opera troppo nebulosa e disorientata per essere promossa.

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