Nemico di classe, la recensione
Un professore duro, d'altri tempi, un suicidio e una classe in rivolta. In Nemico di classe c'è tutto quello che vi aspettate ma è pronto a farvi cambiare idea
A scanso di equivoci, Nemico di classe è un film molto tecnico in cui il regista si nasconde e attraverso un gioco di torti e ragioni, che fa finta di mostrare i fatti per come sono e invece attua il massimo della manipolazione del pensiero dello spettatore con l'obiettivo di dimostrare proprio come molto spesso i meccanismi attraverso i quali ci schieriamo siano sclerotici.
Il principio è quello diventato sempre più pervasivo (grazie a Dio!) dopo Una separazione: creare dei poli d'attrazione di torti e ragioni e cambiarne la polarità di continuo, far sì che lo spettatore sia prima attirato da una parte, convinto dalle tesi o dall'atteggiamento di qualcuno e poi invece attirato dall'altra, costretto cioè a cambiare idea.
Questa volta per l'appunto più che i fatti (come nei film di Farhadi) sono gli atteggiamenti a tradire una fallacia di ragionamento, perchè nel caso del suicidio di una studentessa il primo degli imputati è un professore duro e inflessibile, che dice le cose come stanno ma soprattutto non è per nulla incline a venire incontro agli studenti, un professore fuori dal tempo che ha una visione del rapporto insegnante/studente da anni '50: "Una volta gli studenti temevano noi, oggi noi temiamo loro. Non l'hai ancora capito?" gli dice ad un certo punto la preside, che si trova a mediare tra la sua durezza e una possibile rivolta di un gruppo di studenti che hanno motivo d'incolpare lui e i suoi metodi del suicidio della ragazza.Ma non gli bastava a Rok Bicek e per essere ancora più duro mette tra gli studenti in rivolta contro il professore "nazista" anche uno più sensibile a cui è morta la madre da pochissimo, il massimo dell'incontestabile. Fa bene quindi vedere Nemico di classe, perchè è cinema di testa che non dimentica mai la forma, che sa che sul grande schermo qualsiasi concetto nasce da come si riprende e si monta alla stessa maniera che da come si scrive o si recita, per questo mette la forma al servizio degli schieramenti, lavora di ambienti stretti e macchina a mano per creare un scontro che non è fisico ma di parola, di logica e che ad un certo punto necessita di un clamoroso superamento del più atavico, banale e radicato dei pregiudizi. C'è una punta della cattiveria di Haneke verso lo spettatore unita all'amore per la forza delle parole dei cineasti degli anni '60 in questo ragazzo all'opera prima.