Questione di tempo, la recensione
Al suo terzo film da regista e ottavo da sceneggiatore il mago delle commedie britanniche centra totalmente il bersaglio e realizza il più onesto film sui sentimenti di quest'annata...
In questa perla di film Richard Curtis riesce in due miracoli: il primo è raccontare una storia realmente sentimentale attingendo ad un repertorio solitamente fallimentare che oscilla tra il romanticismo dichiarato e il buonismo familiare, senza mai rendere questi due elementi indigesti ma anzi donando l'illusione di un impossibile realismo umano, il secondo è rendere l'uso in chiave romantica e strappalacrime di Il mondo di Jimmy Fontana un momento per nulla kitsch, anzi realmente commovente (no dico: Il Mondo di Jimmy Fontana!).
Dopo decenni di perfezionamento Curtis (che aveva iniziato scrivendo film originali e di successo come Quattro matrimoni e un funerale e Notting Hill e lavorando con Rowan Atkinson a mr. Bean) pare essere giunto alla punta massima del suo cinema.
Tim viaggia nel tempo per aggiustare la sua vita e come sempre in questi casi non fa che complicare tutto (lo abbiamo già visto accadere in La ragazza che saltava nel tempo di Hosoda, lungometraggio d'animazione che ha più d'un punto in comune con Questione di tempo). Diversamente dal solito però il film si stanca molto presto della novità dei viaggi nel tempo e di questa storia comincia a prediligere le piccolezze ordinarie, passando dal concetto di viaggiare nel tempo per aggiustare il futuro a quella di recuperare il tempo perduto. Una banalità che, nelle mani di Curtis e nella fotografia straordinaria di John Guleserian (chi ha visto Here di Spike Jonze ancora ha negli occhi i suoi controluce), diventa materia semplice e profondissima, efficace e seria per mostrare quello che in ultima analisi è il bersaglio mancato da moltissimo cinema: la condanna inesorabile che è lo scorrere del tempo.
Affrontando la storia di un ragazzo nell'arco di una 15ina d'anni Curtis non tocca il tema dell'invecchiamento (il vero tema non riconosciuto di almeno un quarto dei film che vediamo al cinema) ma giocando con il tempo riesce a rendere in maniera rinnovata ed efficace l'avventura straordinaria della più banale e meno interessante delle vite. A far questo ci aveva provato già in passato ma la sua tendenza a guardare al sentimentalismo mettendone in luce il meglio invece che il peggio come solitamente si fa, cioè le gioie invece che le tragedie, era sempre sfociata in una melma insensata di sorrisetti complici, ralenti ruffiani e piccinerie da prima serata televisiva.
In Questione di tempo per la prima volta questo grandissimo scrittore per lo schermo ha il cinema vero a coprirgli le spalle, spianargli la strada e proteggerlo. Ed è tutto un altro paio di maniche.