[Roma 2016] Cicogne in Missione, la recensione
Dall'unione di uno sceneggiatore e un animatore esce Cicogne in Missione, un'esilarante fusione di leggerezza televisiva e pesantezza del cinema
Capaci di sfiorare l’assurdo puro in un film che mantiene entrambi i piedi per terra (in una scena esilarante i personaggi ordinano un pacco e una volta ricevuto ci entrano dentro e chiedono la restituzione della merce per essere riportati quartier generale, tutto in pochissimi secondi), Stoller e Sweetland giocano con la tradizione nel medesimo campo di Chuck Jones e Tex Avery, autori di alcuni tra i migliori e più significativi corti animati del '900 proprio alla Warner. Eppure in maniera molto moderna i due trasformano anche la spensieratezza dell’animazione televisiva in film combinandola con un’ambientazione più che seria. La leggerezza dell’episodicità appesantita a dovere grazie allo schermo ampio del cinema, così grande da contenere qualcosa di più delle singole gag o scene, capace di mostrare scenari più ampi e mettere in risalto il contesto.
Con un’anima da addetto ai lavori (Doug Sweetland è stato per anni animatore della Pixar) e un’altra da estraneo (Nicholas Stoller è sceneggiatore di film live action), questo film è il contraltare della Pixar. Se per lo studio di Lasseter le aziende sono un bene, la loro struttura è la macchina perfetta (la troviamo in Monsters & Co., Inside Out e molti altri film) e nei loro meccanismi c'è la risposta a tutto, per Cicogne in Missione, l’azienda è la morte dell’individuo. Non si tratta di un capo cattivo e spietato che costringe tutti ad un freddo business (quello capitava anche in Monsters & Co.), ma della maniera in cui ogni impiegato vive la logica aziendale. Plagiati oltre il razionale all’idea di promozione, al servilismo e alle piccinerie da macchina del caffè (con il classico personaggio vanaglorioso, emarginato e complessato), le cicogne sono diventate qualcosa di diverso proprio stando in un’azienda e finchè questa non cambierà non ci potrà essere catarsi.