Venezia 75 - Opera Senza Autore, la recensione

Opera Senza Autore di Florian Henckel von Donnersmarck è un interminabile, melenso affresco della Germania tra gli anni '30 e '60

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Riuscite a immaginare la peggior fiction in costume che il piccolo schermo vi abbia offerto negli ultimi anni? Dilatatela fino all'inverosimile, infarcendola con tutti i cliché più pigramente usurati della letteratura filmica, e avrete un'idea di ciò che lo spietato Florian Henckel von Donnersmarck ha propinato al pubblico veneziano con Opera Senza Autore, patinato polpettone con ambizioni da affresco storico ambientato tra il 1937 e il 1966.

Illustrarne la fiacca trama nei dettagli sarebbe superfluo e scoraggiante, trattandosi di una stucchevole sequela di situazioni viste e riviste nei film dedicati alla storia tedesca del XX secolo; neppure l'alternanza tra nazismo e comunismo solleva Opera Senza Autore dallo stantio manicheismo da telenovela, sempre più snervante via via che il malcapitato spettatore s'addentra nei prevedibilissimi meandri della trama.

A dispetto dei suoi 188 minuti di durata, l'opera - con autore, ahilui - del cineasta tedesco è inoltre colpevole di relegare Paula Beer (protagonista, qualche anno fa, dello splendido Frantz di Ozon) a un ruolo di retrograda piattezza. Poco o nulla possono fare, inoltre, i pur ottimi Sebastian Koch (Le Vite degli Altri), Oliver Masucci (Lui è tornato) e, soprattutto, il protagonista Tom Schilling, che s'impegna strenuamente per conferire al suo Kurt Barnert una tridimensionalità pressoché assente dalla sceneggiatura.

La battaglia interiore dell'artista alla ricerca di una propria poetica personale viene ridotta a involontaria farsa, e il viaggio dal realismo socialista all'iperrealismo passando attraverso le avanguardie è quanto di più lontano possa esistere rispetto al concetto stesso di arte e d'ispirazione. Come se non bastasse, la resa dei conti che ci viene prospettata sin dalla fine del primo atto si rivela alquanto deludente, privando il film persino del consolatorio traguardo di un soddisfacente finale tradizionale.

Stupisce pensare che il regista di Le Vite degli Altri abbia appiattito ogni profondità in questo strabordante minestrone di ovvietà e sentimenti a buon mercato, come stupisce pensare Opera Senza Autore sia stato scelto per rappresentare la Germania nella corsa agli Oscar 2019. Le ragioni dietro la sua presenza al Festival di Venezia restano misteriose tanto quanto il suo titolo, spiegato in modo ridicolmente fumoso e contraddittorio nell'anelata scena finale.

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