Venezia 75 - The Mountain, la recensione
The Mountain, il sofisticato film di Rick Alverson con Tye Sheridan e Jeff Goldblum, non è all'altezza delle vette autoriali a cui ambisce
La complessa riflessione di Alverson sul paradosso dell'arte e della dicotomia tra ragione e follia attraversa, come un'arteria invisibile, il corpus di The Mountain; il pretesto è offerto dalla storia del giovane Andy, fresco orfano del padre pattinatore (Udo Kier), che viene "adottato" - o rapito - dal dottor Wally (Jeff Goldblum), donnaiolo che pratica lobotomie ed elettroshock nonché ex medico/carnefice della madre del ragazzo.
Il gusto visivo di Alverson non conosce cedimenti: l'inizio del film chiarisce sin da subito l'ambizione pittorica del cineasta, che inquadra personaggi e ambienti in vere e proprie cornici visive, rallentando i movimenti dei protagonisti fino all'inverosimile per enfatizzare il già evidente parallelismo con l'arte figurativa (Norman Rockwell in primis) e fotografica. La bellezza delle visioni offerte da The Mountain cozza con la bruttura interna delle vite che lo attraversano, quella di Andy in primis.La storia del protagonista è un desolato viaggio dell'eroe, una dolorosa transizione dall'infanzia all'età adulta attraverso la distruzione dei sogni - tanto figurata quanto letterale - e l'anelito a una consapevolezza accennata nel formidabile monologo di Denis Lavant, folle detentore di una verità elargita sotto forma di delirio. All'attore francese e a Goldblum si devono le migliori interpretazioni del film, poiché il povero Sheridan risulta ingabbiato in un personaggio assurdamente immutabile a dispetto delle vicissitudini affrontate nel corso della storia.
Le altissime ambizioni dell'opera emergono tanto nei momenti più agghiaccianti - le scene in manicomio sono la perfetta esemplificazione dell'orrore asettico dei metodi di cura in voga negli anni '50 - quanto in quelli comici, e va dato atto ad Alverson - artista poliedrico con all'attivo una ricca carriera musicale nel gruppo chiamato, non a caso, Gregor Samsa - di richiamare talvolta alla mente il grottesco di giganti come Lynch e Andersson.Tuttavia, The Mountain non riesce a lasciare un'impronta significativa nella nicchia artistica in cui ambisce a rifugiarsi con sdegno aristocratico; la sua pretenziosità lo rende inaccessibile proprio come la montagna più volte menzionata, soglia mutevole di un'illuminazione ineffabile, la stessa a cui il disorientato pubblico anela nel disperato tentativo di decifrare questo geroglifico filmico dalle fattezze accattivanti.