Yonder: The Cloud Catcher Chronicles, il più placido degli open world - Recensione
Un open world pacifico: la recensione di Yonder: The Cloud Catcher Chronicles
Quello che Yonder: The Cloud Catcher Chronicles invoglia subito a fare è correre in giro e raccogliere cose, compiti che possono apparire semplicissimi, e di fatto lo sono, ma che costituiscono una grossa parte di quanto preveda il sistema di gioco. E' appena accennata la presenza del male a Gemea, non si manifesta minaccioso, è un miasma che soffoca alcune aree di un mondo per il resto rigoglioso, nel quale gli abitanti vivono sereni, in perfetta comunione con la natura, sfruttando quanto essa offre per vivere. Il viandante, il giocatore, si inserisce proprio in questo rapporto, con le ore di gioco che si affastellano arriva a farne parte, passa da esploratore ad abitante, anch'egli, non solo perché luoghi e persone gli diventano familiari, ma soprattutto perché si inserisce anch'egli nel meccanismo produttivo.
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Il vagabondare, nel videogioco di Prideful Sloth, non è fine a sé stesso, avviene attraverso un mondo ampio (ma non vastissimo) e ricco di risorse: pietre, legno, minerali, piante, tutto può servire per iniziare a realizzare piccoli oggetti prima, costruzioni poi, attraverso un processo di crafting elementare, ma che si collega benissimo alla base ludica, ovvero il peregrinare. Il crafting è necessario per completare, per esempio, le sfide secondarie, per arrivare a padroneggiare i vari mestieri che il gioco propone, dal carpentierie al costruttore al cuoco ad altri ancora; oltre che utile, è divertente, perché incide sulla personalizzazione del viandante e del suo spazio vitale: si possono cucire vestiti attraverso i quali sceglierne l'aspetto, si possono realizzare edifici e abbellimenti per le fattorie che è possibile costruire in giro per Gemea, nelle quali magare allevare animali, piantare alberi e fiori, sempre col fine di ottenere risorse.
"la voglia di scoprire un altro pezzetto del mondo regala tanto, attraverso piccole emozioni"E' sottilissima, quasi inesistente, la linea narrativa che dovrebbe condurre il giocatore. Si preferisce fin da subito slegarsi da essa, tutto il mondo è immediatamente a propria disposizione, si possono attraversare i biomi che lo compongono in qulunque ordine, e si viene incoraggiati a farlo, perché per completare alcuni compiti occorrono materiali presenti in altre aree: ecco quindi come si generi quel caos spensierato causato dalla voglia di scoprire un altro pezzetto del mondo, nonostante le missioni si accumulino, che tanto regala, attraverso piccole emozioni, che possono essere il riuscire a costruire un ponte, il liberare un'area dal miasma, il godersi, semplicemente, uno dei tanti bellissimi scorsi che il gioco, nonostante la sua tecnica basilare, offre, puntando fortissimo sull'illuminazione, sugli effetti ambientali e su una direzione artistica delicatissima. Peccato che il gameplay non si articoli, nemmeno di poco, oltre le basi di ogni sua singola componente, oltre la basilarità del creare oggetti da un menù, dell'avere a disposizione fattorie che in realtà pochissimo aggiungono alla sostanza ludica, del completare missioni secondarie in un paio di passi; peccato che piccoli difetti, come un sistema economico basato sul baratto, che richiede di avere quindi tanti oggetti da scambiare a fronte di uno zaino che ne contiene ben pochi, minino la godibilità complessiva della produzione.[caption id="attachment_176022" align="aligncenter" width="600"] Pur nella sua semplicità la componente visiva del gioco è in grado di regalare scorci emozionanti[/caption]
Sarebbe ingeneroso giudicare Yonder: The Cloud Catcher Chronicles secondo canoni critici particolarmente stringenti, perché nella loro volontà di realizzare un'opera particolare i ragazzi di Prideful Sloth sono comunque riusciti a centrare il loro obiettivo. E', a suo modo, un videogioco quasi unico, perché molto prende da esponenti di vari generi, pur non assomigliando in realtà a nessuno di essi. Non per questo se ne possono trascurare le lacune, su tutte quella mancanza di una maggiore ricercatezza nel gameplay che può e deve essere il punto sul quale lavorare maggioramente qualora il team di sviluppo dovesse decidere di dar seguito al gioco. Così com'è si tratta comunque di una produzione molto godibile, semplice certamente, ma a tratti anche ammaliante, grazie al suo fascino sereno e contemplativo. E' una piacevole escursione, non particolarmente avventurosa, ma in grado di suscitare una placida gioia.