C’era grande attesa intorno a The Real Deal, centesimo episodio di Agents of S.H.I.E.L.D.. Si diceva che la puntata sarebbe stato l’evento più grandioso mai affrontato dalla squadra, e che dopo nulla sarebbe più stato come prima. Per certi versi è così. Si tratta di una puntata, la dodicesima della quinta stagione, che sa di essere importante e che vuole esserlo. E offre tutto ciò che può per aiutare la propria causa. È un grande omaggio, fin dalla opening che racchiude tutte le varianti viste finora, alla storia della serie partita senza troppi entusiasmi nel 2013, ma è anche un episodio carico di rivelazioni, per noi e per i protagonisti, e di eventi a lungo attesi. Se questo fosse l’inizio della fine per Agents of S.H.I.E.L.D. – ancora non sappiamo nulla su un eventuale rinnovo – il congedo non poteva partire in modo migliore.

In realtà l’avvio della puntata è piuttosto ingenuo nelle sue premesse, come molto didascalica è anche l’intera operazione in sé. L’esplosione della scorsa settimana ha innescato un’anomalia spazio-temporale che minaccia di distruggere il pianeta, e la squadra di Coulson deve intervenire per mettere un cerotto (quasi letteralmente) alla falla prima che tutto precipiti. Sta di fatto che questa anomalia si manifesta in modo particolare, sfruttando le paure più forti di tutti i personaggi e rievocando ricordi mai superati. Tutto questo, in modo molto artificioso, si trasforma in un grande omaggio che la serie fa a se stessa, alle minacce sconfitte e ai nemici superati. Vediamo i Kree, vediamo Lash, verranno citate tutte le ambientazioni, come il Framework, ma anche le copie meccaniche.

È tutto molto semplice, quasi sopra le righe. Ma funziona, e funziona molto bene. Agents of S.H.I.E.L.D. ha momenti drammatici, ma non si è mai preso fino in fondo sul serio, e può permettersi anche un piccolo gioco metanarrativo come questo, soprattutto se accompagnato a vari momenti ad alto tasso emotivo. Vediamo quindi la squadra che scopre la le condizioni critiche di Coulson, e ci sono due bei momenti di condivisione a cuore aperto con Daisy e con May. In generale c’è un grande senso di sacrificio che traspare dal racconto, forse l’inizio di un passaggio di testimone alle generazioni più giovani, e quindi a Daisy. È tempo di andare avanti, di non cedere alla paura dell’inevitabile, ma di trovare nuovi appigli e nuove speranze.

Ecco allora che il momento cardine dell’episodio (che sembra quasi uno standalone) non è tanto l’arrivo dello Zephyr, che ci riporta per breve periodo Deathlok, né la chiusura della faglia (a qualcuno è venuto in mente Doctor Who?), ma l’attesissimo matrimonio tra Fitz e Simmons. C’è l’idea di un cerchio che si chiude, e di una storia che finalmente, dopo mille separazioni attraverso il tempo e lo spazio, arriva al giusto e meritato risultato. La serie poi ne approfitta per sganciare una piccola bomba, con la rivelazione del fatto che Deke è un discendente della coppia. Non del tutto imprevedibile, ma comunque una bella svolta.