Foto a corredo di questa intervista a Troy Baker per The Last of Us courtesy of HBO/Sky

La prima cosa che mi colpisce di Troy Baker, appena si palesa sullo schermo del mio iMac dallo studio della sua casa di Los Angeles per chiacchierare di The Last of Us con me e qualche altro giornalista, è il perfetto allestimento tanto del suo studio quanto della sua zoom call.

In tre anni di junket da remoto ho visto star di Hollywood collegate nei modi più disparati: da chi stava in salotto di casa in pigiama, da chi si palesava con “inquadrature da boomer” che non avrebbero sfigurato in un qualche meme, a chi ha avuto problemi tecnici di ogni tipo.

Il collegamento di Troy Baker, immagino anche per il suo background professionale fatto di musica, doppiaggio, recitazione e registrazione di podcast, è impeccabile: inquadratura leggermente dall’alto spostata un po’ lateralmente, alla sua sinistra (quindi alla destra dello schermo) un mixer con sopra due statuette di Joel ed Ellie, alle sue spalle s’intravede una chitarra classica e, sullo sfondo dell’inquadratura, una postazione musicale con una tastiera. Sul monitor al di sopra della keyboard sta girando, probabilmente in emulazione, Mortal Kombat II. Quando glielo facciamo notare, il suo volto s’illumina “Siete i primi della giornata che l’hanno notato, dovevo per forza metterlo!”.

Incontriamo Troy Baker, la voce videoludica di Joel in The Last of Us Parte I e II, per parlare, naturalmente, della serie TV della HBO, dove Craig Mazin e Neill Druckmann l’hanno voluto non solo alla conduzione del podcast ufficiale di commento ai vari episodi, che potete trovare sul canale YouTube di HBO Max (o su Spotify, naturalmente), ma anche nell’ottava puntata nel ruolo di James, il braccio destro di David (Scott Shepherd), il capo dei cannibali. Una parte che lo ha incuriosito per il pragmatismo di un personaggio che non è il classico tirapiedi bidimensionale. Ma la nostra discussione con lui non può che partire da una domanda sul vedere Pedro Pascal alle prese con la versione live action di un personaggio che lui conosce così bene.

Quali sono le qualità che Pedro Pascal ha portato a un personaggio come Joel che tu conosci così bene?

Ho avuto la mia opportunità d’interpretare Joel e mi pare che, specie con The Last of Us Parte II, di aver dato davvero tutto. Non mi sono trattenuto in nulla e penso di aver dato davvero tutto al personaggio. Ora è il turno di Pedro di mostrare al mondo quanto Joel sia un personaggio così tragicamente bello. Pedro porta tutta una fisicità che io, in un certo senso, ho tralasciato, una vulnerabilità che è davvero adeguata ai toni della serie Tv. Sai, credo che alcune delle cose che Pedro fa nella serie di The Last of Us non sarebbero andate bene nel videogioco perché quando giochi vuoi che il personaggio che controlli possa fare cose che tu non potresti fare. Nel viedeogioco abbiamo sfruttato questa cosa per esplorare emotivamente il gioco, ma, a conti fatti, se ti ferisci devi essere in grado di curarti e tornare subito a combattere gli infetti o i cacciatori. Poi nella serie TV si trascorre anche del tempo con altri personaggi e si toglie la responsabilità della storia dal singolo elemento che, però, finisce per metterlo a suo agio, fin dall’episodio 1, mostrando anche altre sfaccettature della sua personalità. E la maniera con cui lo fa Pedro … cavoli se è bravo! In ogni puntata Pedro fa qualcosa che mi fa scoprire un altro aspetto di Joel, ed è fantastico.

Nella serie interpreti un antagonista, qual è l’aspetto che ti ha divertito di più di questa esperienza?

Già il semplice fatto di stare lì per me è stata una vittoria! Sai, l’ho già detto anche ad altri giornalisti, non era qualcosa che avevo previsto, non faceva parte di nessun tipo di accordo che avevo con Naughty Dog, ma ero sicuro del fatto che se fosse scappata fuori una parte adatta per cui Craig e Neill pensavano che io sarei andato bene, si sarebbero fatti vivi. E cavolo se non l’hanno fatto! Nella mia testa pensavo che mi sarei limitato a essere una comparsa che cammina sullo sfondo, una specie di ammiccamento verso il pubblico che conosce il videogioco. Ma invece mi hanno dato un personaggio con cui ho davvero potuto fare qualcosa, c’era una vera posta in gioco emotiva in ballo. Quando sono andato al lavoro per il mio primo giorno – considera che normalmente mi tocca indossare una tuta per la motion capture che ha sopra dei sensori tipo palline da ping pong e sulla testa un altro dispositivo per la rilevazione dei movimenti del volto e sono tutte cose che ti fanno apparire un po’ ridicolo – ritrovarmi su questa splendida location con della vera neve, il vento che soffiava fra gli alberi in prossimità di un autentico fiume mentre avevamo a che fare con un verissimo cervo finto è stato un bellissimo momento per realizzare che era come un cerchio che si chiudeva, ti quanto io mi senta grato di essere parte di questa cosa, di aver partecipato al videogioco, di vedere quello che ora Pedro fa con Joel in questa nuova incarnazione della storia, di essere diventato un osservatore di quello che viene fatto nello show, anche tramite il podcast ufficiale che faccio con Neill e Craig in cui spero di dare una risposta alle domande che immagino tutti si fanno dopo ogni puntata e che io ho l’opportunità di porgere loro. Per me è davvero un onore l’essere stato invitato da loro al – come si dice – tavolo dei grandi?

The Last of Us Troy Baker

Nel primo The Last of Us sei portato a stare dalla parte di Joel, malgrado i suoi difetti. La parte II scava più in profondità nelle conseguenze delle sue azioni. Il tuo giudizio morale sul personaggio è cambiato negli anni?

Senza essere troppo superficiale, trovo che un personaggio come Joel sia un gioiello perché puoi esaminarlo illuminandolo da tanti punti di vista diversi, studiando tutte le sue sfaccettature. A volte può sembrare una persona emotivamente spezzata, altre ha un’incredibile forza interiore. Ma il valore di tutto ciò si trova proprio nelle persone che lo esaminano. Ci sono persone che tendono a sminuirli e a vederlo semplicemente come un duro, un contrabbandiere. Un uomo violento. Poi ci sono altre persone per cui Joel è un modello, specie di paternità, è un protettore che si prende cura degli altri facendo di tutto per mantenerle al sicuro. Ho trascorso gli ultimi 12 anni della mia vita pensando a questo personaggio, facendomi delle domande, provando la sua mancanza nel periodo intercorso fra la Parte I e la Parte II. Non dimenticherò mai quando siamo tornati in teatro di posa per girare il trailer della Parte II. Ashley (Johnson, l’interprete di Ellie nel videogioco, ndr.) ed io eravamo di nuovo insieme, abbiamo fatto un paio di set-up differenti perché, fondamentalmente, è stato lavorato come se fosse un film, c’erano attori e machine da presa in ogni dove, c’è quel momento in cui appare Joel vicino alla porta e dice “Che fai ragazza?”… Era la prima volta che risentivamo la sua voce e lì ho capito quanto mi fosse mancato. Ora, dopo tutto il tempo che hanno speso lavorando sulla serie, vedere che Joel non è più solo visto e interpretato da Neill e da me, ma anche da Craig Mazin, da Pedro Pascal che ne hanno dato un’ulteriore altra lettura… è come un’inedita, nuova rivelazione su chi sia Joel. E tutto quello che desideravo era davvero vedere qualcosa di differente con questo personaggio. E cavoli, Pedro riesce a farlo in ogni singolo episodio.

Dici spesso che nel mondo di The Last of Us non ci sono buoni o cattivi, ma come ti sei trovato a non stare dalla parte di Ellie per una volta?

È stato strano. Fondamentalmente perché questa specie di opposizione fra Joel ed Ellie anche nel gioco. Che c’è anche nella serie: è un rapporto che viene guadagnato, ci mette del tempo a ingranare. E contribuisce a rendere tutto così bello. Una cosa importante per me nell’interpretare James era che non fosse il classico tirapiedi del villain in stile Batman, ma qualcuno di pragmatico. Lui ah questa battuta che recita “Se la portiamo con noi sarà un’altra bocca da sfamare”. C’è questo senso di minaccia esistenziale che queste persone stanno affrontando. Trovo molto curioso che esista questa sorta di parallelo fra il mio personaggio e quello di Jeffrey Pierce (interprete di Tommy nel videogioco e Perry nella serie TV, ndr.). Sono entrambi il braccio destro di qualcuno. La differenza di questi qualcuno è che Kathleen è qualcuno che ascolta Perry. David è qualcuno che cerca una persona alla sua “altezza”. E James sa di non esserlo. Ed è per questo che percepisce subito Ellie come una minaccia. È qualcuno che potrebbe usurpare la sua posizione. Ed è quello che mi è piaciuto del personaggio, non è uno che dice “Oooh, me la voglio mangiare” ma che proprio non vuole neanche vederla nel suo campo visivo perché, altrimenti, sa cosa potrebbe accadere allo status quo.

La serie di The Last of Us ha dato tutta una nuova popolarità al brand. Anche mia madre, che non è propriamente una videogiocatrice, è un’accanita fan dello show. Eppure ora che si riparla così tanto di The Last of Us si sono riaffacciati online tutti quei criticoni secondo i quali la serie è l’ulteriore dimostrazione che il gioco funzionava per via della sua storia e non per il gameplay. Personalmente non potrei trovarmi più in disaccordo di così. Per me The Last of Us I e II sono dei grandi giochi. Punto. Per tutto un’insieme di fattori. Cosa ne pensi di questa critica?

[Scuote la testa con convinzione] Guarda… fortunatamente, con un gioco come The Last of Us gli atteggiamenti di forte critica sono quasi scritti nel suo stesso DNA. E per me è anche una prova ulteriore di come la sua storia abbia colpito le persone. Se non avessimo ricevuto delle critiche, se non ci fosse stata una conversazione intorno ai questi giochi avrebbe significato una cosa sola: che non avevamo centrato il bersaglio. Ed è anzi una delle ragioni per cui sono emozionato al pensiero che le persone che non conoscono il videogioco possano finire di vedere la prima stagione. Tu hai giocato con il videogioco e sai bene che il suo finale è qualcosa che non passa via senza lasciare traccia, ma è qualcosa che ti fa pensare con cui lotti a livello morale. Chi ci ha giocato lo sta facendo praticamente da un decennio. Ora ci sarà tutto un nuovo gruppo di persone che farà parte di questa conversazione. La storia di The Last of Us viene criticata perché fa avvertire qualcosa alle persone. È accade sia tramite il gameplay del gioco che tramite la messa in scena della serie TV, con la storia e i suoi personaggi. Ogni volta che vieni criticato significa che stai facendo qualcosa di giusto. Ma credo che questa storia funzioni così bene non solo come videogame ma anche come serie TV è perché si basa su una premessa molto, molto semplice: il gameplay era così conseguente e intrecciato alla storia. Penso che un errore che viene fatto spesso e volentieri coi videogiochi sia quello di creare delle storie che guidano le meccaniche di gioco al posto di lasciare che siano un sottoprodotto della storia che stanno cercando di raccontare. Ed è la medesima cosa che avviene nello show. Ogni cosa accade perché è al servizio della storia, è la storia che ti trascina attraverso questo mondo. Non si tratta di dover ottenere un qualche trofeo o di fare il punteggio più alto. Un approccio che funzionava nel gioco e sta chiaramente funzionando anche nella serie TV.

Trovate tutte le notizie su The Last of Us nella nostra scheda.

La serie è disponibile in esclusiva su Sky e in streaming su NOW.

Potete seguire la redazione di BadTaste anche su Twitch!