The Night Manager 1x06 [finale di stagione]: la recensione

L'ultimo episodio di The Night Manager chiude in bellezza un adattamento accattivante, lasciando la porta aperta a un eventuale sequel

Condividi
Spoiler Alert
Più alta è la vetta che si è raggiunta, più rovinosa sarà l'eventuale caduta. E, nel caso di Richard Roper (Hugh Laurie), maggiore sarà il godimento del pubblico nell'ammirare la repentina parabola discendente descritta dallo spregiudicato miliardario. Si conclude con un tonfo clamoroso The Night Manager, sigillando con classe magistrale e respiro da grande cinema un cursus di sei episodi che, di fatto, non ha mai conosciuto veri e propri cali di ritmo o di mordente. L'atto finale vede quindi, dopo tanto penare, il trionfo definitivo tanto del protagonista Jonathan Pine (Tom Hiddleston) quanto della sua controparte nell'ombra, l'agente Angela Burr (Olivia Colman), forse il personaggio più interessante e coraggiosamente innovativo dell'intera serie, con la sua aria dimessa e la sua gravidanza avanzata, in aperta polemica con i fissi, seppur svariati, stereotipi regalatici dal cinema di spionaggio.

A essere pignoli, si potrebbero trovare mille motivi per accusare il tanto machiavellico Roper di ingenuità nei confronti del suo protetto Pine, a partire dalla fiducia troppo prematuramente accordatagli e dall'insistita ignoranza di segnali evidenti a un occhio attento. Occorre tuttavia considerare un fattore piuttosto determinante: la tendenza indefessa, da parte del magnate, a usare amici e nemici come mere pedine del proprio gioco. Se non fosse stato per l'abile scacco sferrato da Burr a Dromgoole (Tobias Menzies) - mossa che lo priva, per la prima volta, della connivenza dello Stato - Roper si sarebbe ritrovato, probabilmente, sollevato da qualsivoglia accusa nel giro di pochi minuti, nonché libero di vendicarsi a proprio piacimento di Pine una volta rimborsati i propri clienti. Non v'è, dunque, errore di valutazione a cui l'uomo non pensasse di poter porre rimedio in un secondo momento, grazie alla rete di preziosi alleati disseminati tra le massime autorità inglesi. È quindi con inusitata soddisfazione che lo osserviamo incassare il colpo finale, di fronte a un'Angela che - su questo Roper ha pienamente ragione - declama il proprio discorso con troppa sicumera per non esserselo preparato con largo anticipo, mentre cullava, contro ogni logica, la speranza di poter sconfiggere il proprio arcinemico. Eppure, resta il dubbio che, in assenza degli insulti razzisti lanciati a Barghati e Kouyami, Roper si sarebbe comunque potuto salvare. Ma poco importa: le urla del miliardario nel furgoncino della polizia, incapace di accettare la propria evidente disfatta, sono il perfetto prezzo da pagare per un'arroganza rivelatasi inesorabilmente rovinosa.

La vendetta sarà anche un piatto che va servito freddo, ma non perde mai la propria appetibilità, specialmente se condita con del sangue: protetto dalla solitudine assoluta di una villa immensa, Pine mostra la sua non più tanto recondita anima nera, uccidendo a mani nude un ubriachissimo Freddie Hamid (David Avery): lo spettro di Sophie Alekan aleggia ancora nel cuore dell'ex militare e, a dirla tutta, sembra più persistente della passione carnale per la fulgida Jed (Elizabeth Debicki), a dispetto delle effusioni rubate e non che hanno costellato gli ultimi episodi. La conclusione dell'episodio è perfettamente in linea con la natura sfuggente e indefinibile del legame tra i due amanti, pronti a dirsi addio senza troppe cerimonie. Sulla storia d'amore e la ricerca di una vera e propria felicità come coppia, sembra da sempre aver prevalso la ricerca di un reciproco appoggio, un'alleanza sostenuta da una forte attrazione fisica ma basata, indubbiamente, sulla brama di fuga per l'una e di vendetta per l'altro. Che Jonathan abbia o meno trovato la pace a seguito della misera fine di Roper, risulta difficile vederlo impegnato in una relazione stabile con Jed, nella scia delle migliori abitudini del suo evidente corrispettivo, James Bond.

Vale la pena spendere qualche parola per elogiare, ancora una volta, la grandezza registica di Susanne Bier, il cui occhio si è dimostrato il miglior servitore per una storia costellata di immagini di ampio respiro, con un taglio spettacolare che qualcuno potrebbe definire inusuale - se non addirittura sprecato - per il piccolo schermo. Tanto di cappello anche alla sceneggiatura di David Farr, vortice conturbante che avvolge lo spettatore nelle spire del fascino del male. L'ipotesi di un seguito, dato il successo di questa prima stagione, sembra non essere poi tanto lontana; e se la qualità della serie mantenesse, in futuro, il livello mostrato in questi sei episodi, The Night Manager potrebbe divenire uno degli appuntamenti televisivi di più alta qualità visti negli ultimi anni. In attesa di conferme o smentite, non resta che chinare il capo di fronte a un prodotto che ha confermato, passo dopo passo, ciascuna delle proprie ottime premesse, dimostrandosi capace di mettere a frutto ingredienti eccelsi in ogni settore, a formare un amalgama dal sapore unico e raffinato.

Continua a leggere su BadTaste