È stato un lavoro immane quello attraverso il quale Ari Folman, reduce dal grande successo di Waltzer con Bashir, è riuscito a portare terminare The Congress, film in tecnica mista che mescola live action e animazione (in fondo come sempre per il regista israeliano), tratto dal racconto The futurological congress di Stanislaw Lem.

Raccogliendo fondi da 10 paesi diversi (ognuno dei quali gli imponeva di spendere i suddetti soldi in quella stessa nazione, costringendolo ad avere 10 diversi team) e lungo 5 anni di sviluppo, ha creato uno dei più complessi e visivamente densi film di fantascienza distopica (nel futuro una droga legale altera la percezione e consente a chiunque di vedere la realtà come fosse animazione e quindi vivere attraverso avatar animati), trovando addirittura Robin Wright pochissimo prima che ritornasse famosa grazie a House of cards.

Presentato un anno esatto fa all’apertura della Quinzaine des realisateurs di Cannes il film arriva adesso nelle sale italiane. Nel cast figurano anche Harvey Keitel (“Non si capacitava della scelta fatta da Robin, diceva sempre che lui non l’avrebbe mai accettato un ruolo così”) e John Hamm (“Voleva essere presente ma solo come doppiatore. Ha imposto di non stare nelle parti live action”) e lo stesso Folman si chiede se sarà un successo in Italia in una prima parte di intervista ribaltata in cui era lui a fare le domande a noi.

Folman: Secondo te come andrà in sala?

BT: Difficile da dire. L’animazione per adulti solitamente in Italia non è che proprio vada benissimo. Non abbiamo una tradizione vera e propria di lungometraggi animati e quindi li consideriamo solo per bambini.

Folman: mmmmh…. Però Waltzer con Bashir andò benissimo da voi. Andò bene ovunque ma in particolare in Italia (rispetto alle medie di quel tipo di film)!

BT: Si però lì c’era un tema politico forte ed è una cosa che in Italia giustifica tutto, legittima qualsiasi prodotto culturale. Senza quello è difficile. Anche un maestro come Hayao Miyazaki arranca.

Folman: Hai visto il suo ultimo film?

BT: Si a Venezia. È straordinario

Folman: Il suo migliore. Il migliore. Non ho parole

BT: E anche l’ultimo

Folman: No no. Io non ci credo. È il suo staff che fa uscire queste cose ma lui vuole lavorare secondo me. Un artista come lui non può fermarsi.

BT: A te invece cosa ti spinge? Ho letto che avevi preso i diritti del racconto di Lem molti anni prima di fare Waltzer con Bashir. Ci tenevi davvero molto, è chiaro, ma perchè? Cosa c’è in quella storia che ti faceva venire così tanta voglia di raccontarla da te?

Folman: Quel libro l’ho letto per 30 anni prima di decidere di fare il film, da quando avevo 17 anni in poi e ogni volta c’era un motivo diverso per farne un film, è stato un grande processo. Prima era la parte sulle droghe, poi tutte le questioni sui regimi totalitari e infine la questione dell’identità personale.

BT: A proposito di identità, Robin Wright interpreta una stella del cinema che non è più tale, cosa che nel momento in cui l’hai scritturata effettivamente era. Questo parallelismo non è mai stato un problema per lei?

Folman: No, perchè lei pensava si trattasse di un personaggio e non di se stessa.

BT: Per te però no. Cioè è proprio per quel parallelo che l’hai presa?

Folman: Diciamo che io e lei credevamo cose diverse.

BT: Ad ogni modo è l’ennesima prova di quanto in ogni tuo film animato tu voglia inserire elementi realistici.

Folman: È così. Per me The congress è un documentario di fantascienza animato, ispirato all’animazione anni ‘40 stile Fleischer brothers (quelli di Popeye) ma ci sono riferimenti anche a Yellow submarine più qualcosa (almeno spero) di estremamente personale.

BT: Nel film si diffonde una droga che consente a tutti di percepire la realtà come animata e di vedere al posto delle persone dei loro avatar. Ognuno vive attraverso una rappresentazione esagerata e non realistica di se stesso, a partire dagli attori. Che non è diverso da quel che il motion capture sta facendo, come la vedi la questione degli attori che recitano tramite avatar?

Folman: Dipende, non me la sento di dare un giudizio oggettivo. Si può dire che Avatar [il film ndr] faccia schifo o dire che è arte, dipende da quel che pensi. Io credo sia una cazzata, primo perchè è noioso poi perchè ho sentito che volevano dare l’oscar agli attori che hanno lavorato con il motion capture. Per me questi film sono stupidissimi. Certo, quando funziona funziona. Se sei bravo puoi far funzionare la CG ma se è stupido è stupido.

BT: Non vale per qualsiasi altro tipo di lavorazione?

Folman: Si ma pensa a Ridley Scott: ha fatto il massimo dei massimi ed era il 1982, tutto a mano. Il futuro, il miniset…. Tutto perfetto. Blade Runner rimarrà per sempre, io lo vedo ogni anno. Ora guarda Prometheus. Ha tutti quegli effetti e non è niente.

Nella maniera in cui si facevano film una volta il set lo si aveva per un tempo limitato e il regista il cameraman e gli attori dovevano creare la magia lì. Oggi nei grandi film il set è una piattaforma per quel che accadrà dopo e allora forse è un altro lavoro e ci vogliono altri professionisti.

BT: Adesso sei al lavoro, su Il diario di Anna Frank. Con che tecnica lo animerai?

Folman: Qualcosa di diverso dalle tecniche che ho usato fino ad ora. Stiamo sperimentando gli sfondi in stop motion e i personaggi animati in maniera tradizionale e viene molto bene.