Direttamente responsabile per Monsters & Co. e Up ma da sempre parte del consiglio dei saggi della Pixar, dunque in un mondo o nell’altro coinvolto anche nella concezione di Toy Story, Toy Story 2 e Wall-e, Pete Docter è anche sceneggiatore e regista di Inside Out, ad oggi forse una delle punte massime di questo studio di animazione che da più di venti anni realizza il miglior cinema in circolazione.

Alto e dalle sembianze cartoonesche (sembra un frankestein simpatico), dotato di battuta pronta e grande affabilità oltre ad una chiarezza di pensiero che non è normale per i filmmaker (solitamente fumosi e pomposi quando parlano del proprio lavoro), Pete Docter è venuto a Roma ad accompagnare l’uscita italiana di quello che a noi è parso, già a Cannes, il suo capolavoro.

Una volta tanto la conferenza stampa si è rivelata occasione di vero approfondimento della genesi di un film dallo spunto già incredibile. In Inside Out i protagonisti sono le 5 emozioni nella testa di Riley, una bambina di 11 anni sballottata dal cambio di casa, città e amicizie. Questo concept micidiale ha dato vita alla classica “odissea pixariana”, cioè un film in cui c’è un grande viaggio che pare non poter avere fine. Un viaggio che è partito come sempre alla Pixar da un colloquio con John Lasseter:

Sono andato da John, come facciamo sempre, a proporgli l’idea. Alle volte John è dubbioso, altre invece si esalta subito, questo è stato il caso di Inside Out. Mi ha detto immediatamente: “Sviluppalo!”. Il potenziale era evidente. L’idea mi è venuta vedendo mia figlia crescere, quando ha compiuto 11 anni ho notato che le è proprio cambiato il carattere e mi sono chiesto cosa accadesse dentro di lei.
Ho visto che qualcuno online ha diffuso un’immagine in cui descriveva la storia della produzione Pixar nei termini di “E se i giocattoli avessero sentimenti?” – “E se le macchine avessero sentimenti?” – “E se gli insetti avessero sentimenti?” fino a “E se i sentimenti avessero sentimenti?” ed è esattamente quel che abbiamo cercato di fare in questi anni

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Le emozioni in gioco sono sempre state queste 5?

No abbiamo fatto tante prove diverse. Abbiamo provato anche Speranza, Orgoglio e Schadenfreude ma abbiamo capito che era meglio avere pochi personaggi e 5 sembrava un buon numero. Così le migliori le abbiamo riunite dentro Gioia.
Avevamo anche parlato con diversi scienziati riguardo le emozioni. Alcuni dicono che quelle basilari sono 3 altri dicono che sono 27, non c’è nessun tipo di accordo così ci siamo sentiti liberi di fare quel che volevamo.

Ogni personaggio ha un colore, tranne Gioia che ne ha due, come mai?

Perchè lei è più complessa degli altri e volevamo che anche visivamente fosse evidente, inoltre il fatto che abbia i capelli blu è un po’ una premonizione del viaggio che farà

Avete immaginato la mente come un’azienda, il massimo del sentimentale come il massimo del freddo e burocratico, è stata un’idea presente fin dalla prima proposta o ci siete arrivati?

Il punto fondamentale è che non volevo un film dentro il cervello che è un luogo fisico ma uno dentro l’animo. Per rendere concreto l’animo prima abbiamo pensato alla metafora del palcoscenico con camerini, backstage… Poi abbiamo pensato di farlo come una nave, con cabine, ponte di comando, i motori, il personale… Nulla di tutto questo però funzionava. Alla fine ci siamo creati da soli la nostra realtà, fuor di metafora.

Per caso vi siete ispirati al corto di propaganda Disney Reason and emotion?

Si, è vero. È un corto descritto nel libro The illusion of life, che è tipo la Bibbia per qualsiasi animatore. A lungo abbiamo pensato che le 5 emozioni di Inside Out potessero essere i nostri 7 nani, dei personaggi con una grande personalità. Certo la storia di Inside Out non è necessariamente lieta ma come filmmkaers vogliamo che i nostri figli siano felici anche se la vita non è solo felicità, perdita e infelicità sono all’ordine del giorno. Eppure ci sembra che se queste emozioni negative abbiano un senso, questo sta nell’aiutarci ad affrontare le complessità della vita quotidiana.

C’è anche un grande lavoro sulla spiegazione di cosa sia e come funzioni il subconscio…

Ci siamo divertiti molto a leggere Freud e Jung, imparando come funzioniamo ma in realtà abbiamo capito che non sappiamo ancora niente, ci sono tante teorie e tanti filosofi in competizione, senza chiarezza. L’approccio scelto da noi era solo l’opzione più divertente e non la più scientificamente accurata. Alla fine abbiamo realizzato una versione pop delle idee sul subconscio di Jung, ci divertiva tantissimo immaginare che il motivo dei sogni strani fosse che questi sono il frutto del lavoro di persone con poco tempo e poco budget a disposizione.

Non pensate sia troppo difficile da capire per un bambino?

Lo temevamo. Così a metà lavorazione abbiamo fatto una proiezione di prova e, non solo i bambini capivano tutto, ma poi erano in grado di spiegarlo meglio di come sappia fare io… Ancora di più un dipendente Pixar aveva portato suo figlio, il quale a nuoto aveva paura di tuffarsi ma dopo aver visto il film invece si è tuffato tranquillamente. Quando il padre gli ha chiesto come abbia fatto a vincere la paura gli ha risposto di aver realizzato che in quel momento c’era Paura alla guida e gli è bastato metterlo da parte. Questo fa capire che nonostante la complessità i bambini sono perfettamente in grado di comprendere il senso della storia. Del resto credo che prima ancora di imparare la propria lingua i bambini siano in grado di capire la lingua delle emozioni.

Al contrario non pensate di aver fatto un film troppo per gli adulti?

Spesso ci chiedono se pensiamo agli adulti nel fare i nostri film e posso dire solo che io faccio i film per me. Egoisticamente so che ci dovrò passare 4 o 5 anni su questa storia e voglio che abbia una profondità. Ovviamente il primo target sono i bambini ma voglio sempre che ci sia qualcosa per gli adulti perchè rende il film più valido.

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