La Tomba delle Lucciole, capolavoro di Isao Takahata, arriverà al cinema grazie a Yamato il 10 e 11 Novembre. Per l’occasione il film è stato ritradotto, riadattato e ridoppiato come già abbia visto succedere per i film di Hayao Miyazaki da parte della Lucky Red. A lavorare sul film anche in questo caso è stato Gualtiero Cannarsi, grande amico di BadTaste, che come è ormai consuetudine abbiamo sentito per farci raccontare cosa è cambiato nella nuova edizione, che difficoltà ha incontrato nell’adattare questo film e quali siano le peculiarità del testo originale.

La Tomba delle Lucciole esce per la prima volta al cinema in Italia, ma Yamato già l’aveva distribuito in home video negli anni ‘90. Come mai si è deciso per un ridoppiaggio?

Essenzialmente, in occasione dell’uscita cinematografica, si è deciso di valorizzare al meglio il film con una nuova edizione italiana auspicabilmente più vicina allo straordinario originale.

Non stiamo però parlando di stravolgimenti giusto?

No. Nel caso della precedente edizione di questo film, non è possibile parlare di reali stravolgimenti, come fu nel caso di Mononoke Hime (‘La principessa spettro’, ovvero Princess Mononoke) o in quello di Sen to Chihiro no Kamikakushi (‘La sparizione di Chihiro e Sen’, ovvero La città incantata), tuttavia vi sono tre punti cardine che è necessario considerare.
Il primo, e forse più evidente, è l’età dei doppiatori protagonisti. Il regista Takahata Isao ha da sempre inteso ricercare un forte realismo delle sue pellicole. Per questa ragione, già nel 1988, anno di uscita nella sale giapponesi di Hotaru no Haka, volle per i protagonisti Seita e Setsuko dei doppiatori a età praticamente ‘reale’ sui personaggi. Il doppiatore originale del quattordicenne Seita aveva infatti sedici anni, mentre l’originale doppiatrice della piccola Setsuko aveva sei anni, laddove il personaggio ne ha quattro. Ai tempi, la cosa era del tutto inaudita per il mondo dell’animazione in Giappone, e si provò ancora tale in Italia quando venne realizzata la prima edizione nostrana del film, i cui interpreti principali, benché molto bravi e talentuosi, erano significativamente più grandi dei personaggi. Per questo ridoppiaggio ci siamo invece sforzati di seguire quanto più possibile la linea dell’originale.
Il secondo punto riguarda lo stile recitativo. A dispetto del contenuto intensamente drammatico, tragico del film, il taglio registico non scivola mai sul patetico. Anche questa connotazione è in qualche modo tipica del realismo cinematografico di Takahata Isao. Il suo interesse si direbbe piuttosto verista, il suo sguardo sempre molto asciutto, mai compiaciuto né sordido dinanzi al dramma dei protagonisti, dei personaggi, della narrazione. Tutto questo si rispecchia in ogni ambito della sua regia, e questo vale anche per il doppiaggio. La precedente versione travisava un poco questo aspetto dell’originale, forse enfatizzandone troppo, e in modo talvolta macchiettistico, gli aspetti patetici. Sicuramente anche in questo tratto di interpretazione la differenza di età soprattutto dell’interprete della piccola Setsuko gioca un ruolo fondamentale.
Il terzo e ultimo aspetto da considerarsi, di certo non meno significativo dei precedenti, è la fedeltà del testo all’originale. Un regista come Takahata Isao studia ogni singolo fiatino con un perfezionismo che sfiora la maniacalità, stiamo parlando di un cesellatore infaticabile. Come anticipavo, non posso certo dire che il precedente adattamento italiano stravolgesse radicalmente alcunché, ma le divergenze c’erano ed erano significative.
Per tutte queste tre ragioni, si capirà come la nuova edizione permetta finalmente di rendere la poderosa portata comunicativa dell’originale nella nostra lingua.

Nella storia c’è un gran senso del dramma, quando lavori ad adattamenti di film così sentimentali oltre a curare i dettagli pensi anche alla maniera in cui, nel complesso, tutto quanto debba scatenare una certa reazione nel pubblico?

Non mi preoccupo mai di cosa possa scatenare nel pubblico un film su cui lavoro. Credo che sarebbe presuntuoso e pretestuoso, da parte mia. In primo luogo, non riesco a immaginare “il pubblico” come un ente unitario, nemmeno in forma puramente astratta. In secondo luogo, anche volendo pensare al pubblico, esso non è il mio pubblico, né il pubblico della mia opera: è il pubblico del film, e del suo autore. Io devo sempre e comunque rendermi null’altro che un mero interprete del film originale e dell’operato del suo autore, per quello che obiettivamente appaiono essere nel prodotto reale. Il mio referente è sovraordinato a qualsiasi pensiero finalista: il mio referente è infatti il film originale esso stesso, che devo rendere quanto più correttamente e fedelmente in lingua italiana. Fatto ciò, ogni reazione che si avrà in ogni esponente del pubblico italiano sarà comunque legittima, com’è giusto che sia.

La recitazione abbinata allo stile realistico del film è stata un problema?

Da un lato stiamo parlando di una storia ad ambientazione storica e fortemente caratterizzata: nell’originale tutti i personaggi parlano con una naturale inflessione dialettale dei luoghi in cui si svolgono le vicende, ovvero l’area di Kobe, nel Kansai. Dall’altro lato, sempre l’originale mostra una recitazione molto realistica e poco ‘da doppiaggio’. In effetti, Takahata Isao chiamò a doppiare questo film tutti interpreti non già dell’ambiente del doppiaggio giapponese, ma del mondo della recitazione in generale, e tutti realmente provenienti dal Kansai. Quindi, per noi italiani, si trattava di stirare al massimo una coperta cortissima: dialoghi con una collocazione particolarissima nel tempo e nello spazio, ma la tempo stesso estremamente realistici, naturali. Dopo aver scartato l’idea di scrivere il copione italiano usando un dialetto nostrano, opzione che mi sembra sempre sfociare in una resa grottesca e ridicola, nonché ingiustificabile da un punto di vista logico, mi sono piuttosto concentrato nella ricerca di uno stile recitativo ‘poco da doppiaggio’, ovvero meno didascalico, meno ‘precisino’, meno ‘pulito’ del nostro tipico standard. Questo obiettivo è stato anche ricercato tramite un accurato casting di interpreti non esattamente tipici sui rispettivi ruoli. Devo ammettere che grande, grandissimo tempo è stato dedicato alla distribuzione degli interpreti sui ruoli, e ne sono davvero molto soddisfatto.
Parlando invece del testo, la difficoltà principale è insista non solo nella più difficile indagine filologia della parlata dialettale, ma altresì nella tremenda cifra culturale che il regista Takahata Isao ha come suo solito massimizzato in ogni angolo, con ogni dettaglio di citazione verista. Dalla nomenclatura particolare che le scuole assunsero in tempo di guerra al divieto di utilizzare i nomi delle note musicali occidentali, dai cori militari alle canzoncine o filastrocche messe in bocca ai protagonisti, tutto è puntualmente ripreso dalla realtà storica, sin nella minima sfumatura. Fortunatamente, per questo film ho potuto beneficiare non solo della valida traduzione del copione giapponese operata da Francesco Prandoni, ma altresì della traduzione del romanzo originale che venne a suo tempo realizzata dalla professoressa Maria Teresa Orsi, che con la sua precisione e alto livello di accuratezza ha costituito del materiale di confronto davvero prezioso.

Chi sono i ragazzi che hai scelto per le parti protagoniste?

Sono stati eseguiti dei provini, perché come capirai l’interpretazione dei ruoli principali è davvero il cardine di questo doppiaggio. Il ruolo del protagonista maschile, ovvero Seita, è stato così assegnato al giovane Leonardo Caneva, di diciassette anni. Praticamente non avevo mai lavorato con lui, ma io stesso ne sono stato subito conquistato. Oltre al talento e alla capacitò recitativa, Leonardo ha una voce giovanile ma un po’ ‘scura’, ovvero naturalmente bassa, non squillante – questo la rende assai affine all’originale. Ma oltre a ciò, bisogna dire che Leonardo è davvero un ragazzo gentile, educato, adorabile: una personalità che davvero gli ha permesso di apprezzare molto il film e avvicinarsi al suo personaggio, portando a un’interpretazione sempre più sentita. La piccola Setsuko è stata invece interpretata dalla giovanissima Chiara Fabiano, che ha dieci anni e frequenta la quinta elementare. Avevo avuto modo e privilegio di dirigerla già in altri due ruoli cinematografici: prima nei panni della versione bimba di Horikoshi Kayo, la sorella del protagonista di Si alza il vento, e quindi come la versione bimba della Principessa Splendente, apprezzando le sue qualità. Certo, in questo caso si è trattato di un ruolo di altro spessore, la piccola protagonista di un film intensamente drammatico. Ma Chiara è una ragazzina davvero straordinaria, sia come attitudini professionali che personali. È vispa e allegra, ma altrettanto seria e dedita al ruolo che interpreta. Pur conoscendo le sue doti, devo ammettere che sul ruolo di Setsuko ha veramente stupito tutti.

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