venezia66

Fonte: Badtaste.it

Come avrete notato in questi anni, BadTaste.it non ha inviati (che siano membri della redazione o collaboratori) ai maggiori festival europei (Venezia, Berlino e Cannes). La scelta è dettata semplicemente da ragioni economiche, nel senso che il rapporto costi/ricavi non è assolutamente conveniente per una realtà come la nostra (in realtà, lo stesso vale per tanti altri siti, ma questo è un altro discorso). E visto che non vogliamo sfruttare la gente mandandola a loro spese, fino a ora abbiamo preferito seguire questa strada, evitando di recarci con le orde al Lido come sarebbe piaciuto a Natalia Aspesi.

Con il 66esimo Festival di Venezia, però, si cambia. E visto che non ci piace fare le cose banalmente, ci potevamo accontentare di un semplice critico? No, ovvio. Meglio, molto meglio avere le opinioni di un partecipante alla Mostra, che potrà raccontarci la rassegna con un bell'accredito Trade, quelli riservati all'industria.

Si tratta di Giacomo Cimini, che porterà al Lido il suo cortometraggio La città nel cielo, un'opera che ha assolutamente impressionato chi scrive (che comunque l'ha vista in una versione non definitiva) per il suo notevole lavoro sull'immagine e sugli effetti speciali, ben superiore a tante produzioni 'major' nostrane, nonostante il budget sia decisamente ridotto. E anche se, come gli ho fatto notare, l'aspetto narrativo non è alla stessa altezza, mi ha fatto piacere riscontrare in Cimini la volontà di diventare un regista 'all'americana', di quelli che girano sceneggiature scritte da altri e che non devono a tutti i costi fare gli autori.

Così, Cimini realizzerà per noi una specie di diario, in cui ci racconterà il Lido con gli occhi di un testimone diretto e coinvolto. Vedremo come funzionerà questo esperimento, intanto voi potete scoprire il suo sito ufficiale, mentre qui sotto vi proponiamo i due primi minuti del suo corto:

 

 


 

Ecco quindi la sua prima opinione, dedicata alla proiezione di Baaria, il film di Giuseppe Tornatore in uscita il 25 settembre e presentato oggi al Lido:

Appena usciti dalla proiezione di Baaria, non è facile dare un giudizio definitivo sulla pellicola. Forse si tratta semplicemente dell'avventura artistico-produttiva più coraggiosa e folle mai realizzata in Italia, una pellicola che trasuda passione da ogni fotogramma e in cui l'imponente budget necessario si vede chiaramente sullo schermo in ogni piccola scena.

E' chiaro che il punto di riferimento è Sergio Leone e in particolare C'era una volta in America, pellicola che ho rivisto recentemente e che sicuramente era più coesa di questa. D'altra parte, anche le musiche di Morricone sembrano rifersi a quel modello. Baaria è un film contraddittorio, pieno di momenti bellissimi e di altri che non sono assolutamente all'altezza. Quando pensi di detestarlo, ecco arrivare una scena straordinaria a farti cambiare idea, in un'altalena di sensazioni vorticosa.

In questo senso, un'altra pellicola che torna alla memoria è (sperando che i dirigenti Medusa non siano superstiziosi) I Cancelli del cielo di Michael Cimino, un film che ti fa tremare le ginocchia una volta usciti dalla sala. Ma le contraddizioni dell'opera artistica emergono anche fuori dallo schermo. Pensate cosa significa, nell'Italia del 2009, un film su un personaggio che è comunista e che poi subisce una trasformazione nel modo di fare politica che quasi vanifica il suo impegno, con l'idea straordinaria di mostrare l'Italia di 80 anni fa come se fosse L'Afghanistan di oggi, un Paese di immigrati e di poveracci in lotta per sopravvivere. il tutto con la prima proiezione che avviene in una sala in cui metà dei giornalisti ha sotto braccio Repubblica e vede comparire il logo Medusa-Mediaset, che riceve ovviamente qualche fischio.

Difficile trovare metafora migliore della schizofrenia del film, un'opera in cui ci sono una cinquantina di comparsate speciali, senza che magari ne venga eliminata qualcuna come ci si aspetterebbe, ma con un susseguirsi affascinante (e confuso) di personaggi che compaiono e scompaiono sullo schermo, come capita per esempio con Raoul Bova, protagonista di una bellissima scena breve, ma che poi da quel momento non vedremo più. O magari si può vedere Monica Bellucci in un angolo, per poi passare immediatamente dopo a Luigi Lo Cascio, il pazzo del paese, nel giro di un secondo.

In questo senso, il problema maggiore della pellicola è il montaggio, che non sembra quello di una pellicola epica da due ore e mezzo che si prende i suoi tempi, ma quello di un trailer. Verrebbe quasi da pensare di aver visto un premontaggio, ma in realtà questa è la versione definitiva. Ed è francamente incredibile che un prodotto così impegnativo a livello finanziario, abbia degli effetti di livello mediocre, sia nel compositing che nel trucco per invecchiare i personaggi.

Ma quando Tornatore riesce a essere visionario e sfrutta i propri ricordi personali di ragazzo, siamo dalle parti del capolavoro, cosa che invece non succede quando si tratta delle memorie del proprio padre. D'altronde, il regista lo aveva detto: bisogna parlare di quello che si conosce ed ecco quindi che la pellicola diventa una raccolta di ricordi. Tornatore, peraltro, cerca di comunicare rivolgendosi a un pubblico italiano considerandolo come un'entità unita, cosa che pochi fanno ormai, mentre intanto porta avanti una riflessione notevole su cosa significhi essere un artista.

Certo, a tratti ci sono chiaramente delle indulgenze da autore a cui ormai nessuno contesta più niente, ma siamo di fronte a uno spettacolo nel vero senso della parola. Ogni sequenza è una scena madre (con dolly e carrellate a profusione), cosa che potrà anche essere eccessiva, ma che lo rende un'opera coraggiosa e che fa sperare che nel cinema italiano ci siano più prodoti del genere, nel bene e nel male.

Il problema è forse la mancanza di un personaggio fisso (e quindi di un centro di gravità permanente), che assieme ai continui passaggi temporali (anche affascinanti) rischia di confondere molto anche lo spettatore più smaliziato. Sarà interessante vedere come funzionerà questo prodotto per un pubblico cinematograficamente meno preparato, magari risulterà anche più forte a livello emotivo. All'estero, potenzialmente potrebbe piacere molto, ma anche risultare assolutamente incomprensibile per tutti i riferimenti storici alla realtà italiana. In questo senso, Baaria è anche più difficile de Il divo di Sorrentino.

E' probabile che i fan di Tornatore continueranno a essere tali, così come quelli che contestano questo regista non cambieranno idea dopo Baaria. Ma, come mi è capitato recentemente con Bastardi senza gloria, anche se sono uscito dalla sala trovando tanti difetti, ero felice di aver visto qualcosa di diverso dal cinema a cui siamo abituati oggi. Vi pare poco?".

 

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