Che il Faust di Sokurov fosse un film come non ne escono ogni anno era evidente da subito, fin da quell’apertura a volo d’uccello tutta digitale su una cittadina immersa nei monti che sembra uscire da un Signore degli Anelli diretto dal lato oscuro di Zemeckis. Invece, che si trattasse anche di un’opera nell’orbita dei gusti di un presidente di giuria come Darren Aronofksy era un’ipotesi probabile che si è rivelata vera.

L’epopea demoniaca che segue tutti i temi del Faust di Goethe raccontandone in due ore e mezza solo il prologo (il film praticamente si chiude con la firma del patto col diavolo) e che designa il signore delle tenebre come il quarto simbolo del potere corruttore nella tetralogia sokuroviana (gli altri sono Hitler, Lenin e Hiroito) ha conquistato critica e giuria: ora si vedrà se potrà prendere il pubblico. Certo sembra difficile che un’opera che si distingue per il suo lavoro intellettuale sul testo, per la sua grammatica cinematografica densa e ricercata in ogni inquadratura e per la sua mostruosa idea di linguaggio delle immagini possa davvero avere un pubblico ampio. Di certo c’è che in Italia uscirà: la Archibald l’aveva acquistato già prima della proiezione a Venezia.

La coppa Volpi l'astro nascente (ma non giovanissimo) Michael Fassbender l'ha soffiata, a suo dire, al Gary Oldman della Talpa. E ancora una volta, infine, la recitazione asiatica viene premiata con un riconoscimento femminile: a portare a casa la coppa è infatti Deanie Yip, straordinaria domestica-mamma del bellissimo A simple life (questo sì un film che il pubblico potrebbe amare alla follia). In un festival su cui non gravasse l’ingombro di un’opera così fuori da qualsiasi media come Faust, il bel film di Ann Hui avrebbe di certo preso un premio più decisivo che ad ogni modo merita, l’abbia ricevuto o meno.

Lasciano decisamente più perplessi il premio speciale della giuria a Terraferma di Crialese e il Leone d’Argento per la miglior regia al film a sorpresa, People Mountain, People Sea.

Il primo perché tutto il pregio del film sta nell’instancabile lavoro che il regista fa sulle immagini, sul loro potere evocatore che travalica la trama e sulla continua invenzione di piccoli momenti visivamente preziosi. Poggiato su una storia esile esile, dilaniato da molti tagli e sostanzialmente banale nel suo parlare di un mondo manicheo, Terraferma al massimo avrebbe meritato un premio tecnico (magari la fotografia, che invece è andata al comunque meritevole Wuthering Heights, un film che "poteva anche essere muto tanto sono eloquenti le sue immagini” è stato il commento della giuria) o una miglior regia, proprio a esser generosi.

Il secondo, invece, è un film diretto con mano sicura ma senza personalità, espressione canonica di un certo modo di fare cinema autoriale tipico delle più recenti generazioni cinesi, molto attento alla composizione dell’immagine e al sonoro, ma poi totalmente addormentato quando si tratta di dare un ritmo al montaggio o una struttura alla storia. Incomprensibile.

Inappuntabile invece è il premio agli attori emergenti, i due ragazzi di Himizu che con le loro urla, le loro continue cadute nello stagno, le loro corse in apprensione e le botte che prendono danno vita all’ennesimo delirio di Sion Sono.

Se infine l’Osella alla miglior sceneggiatura sia stato opportuno o meno darlo ad Alps lo dovrà giudicare ognuno in cuor suo. Il film di Lanthimos è a dir poco particolare e proprio nella sceneggiatura ha la sua componente più strana. Lo script volutamente non rivela nulla su chi siano, che stiano facendo e perché agiscano i personaggi del film fino ad almeno tre quarti della pellicola, eppure riesce ad intrattenere, incuriosire e divertire ugualmente. Con il suo procedere enigmatico mette alla prova la pazienza dello spettatore mentre al tempo stesso lo intriga. Qualcosa di inusuale, diverso e anticonformista. Insomma, da premiare.