Forse non c’è mai stato period movie più importante e influente di quello che 20 anni fa Robert Zemeckis ha consegnato alle sale. Forrest Gump è infatti stato probabilmente il primo del suo genere (e forse l’unico) in grado di sconfinare dal territorio del dolce ricordo, della rievocazione di mode e costumi a favore di chi ha vissuto gli anni in questione.

Bilanciato con la vecchissima regola di una lacrima per ogni sorriso, straordinariamente coinvolgente attraverso un tipo di svolgimento inedito per il cinema di grande incasso americano (Roger Ebert lo notò subito e scrisse: “Non ho mai visto un film come Forrest Gump. Qualsiasi tentativo di descriverlo lo farebbe sembrare più convenzionale di quanto non sia ma ci proverò. È una commedia, credo. O forse un dramma. O un sogno”), nel 1994 arrivava a chiudere una fase di grandi cambiamenti nel cinema commerciale, quelli inaugurati da Steven Spielberg.

 

Se Spielberg con E.T. – L’extraterrestre aveva creato l’esempio più fulgido di un nuovo tipo di film, che per raggiungere il massimo incasso possibile allargava il proprio target a dismisura nell’impossibile sogno di piacere a tutti da tutte le parti del mondo, allora Forrest Gump è il suo emulo più riuscito. Con un incasso spaventoso e una notorietà quasi imbattibile questa storia americana al 100% in realtà parla a chiunque, attingendo agli elementi primordiali della vita, ai sentimenti più semplici in una mescolanza che non ha niente di semplice e gentilmente forza le strutture del film d’epoca non solo allungando l’epoca in questione, ma lentamente spostando il fuoco dallo sfondo (in questo genere più importante del primo piano) ai protagonisti.

Forrest Gump, in buona sostanza, appare come un film sulla seconda metà del novecento americano, in realtà è un film su un essere umano e la sua vita.

Complice l’immane successo, dal 1994 in poi il paradigma di Forrest Gump è diventato quello attraverso il quale narrare la storia statunitense, cioè attraverso gli occhi di una persona per farne un racconto che non sia di cronaca ma sentimentale. Il cuore della rivoluzione gentile di Forrest Gump non era solo di mettere un protagonista sullo sfondo di eventi grandi (quello lo si faceva già da tempo e con ottimi risultati: la piccola storia nella grande storia) ma di fare attraverso di lui un racconto sentimentale della cronaca, ovvero non gli eventi per come si sono svolti ma cosa, nel loro svolgersi, hanno significato per le persone, i cambiamenti umani davanti a quelli sociali. Non a caso nel film di Zemeckis non è nemmeno accennata o suggerita una spiegazione del perchè l’America sia entrata in guerra, da dove venissero le droghe, che idee avesse il movimento pacifista o come mai sia stato assassinato Kennedy.

Inoltre se si guardano le differenze con il romanzo di Winston Groom da cui è tratto, il film attutisce l’impatto storico e aumenta la storia d’amore con Jenny, che lungo tutta la vita di Forrest è l’unico motore che lo spinge: due persone si cercano nella grande storia americana.

Se non fosse chiaro quanto questo tipo di struttura sia stata influente, basta dire che è la medesima alla base di un film completamente diverso come Se mi lasci ti cancello: due persone cercano di stare insieme, non perchè siano ostacolati dal loro amore ma da uno scenario ingombrante che cambia e influisce nelle loro vite e proprio quel contrasto tra un paesaggio in furioso cambiamento e il permanere del loro desiderio di trovarsi crea l’alchimia romantica.

 

 

Dunque è evidente che di fronte alla maniera in cui questo principio elementare di un amore impossibile, inseguito non solo attraverso lo spazio ma anche attraverso il tempo e la fisica (vedi la corsa impossibile), viene sfruttato per raggiungere idee molto più alte e complesse, come la possibilità di leggere diversamente la storia a partire dagli individui e non dai popoli, passano immediatamente in secondo piano le piccolezze del film, ovvero il basso americanismo (il mito rurale dei veri valori di provincia che Forrest incarna, l’antintellettualismo del suo essere un idiot savant che riesce nella vita e la forza indomabile dello spirito nazionalista) come anche la fissazione dello stupore tecnologico (per l’epoca) di mettere Tom Hanks nella stessa inquadratura di Kennedy e John Lennon. Infatti, mentre quest’ultima idea, come tutte le trovate tecnologiche, è stata superata brillantemente da No di Pablo Larrain (che, invece di adattare le immagini vecchie al video moderno, “invecchia” le riprese di ora per renderle indistinguibili da quelle di repertorio così che sia impossibile dire cosa sia uno e cosa l’altro), il principio che Forrest Gump ha portato al cinema rimane quello imperante: tramandare la storia degli uomini e non quella delle società.

Il ribaltamento è decisivo, perchè sposta l’asse da quello che era il vecchio cinema didattico, che tramandava nelle sue storie delle informazioni, che voleva educare sui fatti storici e insegnare qualcosa alle persone, a quello che aveva cominciato a fare Lucas con American Graffiti e aveva proseguito Bogdanovich con L’ultimo spettacolo, cioè il cinema di costume, restio ad insegnare nozioni e concentrato a raccontare prima di tutto una storia.

Perchè da sempre le cose che si imparano dal cinema non sono quelle che vengono affermate esplicitamente ma quelle che è possibile desumere autonomamente dalla storia narrata.