Non era molto attivo negli ultimi anni Harold Ramis (morto oggi a 69 anni), più che altro produttore, sempre con un piede nella tv, munifico di cammeo presso registi che lo tengono in palmo di mano e scrivono materiale che si ciba e rivomita tutto quel che Ramis e la sua generazione ha prodotto. Tuttavia nessuno come questo attore, scrittore e regista ha saputo essere testimone invisibile degli ultimi 30 anni di Hollywood mettendosi raramente in primo piano eppure prendendo parte, attivamente o meno, a quasi tutte le fasi più importanti del cinema comico e di commedia statunitense.

Esiste una forma di commedia quasi eterna, che è quella classica, spesso commerciale, molto prevedibile, raramente divertente. E poi esiste la commedia che faceva Harold Ramis, quella dei comici stralunati, delle gag che non sembrano tali, degli attori imprevedibili e dalle trame intriganti. Per più 30 anni ha segnato in un modo o nell’altro quel tipo di strada.

The National Lampoon Years

Dopo un inizio simile a quello di Woody Allen come joke editor, cioè il responsabile delle battute e delle gag (su Playboy), Harold Ramis è stato letteralmente portato di peso da Chicago a New York assieme a Bill Murray da John Belushi, con cui già collaboravano nell’Illinois, per condurre il programma radiofonico National Lampoon’s Radio Hour. Era il 1973, da quel momento cominciò a diventare autore, scrivendo anche per la televisione fino a ideare la sceneggiatura di National Lampoon’s Animal House (ovvero Animal House, il film di John Landis), vero travaso filmico della comicità prima aveva orbitato attorno a tutto quello che era brandizzato National Lampoon (oltre alla radio anche tv e riviste di carta), unito ad una forma inedita di culto del corpo comico. Ovviamente centrato su Belushi.

Era protagonista attivo di una vera rivoluzione del linguaggio comico: politico come era già stato in passato ma con atteggiamento diverso, fisico come era già stato ma con una forza e una spregiudicatezza decisamente diverse. Anche il Saturday Night Live si dovette ispirare per quelle gag esagerate con Belushi o quelle silenziose di Bill Murray, per l’umorismo verbale di Dan Aykroyd e quello sottile di Cheavy Chase. Harold Ramis scriveva tutto per tutti.

Il successo di Animal House gli consentì di realizzare Palla da golf e scrivere Polpette, film di buon successo, centrati su Cheavy Chase ma soprattutto meritevoli di aver fatto esordire al cinema Bill Murray (addirittura come protagonista), evento che oggi possiamo identificare come pietra miliare del cinema americano fuori dagli schemi.

Nel 1983 chiude quest’era della sua vita dirigendo il suo primo film, per l’appunto National Lampoon Vacation, che gli dà la possibilità di collaborare con un altro immenso talento, John Hughes, il re delle commedie adolescenziali sofisticate di quel decennio. Anche lì Harold Ramis c’era.

I Ghostbusters

Come ben sappiamo il momento centrale della sua vita professionale è Ghostbusters, esplosione commerciale di quel gruppo di attori e autori ma anche loro ultimo grande fuoco tutti insieme.

In quel momento Harold Ramis porta al grande pubblico e rende commerciale un tipo di umorismo che, sebbene di grande successo, in passato era relegato ad una fetta di pubblico molto giovane e molto acculturata, risate dai riferimenti sottili anche quando grossolana.

Ghostbusters lavora sul lato infantile, elevando la materia per ragazzi allo statuto di fantascienza, partendo dal cinema adolescenziale per arrivare più in alto a furia di ritmo, trovate e regia che non associa mai alle macchiette dei personaggi una messa in scena esagerata ma anzi sceglie una strana e funzionale sobrietà (grazie Ivan Reitman!).

Sono gli anni ‘80, quelli in cui il cinema per ragazzi è il più forte di tutti, e Ramis scriverà anche A scuola con papà, Pazzi da legare e Due palle in buca senza raggiungere mai la medesima perfezione.

Nella fine di quella decade arriva Ghostbusters II, considerato da tutti quelli che l’hanno fatto un vero disastro (motivo per il quale non si è mai concretizzato un terzo episodio) ma in realtà amato lo stesso dal pubblico.

 

 

La metafisica

Altro decennio altro mutamento del cinema di commedia che Ramis testimonia e influenza.

Negli anni ‘90 quelli che con lui erano diventati grandi si perdono. Dan Aykroyd, Ivan Reitman, Cheavy Chase e via dicendo non riescono a trovare un’altra dimensione in quello che è uno scenario cinematografico mutato.

Ramis è l’unico che sterza con decisione e persegue di nuovo una strada personale, portando nella sua nuova avventura anche Bill Murray, di fatto stravolgendogli la carriera (in meglio). E’ Ricomincio da capo nel 1993 che segna un nuovo punto d’approdo per chi non si arrende all’idea di commedia mainstream. La storia è arcinota: Harold Ramis coscrive (adattando un libro) e dirige un delirio metafisico in cui il tempo si dilata in un medesimo spazio, portando Murray a lavorare sulla commedia in maniera inedita, senza gag vere e proprie.

E se non riuscirà a replicare l’esperimento della metafisica con Mi sdoppio in 4, versione che al tempo sostituisce lo spazio nella forma del corpo con Michael Keaton, pochi anni dopo riesce a lanciare la seconda parte della carriera di Robert De Niro (quella autoriflessiva in cui interpreta i personaggi che paiono parodie di quelli per cui è noto), con Terapia e pallottole e il suo seguito Un boss sotto stress.

Verso la fine del decennio partecipa anche come attore a Qualcosa è cambiato, l’ultimo grande successo da botteghino del vecchio leone James L. Brooks.

 

 

La produzione e i cammeo

Negli anni 2000 non sono stati molti i progetti a cui ha lavorato. La sua attività è stata più che altro di produttore.

Tuttavia è riuscito con pregnanza non comune a realizzare un film (dimenticabile) come Anno Uno con uno dei corpi comici più interessanti della sua generazione (Jack Black) e un esponente delle nuove leve (Michael Cera), oltre ad aver partecipato con un piccolo ruolo a Molto incinta di Judd Apatow, il vero erede di quel modo di intendere il cinema e la produzione di commedie che Ramis e Ivan Reitman avevano messo in piedi.

 

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