Penultimo ospite internazionale per questa 47º edizione di Giffoni Film Festival.

Stiamo chiaramente parlando di Bryan Cranston, attore, regista e produttore statunitense che ha raggiunto il suo più grande successo, dopo anni di esperienza nel settore, con il ruolo dell’indimenticabile Walter White, protagonista di Breaking Bad – Reazioni Collaterali.

Vincitore di 4 Emmy, un Golden Globe e persino un Tony Award (per aver interpretato Lyndon Baines Johnson, 36º presidente degli Stati Uniti), al pubblico è noto anche per aver interpretato il ruolo di Hal nella serie Malcolm e quello di Dalton Trumbo nell’omonimo film (che gli ha valso una candidatura all’Oscar come Miglior Attore Protagonista).

Di seguito, come da titolo, vi riportiamo il resoconto della roundtable a lui dedicata.

Qual è stato il segreto di Breaking Bad?
Quello che abbiamo capito negli ultimi 15-20 anni dentro il rapporto tra chi produce e chi recepisce le storie, è il fatto che un personaggio non debba essere amato per forza dallo spettatore. È più interessante che lo spettatore capisca perché un personaggio fa quello che fa come è successo con Walter White in Breaking Bad. È stato un cambiamento fondamentale che ha segnato per sempre la produzione di prodotti audiovisivi soprattutto seriali.

Visto il successo e la popolarità raggiunti, come si sente ad essere percepito come una rockstar?
Se vedo qualcuno con la mia faccia sulla maglietta mi avvicino di nascosto e gli sussurro: “Mi piace la tua maglietta” per poi sgattaiolare via.

Quali sono i film che ti hanno cambiato la vita facendoti innamorare del racconto per immagini?
Il primo ricordo va a un vecchio film con Jane Fonda intitolato Cat Ballou (1965) diretto da Elliot Silverstein. Era una commedia western senza pretese per non dire frivola. I miei genitori stavano divorziando in quegli anni (Cranston è nato nel 1956 quindi all’epoca aveva 9 anni, N.d.R.) e quindi quel tipo di film estremamente leggero era un’evasione per me e mio fratello. Qualsiasi film da vedere al cinema era meglio dell’esperienza che stavamo vivendo dentro casa. Era fondamentale per noi vagare con la mente per due ore per poi tornare a casa. Ecco perché raccontare le storie è per me così importante. Oggi a Giffoni ho detto ai ragazzi che le loro prime memorie sono probabilmente di mamma e papà che gli raccontavano delle storie. Le persone nel mondo pagano per essere vedere ed ascoltare delle storie. È una gioia universale per il genere umano connessa all’analisi e scoperta della vita.

Si sente un mentore per giovani colleghi come James Franco o Aaron Paul? Le piace questo ruolo?
Sì. Sono molto fortunato. So quanto è importante sapere che nonostante la fama che raggiungi, a un certo punto tutto finirà per me e quando accadrà il mio tempo di celebrità sarà giunti a un punto finale e toccherà a qualcun altro continuare. Non è un mio diritto essere famoso, ma un privilegio. Per questo motivo mi sento obbligato ad aiutare una giovane generazione di attori a evitare le trappole e i pericoli di questo mestiere per far realizzare loro quanto siamo fortunati a trovarci in questa posizione.

Quando ti sei innamorato della recitazione?
Ci penso sempre. Sono ancora innamorato. Ci sono cose che mi entusiasmano ancora. Ho saputo a 22 anni che avrei voluto recitare per il resto della mia vita.

Cosa pensi del futuro delle serie tv o del cinema?
Io spero che il cinema non muoia anche se oggi è più facile e naturale vedere film a casa. Inutile negarlo. L’esperienza, però, non è la stessa. Quando ti siedi in una sala piena di persone è qualcosa di diverso. Ho detto ai ragazzi di Giffoni che nel mondo ci sono tante opinioni . La cosa bella dell’arte, però, è che nessuno ha torto o ha ragione. Le nostre riflessioni sono un sentimento e un pensiero. Nessuno ha ragione o torto. Tutti possono avere idee e sentimenti circa un’opera d’arte senza dover lottare per vincere uno sull’altro.

Perché stiamo vivendo una vera e propria età dell’oro della serialità televisiva?
Credo che la storia scelga il medium del momento. Breaking Bad sarebbe stato un film orribile. In sole due ore… come avresti potuto raccontare quella storia? In due ore devi essere veloce. Come per un buon vino, il piacere richiede tempo. La pazienza deve essere qualcosa che dobbiamo consigliare alle giovani generazioni. Le serie tv ti permettono di rallentare al massimo la fruizione di un prodotto audiovisivo per assaporarlo nel dettaglio.

Ha diretto un film 18 anni fa (Last Chance, N.d.R.) e ora sembra sempre più interessato a tornare alla regia? Perché?
Mi piace rischiare. È tipico degli attori. Amo raccontare le storie e a volte sento che una storia è meglio che la racconti da regista piuttosto che da attore.  Devo crederci veramente molto per farlo e non mi interessano minimamente i soldi. A volte lavoro solo per soldi come quando mi chiamano per registrare un voice over. In quel caso leggo la cifra che mi propongo, penso dentro di me: “Veramente????” e poi dico ai miei committenti: “Grazie!”.

Quali serie tv le piacciono?
Non ne vedo molte perché sono troppo impegnato a lavorare e a farle. Attualmente sto producendo quattro show tv. Mi piace molto Better Call Saul, lo spin off di Breaking Bad. Cerco in tutti i modi di dire all’autore Vince Galligan di non dirmi niente sul futuro della serie perché sono molto curioso di vedere come andrà a finire.

Lo sceneggiatore ostracizzato da Hollywood Dalton Trumbo, interpretato da lei in L’Ultima Parola – La Vera Storia di Dalton Trumbo (2015), fu al centro di un burrascoso periodo in cui Hollywood era estremamente organica al governo del paese eccezion fatta per alcuni dissidenti come Trumbo stesso. Ora cosa sta accadendo? Il contrario?
Siamo in un momento di caos. Non solo negli Stati Uniti. C’è nazionalismo in Francia, Germania, Inghilterra e altre nazioni. Vogliono mettere muri e isolarsi. Quando realizzi che il prodotto audiovisivo permette che non ci siano muri, è impossibile tornare indietro alla semplicità di quei giorni di Trumbo in cui effettivamente era possibile vivere isolati gli uni dagli altri. Oggi non possiamo tornare a quegli anni di Guerra Fredda del dopoguerra. Siamo connessi e allacciati ai nostri vicini. Negli Stati Uniti stiamo vivendo una transizione e questo momento passerà. Dobbiamo solo allacciare le cinture di sicurezza e sperare per il meglio. Io ancora oggi mi sveglio la mattina e ancora penso: “Come è possibile che Trump sia Presidente?”. Non riflette la maggioranza del paese. Ha vinto solo grazie al sistema di voto che abbiamo e che dovrebbe essere cambiato al più presto.

E Hollywood? È reale questa fortissima contrapposizione che osserviamo dall’Europa?
Siamo in una forte tensione. La gran parte dei creativi della comunità hollywoodiana non ama Trump. È compito degli artisti contrastare l’oppressione e mettersi all’avanguardia di un movimento che contesti qualsiasi tipo di autoritarismo politico. In relazione a questo argomento metterò presto in scena in Inghilterra un’opera a teatro dallo storico testo di Paddy Chayefsky che ispirò Quinto Potere (1976) di Sydney Lumet. Il testo di Chayefsky è stato adattato per la nostra pièce da Lee Hall con Ivo van Hove alla regia. È un’opera che parla della storia del nostro tempo e delle difficoltà che stiamo vivendo.

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