I migliori film italiani visti nel 2021

Annata strana quella del 2021 per il cinema italiano. Per la prima volta abbiamo visto un cospicuo numero di film che cercano una strada commerciale diversa dal solito. Ci sono stati i tentativi meno riusciti di lavorare sul poliziesco come Bastardi a mano armata e ci sono stati alcuni horror interessanti (A Classic Horror Story per poco non è entrato in classifica) ma anche degli esperimenti molto più attraenti e vivaci che mescolano generi e toni come Il mio corpo vi seppellirà (anche questo rimasto fuori classifica per un pelo) fino a postapocalittici e addirittura anche un classico film di pastori e primi novecento che tuttavia ha preso la forma del cinema fantasy. L’impressione è che mentre i cineasti che hanno iniziato a lavorare nel vecchio mondo fatichino a trovare una dimensione per il cinema spettacolare che sia moderna e parli un linguaggio per immagini decente, le nuove leve invece facciano finalmente il lavoro delle nuove leve, cioè arrivino con altre idee invece di imitare i più grandi come è successo per decenni.

La classifica dei migliori film italiani visti nel 2021 (molti dei quali usciranno nel 2022) è stata compilata incrociando preferenze e recensioni dei due critici che scrivono di cinema su Badtaste, Bianca Ferrari e Gabriele Niola, e racconta di uno scenario in cui i film migliori vengono in linea di massima da registi che 10 anni fa non erano in attività.

appunti di un venditore di donne10. Appunti di un venditore di donne

È lo stato italiano! Quello che vogliono se lo prendono”. Nasce così il noir-complottista italiano, con questa battuta che suggella un atteggiamento marcatissimo di profonda fede negli intrighi reali dello stato, del crimine e, nel caso specifico, delle brigate rosse. Nelle tesi cospirazioniste di Appunti di un venditore di donne di Fabio Resinaro non si percepisce mai ironia ma serissima volontà di guardare alle verità non dette. “Quello che non ci hanno mai detto e che hanno fatto alle nostre spalle”, ovvero la materia di cui è fatto il cinema cospirazionista invade il territorio del noir e di colpo sembra che questi due tipi di racconti siano fatti per stare insieme. E bisogna dirlo subito, forte e chiaro: Appunti di un venditore di donne è un gran bel noir.
Non avrà un gran bel titolo. Ma è un bel film.

la terra dei figli9. La terra dei figli

La struttura qui è semplice: un viaggio e una serie di incontri, un road movie da motoscafetto, di chiatta in chiatta, di stabilimento abbandonato in stabilimento abbandonato. Come nel cinema italiano migliore, mentre il viaggio distrae il vero lavoro avviene sullo sfondo e sui comprimari. Claudio CupelliniFilippo Gravino e Guido Iuculano li caratterizzano benissimo, lasciando nell’ombra il protagonista, inconoscibile fino alla fine. Ognuno ha pochi minuti sullo schermo ma è memorabile proprio perché non sono archetipi, alle volte sono personaggi unici, altre si ispirano soltanto agli archetipi per costruire altro. Su tutti spicca un incredibile Valerio Mastandrea, attore resuscitato, che recita con corde mai sentite senza imitare nessuno. Ha un personaggio duro che lui rende il più difficile. Eccezionale in un ruolo piccolo che concentra in sé tutta la tristezza del mondo, lavorando più che altro sul tono di voce. Mutilato nel corpo e dentro, capace di raccontare con quella voce di sofferenze lontane, remote e profonde.

mondocane8. Mondocane

Cosa può fare oggi il cinema italiano dell’eredità, forse già un po’ stanca di sé stessa, del mafia movie italiano contemporaneo? Per esempio, quello che fa Alessandro Celli con Mondocane: ne prende con eleganza e visionaria creatività le suggestioni, le atmosfere, gli elementi ricorrenti (come il tradimento, la scalata sociale, il bivio senza ritorno in cui si sceglie tra bene e male) per poi immetterli in un panorama finalmente nuovo, inedito, immaginario e non solo immaginabile. Il risultato? Sbalorditivo.

legionario action7. Il legionario

Non si può non applaudire di fronte ad un esordio con mano così ferma e soprattutto scritto così bene (da Giuseppe Brigante, Emanuele Mochi oltre dallo stesso Papou a partire dal suo cortometraggio omonimo), in cui l’impressione è che non ci sia un minuto di troppo o uno stacco buttato via, in cui i dialoghi hanno la schietta onestà della lingua realmente parlata e gli intrecci e le svolte fondamentali nel creare l’incastro in cui è preso Ciobar, si presentano con grande naturalezza. Sembra l’ABC ma sappiamo bene che non lo è.
Infine risolvere una storia simile, trovare cioè una chiusa coerente, sensata e non semplicistica al grande showdown finale tra le due anime di Ciobar, è forse la conquista maggiore del film che addirittura sa anche quando chiudere tutto e mettere la parola fine senza odiose code, sottofinali e conclusioni che tirino morali posticce e paternaliste.

a chiara jonas carpignano6. A Chiara

Sarà tuttavia nel finale che Carpignano opera il vero salto in un altro tipo di cinema, scarta anche il coming of age e mostra di essersi mosso in un terreno suo. Partito con una festa che pare esistere a prescindere dal film, A Chiara si chiude con pura scrittura, un dialogo in macchina pieno di doppi livelli di lettura, uno stacco di montaggio perfetto che salta in un altro tempo e addirittura un riflesso nello specchio che mostra non ciò che esiste (fino a quel punto la missione di tutto il cinema di Carpignano) ma ciò che è nella testa e nel futuro della protagonista. Forse A Chiara non chiude solo la trilogia di Gioia Tauro (facendo incontrare alla protagonista i personaggi dei due film precedenti per dichiarare la sua alterità da loro) ma chiude proprio una parte della carriera, appena partita, di Jonas Carpignano e la apre ad un’altra fase.

futura5. Futura

Futura nasce benissimo e nasce da tre filmmaker eccezionali, Alice Rohrwacher, Pietro Marcello e Francesco Munzi, loro tre si dividono i compiti e coprono tutto il territorio spaziando bene tra grandi città e province, tra estrazioni differenti, ambizioni differenti e persone diverse unite solo dall’età. Ma se il progetto era buono, gli eventi lo hanno reso eccezionale. In mezzo alla lavorazione c’è infatti stata la pandemia e come con un twist narrativo improvviso questo ha cambiato tutto nelle vite di tutti. Nelle interviste che vengono dopo il lockdown la visione di futuro non è più la stessa.

piccolo corpo4. Piccolo corpo

Un film fantastico in Italia non si può fare, almeno oggi. Nessuno lo produrrebbe seriamente e forse (chissà) nessuno lo andrebbe a vedere. Invece non è particolarmente complicato farsi produrre un film di pastori sui monti nel primo novecento con una donna protagonista e la morale cattolica ad incombere su tutti. Così per poter fare il primo lo si maschera da secondo. Piccolo corpo è a tutti gli effetti il nostro The Witch (al netto del fatto che non è un horror), cioè un film che spoglia il fantastico di una messa in scena barocca e lo àncora a terra, lo aggancia ad un realismo che trova l’immaginazione sfrenata e l’evocazione fantastica nei veri paesaggi, nei falsi colori (della color correction) e nelle immagini che trasformano il reale in mitologico.

freaks out mazzotta3. Freaks Out

Freaks Out fa tutto quello che i blockbuster americani facevano e hanno smesso di fare. È duro, è violento, è pieno di desiderio sessuale, è sfacciato, libertino e vuole bene a ogni singolo personaggio, nessuno escluso. Anche Max Mazzotta, a cui tocca il ruolo della vita (fino ad ora) e che sembra anche averlo capito chiaramente, avrà un momento di grande umanità nella furia finale. Sono pochi secondi ma più che sufficienti in un film che in più punti ha così tanta fiducia nel pubblico da far avvenire le cose in pochissime inquadrature, e sono pochi secondi che spiegano la capacità di dirigere gli attori di Mainetti. Chi l’avrebbe mai detto che il primo blockbuster fantastico della storia del cinema italiano avrebbe compreso Giorgio Tirabassi in un ruolo cruciale? E invece è una delle scelte di casting migliori.

america latina2. America Latina

Nessun altro in Italia se non i fratelli D’Innocenzo avrebbe potuto fare un film come America Latina. Non solo perché nell’arco di soli tre film sono riusciti a prendere una direzione autoriale così ben definita, che indaga senza alcun timore stilistico o narrativo i non detti della società contemporanea, le sue dinamiche e simboli. Ma, soprattutto, perché America Latina ad oggi risulta come un unicum per la sua capacità essenziale e sofistica di ragionare su quei temi attraverso un linguaggio finemente psicologico. Un linguaggio quasi sperimentale, che non rinuncia né al divismo (Elio Germano) né alla comprensibilità (che è comunque estremamente enigmatica), ma anzi li stressa, li distrugge e poi li ricostruisce fino a ottenere qualcosa di inimitabile: un grande film dei Fratelli D’Innocenzo.

è stata la mano di dio1. È stata la mano di Dio

La formazione di Paolo Sorrentino (che qui si chiama Fabietto) dall’estate in cui si mormora che arriverà forse Maradona, tra chi ci crede e telefonate nella notte, fino all’eiaculazione di questo rapporto, il primo scudetto, è la ricerca di un senso per sé. A dominare è il desiderio sessuale, inappagato ovviamente ma capace di piegare la famiglia e i conoscenti, eppure l’impressione è che quella sia un’illusione. Quel godimento che tutti inseguono, incluso il protagonista, sottende molto altro. Il padre fedifrago in realtà costruisce un amore eccezionale con la madre (e l’idea cinematografica di usare il fischio per richiamarlo come fosse il campanello di Pavlov è inusuale per Sorrentino e fantastica, e che bravi Saponangelo e Servillo a dare la spallata necessaria per sfociare nella tenerezza!) mentre la zia con un corpo troppo attraente che impazzisce sembra Anita Ekberg di La dolce vita, l’ideale irraggiungibile.

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