La presentazione del Festival di Roma ha confermato come le scelte dell’anno scorso, il primo con Muller come direttore, abbiano necessitato di una revisione della missione della manifestazione, ora più orientata verso il pubblico

La chiama “schizofrenia addomesticata ma non domata” la linea guida di questo suo secondo Festival di Roma (l’ottavo dalla fondazione) Marco Muller, il direttore che era venuto dai fasti di otto anni di direzione stellare di Venezia e che ha dovuto, per sua ammissione, rivedere l’approccio al festival romano già dopo il primo anno: “Mi ero tarato sullo standard dei grandi festival internazionali, quindi tutte anteprime mondiali, ma non mi avevano detto invece che dovevo fare, più che un festival, una festa. Bastava saperlo, me l’avessero detto immediatamente l’avrei fatto già l’anno scorso”.

Dunque quest’anno cade la regola dell’accettare solo anteprime mondiali, ovviamente ce ne saranno (per la precisione 18 tra Concorso e Fuori Concorso), ma accanto a molti film visti altrove, c’è anche una pellicola che viene dal Festival di Toronto (solitamente una delle manifestazioni da cui “non prendere” nulla, vista l’estrema vicinanza) assieme alle molte anteprime internazionali e in alcuni casi anche solo europee o la “prima festival”, cioè prima volta ad un festival per un film che è stato presentato ormai in diversi paesi anche d’Europa, del secondo film della saga di Hunger Games (per il quale però sembra saranno presenti accanto al regista anche i tre protagonisti, compresa ovviamente Jennifer Lawrence).

Dunque un festival che cerca di coniugare due anime: “Ci sarà una dose quotidiana, regolare e in alcuni giorni altissima di divismo, accanto alla quale si trova il cinema di tutto il mondo, in alcuni casi anche proveniente da luoghi remoti del pianeta” è la promessa del direttore.

Come noto il festival sarà aperto da L’ultima ruota del carro, la nuova commedia di Giovanni Veronesi con Ricky Memphis e Elio Germano (anima popolare) e sarà chiuso da Sou Duk (The White Storm) di Benny Chan “il film di più alto budget della stagione cinese, pieno dei divi di quel paese che racconta di poliziotti cinesi all’estero” (anima ricercata e cosmopolita).

Ci sarà un premio, il Maverick Award, a Tsui Hark (che porta il prequel al suo Detective Dee) e quello alla carriera ad Aleksej Jurevic German, cineasta russo poco conosciuto, nonchè defunto, che il festival ha intenzione di far scoprire a tutti.

Quindi le sezioni di Concorso (giudicato dalla giuria presieduta da James Gray) e Fuori Concorso presentano diversi film italiani, americani e di tutto il mondo, molti dei quali con un numero importante di divi sulla cui presenza però il direttore non si sbilancia: “Saranno le rispettive distribuzioni a farci sapere chi verrà e chi no”.

Per fare un po’ di namedropping sappiamo che vedremo Her di Spike Jonze (con Joaquin Phoenix, Rooney Mara, Amy Adams, Olivia Wilde e Scarlett Johansson), Dallas Buyer Club (con Matthew McConaughey e Jennifer Garner), Gods Behaving Badly (con Christopher Walken, Sharon Stone, Alicia Silverstone e John Turturro), il nuovo film di Isabel Coixet, Mogura No Uta di Takashi Miike, Out of the furnace (con Christian Bale, Forest Whitaker, Casey Affleck, Woody Harrelson, Zoe Saldana e Sam Shepard), Seventh Code di Kyoshi Kurosawa, Witching & Bitching di Alex de la Iglesia e The snowpiercer di Bong Joon-Ho (con Tilda Swinton, Chris Evans, Ed Harris e Jamie Bell).

La chicca pare essere la prima mondiale di Cavalcanti, cortometraggio di 8 minuti di Wes Anderson.

Per quanto riguarda il cinema italiano “abbiamo puntato su quella parte della nostra produzione che si rinnova e ripensa i generi del cinema”, ci sono infatti 3 lungometraggi nel concorso che affrontano in maniere differenti e personali alcuni aspetti tipici del cinema. C’è Guido Lombardi che con Take Five ha ideato un poliziesco malinconico, un thriller venato di commedia e astmosfera crepuscolare, c’è TIR di Fasulo che è un road movie sui camion assieme ad uno dei più grandi attori dei balcani e infine Il corpo estraneo su un uomo che si apre agli altri attraverso una terribile malattia che colpisce il figlio piccolo.

E’ stato rivelato che gli incontri con i grandi registi a cui avrà accesso il pubblico non mancheranno (un classico del festival di Roma), vedremo almeno una masterclass al giorno, delle quali però al momento sono confermate solo quella di Jonathan Demme e quella con Tsui Hark nella quale sarà presente in qualità di intervistatore Olivier Assayas.

C’era insomma molto di non annunciato in questa conferenza e l’impressione è stata che il festival di Roma, anche quest’anno organizzato in meno tempo di quello necessario per questioni politiche (il lavoro vero è partito tra Maggio e Giugno), sarà definito nelle sue minuzie ancora da oggi fino al giorno dell’apertura (di certo sappiamo che un film kazako è ancora in trattativa per il concorso).

E’ chiaro che a fronte dei problemi dell’anno scorso (in cui è crollata l’affluenza e anche il gradimento) la direzione ha rimediato virando su un cinema di appeal maggiore per tutti i tipi di pubblico, sporcandosi le mani quanto necessario con il cinema popolare (che non è mai un difetto) e rinunciando alla missione di scoperta del nuovo da tutto il mondo, forse per costruire un festival di qualità più alta.

A questo link trovate tutti i film in concorso e fuori concorso.