Durante la diretta Cinema e Serie TV con Nonno Alò su Twitch di giovedì pomeriggio, abbiamo avuto ospite nientemeno che Andrea Romeo, CEO e direttore editoriale di I Wonder Pictures, che quest’anno ha festeggiato i 10 anni di vita con una bella vittoria: i 7 premi Oscar a Everywhing Everywhere All At Once (e i 2 a The Whale). Prima di approdare alla distribuzione, è stato tra le altre cose tra i fondatori del Future Film Festival e poi del Biografilmfestival.

Nella lunga chiaccherata con Francesco Alò ha offerto uno sguardo da insider ai meccanismi dietro all’acquisizione di un film come Everything Everywhere All At Once e, poi, un’interpretazione molto interessante (e industriale, come piace a noi) della sua vittoria agli Oscar.

Quand’è che hai incontrato per la prima volta Everything Everywhere All At Once?

Guarda, ho visto un trailer. A24 mi ha chiesto un incontro a Parigi durante le giornate di Unifrance un anno e mezzo fa, era il gennaio 2022. Ho visto un trailer, mi è sembrato geniale. Poi mi hanno mandato il DCP come credo anche ad altri distributori italiani, e mi ha fatto terrore, non ci ho capito niente! Poi figurati, in inglese, mezzo in cinese… cioè, disastro. Sono tornato a casa e ho detto: ho visto qualcosa di pazzesco ma non ci ho capito nulla. Ritmi assurdi, è troppo avanti per me… E mio figlio ha detto: beh, però, da come me ne parli assomiglia a Gumball, il cartone animato. Allora ho detto… aspetta un attimo: forse non sono io il target di questo film! Però, insomma, ci ho dormito sopra… A quel punto credo che tutti gli altri abbiano passato. Una settimana dopo, era sabato… quando tutte le cose della settimana ti tornano in mente… e mi sono svegliato tipo Mia Wallace, con la siringa nel cuore: no cazzo, aspetta, aspetta, lo devo rivedere! Mi sono organizzato una seconda proiezione senza i colleghi, quindi la paura era solo la mia e non c’era una paura condivisa di quelle che rimbalzano e che ti distruggono la proiezione. A quel punto ho detto: è una vera vera cazzata prendere questo film, quindi lo prendo. E l’ho preso. E c’è un universo parallelo in cui non l’ho preso e sto una merda, cioè sono lì sotto il portico con un fiasco, distrutto, dicendo “Ma io lo volevo prendere però!” È terribile questa cosa!

Ce n’è un altro in cui però dici ho visto la mia vita senza EEAAO ed bellissima! Che è una delle battute del personaggio di Evelyn di Michelle Yeoh dentro il film di Daniels! C’è una seconda domanda che chiedo al critico cinematografico e giornalista che eri prima di diventare grande adattatore culturale, distributore e imprenditore. Che cosa cambia dentro l’industria Nordamericana di cinema dopo la vittoria dei 7 Oscar di Everything Everywhere All At Once.

Sempre le stesse cose: qualcosa succede, tutto si riadatta e poi alla fine ci sono… La Warner Bros, la Disney, la Universal! E infatti la Universal farà i prossimi tre film dei Daniels.

Quindi c’è un assorbimento. Cioè: c’è subito una capacità enorme di adattamento, che poi è quello che noi abbiamo sempre amato di quella cultura.

Ma è giusto così: il lavoro di I Wonder è scoprire EEAAO. Il prossimo film dei Daniels lo fa la Universal, e anche quello dopo. È così, è ovvio: è una questione di leve finanziarie, di ruolo, ognuno fa il suo ruolo in un mercato e chiaramente il nostro, che abbiamo 10 anni e siamo del tutto e solo italiani, è quello di scoprire gli indipendenti americani, di stare dietro agli autori che crescono, di capire “What’s Next”. Quando poi un autore o una produzione diventano, come dire, catalogo o diventano uno spazio sullo scaffale già codificato… chiaramente c’è chi ha scaffali più grossi, più solidi, leve finanziarie diverse… per cui è normale. In realtà ti dico anche che, forse, è la cosa che diverte a me e che piace a me, quella di non seguire i Daniels che pure seguirò, perché mi sono innamorato di questo produttore Jonathan Wang che è un geniaccio e che è una persona straordinaria… Hai sentito cosa ha detto alla vittoria degli Oscar?

È molto bello il discorso che ha fatto Wang, è molto bello.

“Mio padre non è orgoglioso di me per questo, ma è orgoglioso di me perché ho rispettato la regola che lui mi ha insegnato, e cioè che le persone e i professionisti con cui lavoro vengono prima del business”. Porca vacca! Non avevo mai sentito una cosa del genere, neanche pensata, a Hollywood. È molto, molto interessante il modello anche di apertura, di libertà creativa che lui ha dato ai Daniels… Probabilmente avrebbe potuto fare un film più perfetto, ma forse non altrettanto vitale. Ecco, chiunque di noi avrebbe tagliato 20 minuti, diciamo la verità. Potendo suggerire ai Daniels 40 minuti di meno… e invece no, ha fatto un’opera assolutamente perfetta nella sua imperfezione, assolutamente di ricerca, assolutamente eccessiva… e però è proprio questo che lo ha reso un fuori formato, che ha reso – in un momento di prodotti appunto molto da scaffale, molto precisi, molto pensati e marketizzati – questa questa follia alla fine ha preso tutto.

Si diceva qualche anno fa che il film medio, da budget medio, fosse morto a Hollywood. C’era o il film da 200 milioni o da un milione: o Blair Witch o Avatar. Adesso Everything ritorna al concetto di film medio, a un budget che per noi europei è altissimo… È stato anche un Oscar molto interessante sul fronte dei budget, secondo me: 20 milioni di euro, budget da fonte accertata, per Niente di nuovo sul fronte occidentale – e sembra un film molto ricco. 30 milioni di dollari circa il budget dei Daniels – sembra un film molto ricco. Che ne pensi di questo aspetto?

Mah, guarda, in realtà già il modo in cui Daniels fanno cinema è assolutamente astuto dal punto di vista delle soluzioni e delle invenzioni. Lo vedi che certe cose sono fatte con molto poco, ma con tanto. È quello che ha detto Spielberg a Berlino: sono sono divertito e stimolato da questi giovani autori, parlando dei Daniels, peraltro gesto di rewarding straordinario all’interno del suo discorso per il premio alla carriera. Mi ha deliziato, questo accenno di Spielberg, che però gli ha consentito di non passare… di passare da vincitore anche alla vittoria dei Daniels. Quindi questo rewarding americano bisogna che lo impariamo, perché è molto, molto da fair play e fa bene al passaggio tra le generazioni.

everything everywhere all at once sag awards
Il cast di Everything Everywhere All At Once ai SAG Awards

Beh, al David di Donatello non le vediamo queste scene.

No ma è proprio che non fa parte della nostra cultura: sono protestanti, noi siamo cattolici. E quindi sì, dal mio punto è un unicum. Quello che credo interessante è che i Daniels non hanno avuto un budget medio, hanno avuto un budget piccolo, perché per gli standard americani quello è un budget piccolo, io ricordavo 16 milioni di dollari, che è un budget veramente piccolo. Quello di The Whale ancora di più, per un autore come quello, poi. Ritengo che possa stimolare molti giovani produttori o produttori coraggiosi a dare grande libertà creativa, perché non si sa mai. Ecco, in questo momento i capitali dell’Entertainment, secondo me… Chissà quante schifezze ci toccherà vedere a causa di questo! Saranno disponibili a tentativi, cosa che non succede spesso. Questo riapre una stagione di tentativi, con il rischio che in realtà 10, 20 produttori pensino di aver trovato i nuovi Daniels che poi invece sono noiosissimi e non ne vale veramente la pena. Però magari, invece, dà ad altri autori la possibilità di esprimersi. E ti dirò che, invece, il film Ari Aster – di cui ovviamente non posso dire nulla – però cavolo, anche lì, in termini di libertà creativa, ce n’è. Cioè… A24 sta un po’ alzando l’asticella rispetto alla valorizzazione degli autori della loro visione della realtà.

Andrea non lo dovevi fare, il nome di Ari Aster, perché è già un nome molto forte per l’Oscar 2024! Quindi non me lo dovevi dire, perché io già ho capito che tu sai tutto…

Perché dici che è un nome molto forte?

Perché è uno dei nomi di cui si parla tra noi pazzi che stiamo già facendo le proiezioni del 2024. Io mi sto già chiedendo: ce la faremo, forse, con Garrone? Però sai, Ridley Scott con Joaquin Phoenix, Barbie, Jonathan Majors che al Sundance ha spaccato e potrebbe essere migliore attore – mi sembra che su Majors si stia costruendo, come su Paul Mescal, una strada verso il successo… Zendaya che punta all’Oscar con Guadagnino… Questi sono i film di cui già si parla, e guarda che di Ari Aster si parla, anche perché è da Jordan Peele, da Get Out, che l’horror si fa strada agli Oscar… E potrebbe essere il momento del cosiddetto elevated horror, di cui si parla molto a Hollywood. Manca lui come tassello, eh, manca la glorificazione dopo Jordan Peele di un altro astro nascente, dopo che Robert Eggers non è entrato in questo agone con Northman. Sai che sono i tre cocchi dell’arthouse horror… […] Intanto chiarisco sul budget, effettivamente è oscillante: dalle fonti che abbiamo si va da questo inizio di 16 milioni per EEAAO a un 24/25, quindi sì, forse la media potrebbe essere sui 19/20. Insomma stiamo in quel range lì. Ultima domanda, se posso: pensi che la componente etnica sia stata essenziale per il successo di Everything Everywhere All At Once? Mi spiego meglio: un film così folle in questo range di budget, sui 19 diciamo, che però sia incentrato su noi orribili caucasici, dominatori del tempo del racconto e della narrativa audiovisiva, avrebbe potuto avere questa spinta agli occhi di un’Academy sempre più giovane e più multietnica di questi ultimi anni?

Ti inverto la domanda: tu pensi che, tra quanti votano all’Oscar, per quanto come tu sai la presidente degli Oscar sia asiatica (ma che che comunque vota come uno solo)… Comunque, tra quei 10.000 pensi ci siano un po’ di asiatici in più – vogliamo dire 700? Vogliamo dire 400? Non lo so, non credo 1000… Tu pensi che abbia contato di più il pacchetto di voti asiatici o il pacchetto di voti Universal?

Non quello asiatico.

Secondo me l’alleanza con Universal del produttore di EEAAO, il consegnare questi due autori per tre film alla Universal dopo A24, è un elemento fondamentale del Plebiscito Oscar. Molto astuto, molto astuto. E francamente… capisco benissimo i colleghi che non hanno amato il film (se facciamo la partita di calcetto critici per EEAAO contro critici per Pulp Fiction io lascio il portafoglio dall’altra parte ma gioco con Pulp Fiction, ovviamente, per generazione e per militanza critica). Però… sono stati molto violenti sul film. Li trovo abbastanza… Boh, non lo so, come si fa a dire a un attore che ha vinto “Hai vinto perché sei asiatico”? A me sembra un po’ brutto. Peraltro non è vero, basta guardare un po’ più in là: casomai, hai vinto perché il prossimo film loro lo fanno con la Universal.

everything everywhere Daniels
I Daniels

Molto interessante. La mia domanda non era tanto per questo presunto strapotere degli asiatici che “invadono” l’Academy. Era su questa peculiarità etnica, dal punto di vista non solo asiatico.

Sì, ma diciamoci una cosa: in Italia, di come funzionano gli Oscar, non si capisce nulla. Nel senso che tutti i colleghi scrivono come se si trattasse della giuria di un festival, sembra che ci siano 10.000 persone che si mettono a discutere tipo in consiglio di condominio: “È l’anno che dobbiamo fare vincere gli asiatici”. Ma non lo sanno, manco si conoscono tra loro! C’hanno dai 22 ai 90 anni, sono là da soli, davanti alla postazione, e votano. Votano a seconda della loro famiglia hollywoodiana.. Spielberg, Zemeckis, Clint Eastwood… Warner, Universal… Poi Miramax, quando c’era Miramax, faceva un altro gioco. Ma insommma, magari votano un pochino di appartenenza, e sicuramente se si può dire che ci sono delle preparazioni, ci sono attraverso i festival. Cioè: non è un caso che ci sia stato, a Telluride, un giorno di celebrazione di Cate Blanchett con Tár e il giorno dopo, che non c’entrava niente, perché il film era uscito da 6 mesi, un giorno di celebrazione di Michelle Yeoh. Telluride fa, il giorno della festa dell’Academy, la celebrazione di Michelle Yeoh: vuol dire che si è deciso che c’è un gruppo di sostegno per la nomination di Michelle Yeoh. Purtroppo da qui il racconto degli Stati Uniti si fa fatica a farlo, e per esempio Telluride è un posto centrale in questo senso. Ricordo qualche anno fa per Parasite: scrissi agli amici di Academy Two da Telluride, dove ero a 2.600 metri di altezza e mi trovavo davanti al regista di Parasite, e ho visto lo schieramento che c’era in sala, al Werner Herzog Theater: 900 persone… ma votavano in 600 all’Academy! Ed è lì che capisci che c’è un allineamento: a Telluride è entrato Danny Boyle con un film, The Millionaire. Una Major lo distribuisce in America, l’altra si prende il resto del mondo… E a quel punto si dicono: dai, bello, facciamogli vincere l’Oscar! I festival sono un tipo di operazioni di comunicazione: il Sundance, il South by Southwest… che peraltro è un festival molto importante che da noi nessuno si fila, dove è stato presentato in anteprima mondiale un film intitolato Everything Everywhere All At Once… Insomma basta, non mi va neanche di sentirne parlare di persone nere, gialle… Cioè basta, basta, basta sui generi, basta su queste cose: non si può scrivere così, basta, ormai siamo veramente da un’altra parte. Mi dici, allora, perché Jamie Lee Curtis ha vinto? Semmai per i voti della Universal! E perché il film è piaciuto, è piaciuto a tutti: non ha vinto solo gli Oscar, è piaciuto ai Critics Choice Award. Il film, in America, è piaciuto veramente a tutti! E tra i critici italiani, ognuno non lo ha amato a modo suo. Poi figurati, ho specificato anch’io che il ritmo di questo film mi devasta il cervello, in quanto cinefilo di una certa età. Però è figo, dai, e le ragazze hanno voglia di vederlo! Ieri sera al Citylife Anteo c’erano 880 persone: sembra Natale, e noi ovviamente siamo veramente felici.

Trovate tutte le notizie su Everything Everywhere All At Once nella nostra scheda.

Oscar 2024: link utili

Classifiche consigliate