Intervista a Jonas Carpignano

Adesso dovrei fare gli Avengers, con tutti i personaggi dei miei tre film girati a Gioia Tauro insieme. Facciamo i miliardi e chiudiamo” scherza Jonas Carpignano, sul fatto che A Chiara suo terzo film girato a Gioia Tauro contiene anche i protagonisti dei primi due Mediterranea e A Ciambra, come se fosse tutto parte di un Gioia Tauro Cinematic Universe. Tre film presentati sempre a Cannes, tre film che hanno imposto uno stile nel mondo (il secondo era prodotto anche da Martin Scorsese) e che ora è come se si chiudessero con A Chiara: “Vorrei staccarmi da Gioia Tauro e fare altro, ma di certo se ci dovessi tornare queste persone ci sarebbero. Magari sarebbe bello allargare l’universo narrativo e vedere ad esempio tra qualche anno come sta crescendo Chiara”.

Più Antoine Doinel che Tony Stark, A Chiara è alla Quinzaine quest’anno e al semidocumentarismo dei film precedenti aggiunge uno svolgimento più lineare, un intreccio e una risoluzione inattesi e rinfrescanti. Carpignano è arrivato con tutta la delegazione, inclusa la protagonista Swami Rotolo alla mini conferenza con la stampa italiana e sembra non essere cambiato di una virgola da quando presentava Mediterranea.

Hai voluto che questo terzo film fosse più convenzionale?

“Era previsto fin dal trattamento. L’importante è sempre fare un film che in un modo o nell’altro rispecchi il mondo che racconta. A Ciambra aveva una struttura caotica perché il mondo che racconta è caotico, Mediterranea invece è molto frammentato perché la percezione della realtà del protagonista è frammentata”.

A Chiara cos’è?

“È un giallo. Chiara cerca di scoprire cosa accade alla sua famiglia. È un elemento che rende sicuramente il film più commerciale e parte dalla protagonista”.

Ad ogni modo i collegamenti ad A Ciambra ci sono, anche al di là della presenza di Pio, il protagonista di quel film.

“Una cosa che li collega molto è che entrambi hanno una cena in famiglia. L’ho capito quando sono andato ad un 18esimo all’Enjoy Burger House e ho visto che è un modo perfetto per spiegare come viva la famiglia. Era la scena della cena di A Ciambra solo un po’ più complessa”.

Era una trilogia prevista così fin dall’inizio?

“No è venuto tutto in maniera spontanea film dopo film. Avevo incontrato tempo fa la famiglia Rotolo e poi mentre facevo A Ciambra la RAI mi chiese un trattamento per il film successivo. L’ho scritto molto in fretta e gliel’ho dato. Così ce l’avevo in testa quando facevo il casting per A Ciambra in cui ho potuto provare come recita Swami. Non glielo dissi all’epoca ma avevo già deciso che se avessi fatto quel trattamento lì lei sarebbe stata Chiara. La conosco da tempo, la incontravo al Gioia Tauro film festival, e nonostante l’abbia vista crescere alla fine non sai mai se abbia voglia di fare un film o no. Infatti all’inizio non voleva, non voleva lavorare anche il sabato sera. È stato necessario un po’ di corteggiamento”.

La storia l’avevi condivisa con gli attori?

“No, il contrario. Nessuno ha avuto il copione completo. Ognuno sapeva solo la parte di storia che il suo personaggio conosce e Chiara riceveva le parti del copione di volta in volta, in modo che non sapesse come sarebbe andata a finire o cosa sarebbe successo e quindi potesse essere sorpresa davvero”.

Quindi hai dovuto girare in senso cronologico tutto il film no?

“Esatto. Infatti abbiamo girato la parte di Urbino alla fine. Lì, a fine lavorazione, per la prima volta ho sentito che avevo davanti una vera attrice professionista. È una scena non facile, ma quando gliel’ho spiegata ho capito che non dovevo fare altro. Mi ha detto “Ok ok ho capito” e si è seduta. La prestazione è da pelle d’oca. Finita la scena me la sono portata via, ci siamo abbracciati e abbiamo pianto”.

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