Al terzo film Jonas Carpignano sfonda nella finzione.
Non che i precedenti fossero documentari ma sia Mediterranea che A Ciambra flirtavano tantissimo con il semi documentarismo e si ponevano a metà tra un racconto artificioso e la documentazione di un ambiente vero. A Chiara, che chiude la trilogia di Gioia Tauro, invece parte con una scena che potrebbe essere uscita da Reality di Matteo Garrone, una festa di compleanno lunga e larga dove la regia non regola tutto ma sembra documentare ciò che avviene che solo in chiusura svela di essere l’attacco di una trama. A partire da quel momento sempre di più il film assume il linguaggio del cinema di finzione puro nonostante attori e luoghi abbiano i volti, i corpi e la desolazione che non appartengono ai film ma vengono dalla realtà.
A Chiara sa insomma essere piacevolmente convenzionale. Ed è una conquista, non un difetto. Una conquista che gli consente di girare il suo film più riuscito in assoluto.
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