Marcel!, la recensione | Cannes 75

Ambiziosissimo e molto desideroso di aderire ad un universo culturale che sta in un passato generico, Marcel! soffoca nella sua pomposità

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Marcel!, l'esordio di Jasmine Trinca presentato a Cannes

Bisognerebbe capirlo già da un artificioso effetto della polvere sulla pellicola, dall’uso di cartelli nello stile del cinema muto e poi dal 4:3 (a dire il vero sempre più usato da moltissimi film italiani, raramente con una ragione reale) che Marcel! ha intenzioni ostili nei confronti di qualsiasi spinta innovatrice sul piano cinematografico e che sogna di essere parte del mondo della produzione culturale che sta in un passato generico che mescola molte epoche. L’idea formale e contenutistica con cui arrivare a tutto ciò però è ben più vaga delle intenzioni.

Eppure Marcel! non è il classico debutto alla regia di chi viene dalla recitazione, cioè non è un film generico di cui sembra non importare davvero nemmeno al regista. È chiaro che Jasmine Trinca in questo suo primo lungometraggio ci crede tantissimo e che nella fattura c’è andata tantissima energia e lavoro. Non solo suo ma anche di chi ha partecipato a partire da Alba Rohrwacher e dal comparto tecnico. Formalmente Marcel! è un film ineccepibile e a tratti pregevolissimo, specie nella fotografia di Daria D’Antonio, che cura benissimo i punti di luce e la morbidezza pittorica dei colori per avvicinarsi ad influenze pittoriche. È semmai nella confusione delle tematiche e nella follia di come sono portate avanti che tutto naufraga.

Al centro ci sono una bambina in un passato recente, una madre artista non proprio come tutte le altre né di facile gestione e il cane Marcel. Tutto è volutamente non consequenziale, si procede per accostamento di momenti diversi con un filo conduttore abbastanza chiaro, ma lo stesso questa giustapposizione non porta ad un vero senso. Ancora peggio le singole scene o meglio i capitoli (come ricorda il film con i suoi cartelli) hanno una pomposità magniloquente che facilmente infastidisce per quanto poi poco ne esca. Il film è convintissimo di essere con entrambi i piedi nel mondo dell’arte più elevata, e anche quando (di frequente) si dimostra ironico tramite un po’ di grottesco non ride mai davvero di questa pomposità, anzi ride del resto del mondo che non comprende la vera cultura.

Carico, espressivo, pieno di rumori forti, trucco pesante e grandi caratteri, Marcel! sembra concepito come un rito magico, come se pronunciando le parole giuste e mettendo insieme quegli elementi che solitamente compongono il cinema d’autore, automaticamente dovesse manifestarsi un contenuto culturalmente potente.

Invece in questa umanità carichissima e sopra le righe, procedendo con questo tono difficilissimo da gestire senza sfociare nell'assoluzione totale delle proprie posizioni e visioni di mondo, si fa fatica a scorgere anche quei temi che è abbastanza evidente il film voglia trattare. Ci dovrebbe essere un discorso sulle trappole e il fascino dell’arte di strada, uno sulla perdita e la sua elaborazione, uno sulla crescita e ovviamente uno sui rapporti con madri non facili. Materiale già non facile per un racconto più ordinario (specie in un primo lungometraggio) che qui si perde totalmente nel disastro delle aspirazioni irraggiungibili e delle ambizioni sovradimensionate.

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