La recensione di Monica di Andrea Pallaoro, in concorso al Festival di Venezia

Si può davvero tenere così poco a dei personaggi dopo aver passato due ore vicino a loro e ai loro drammi? Come è possibile guardare interagire dei personaggi per così tanto tempo e poi non sentire niente per loro? Monica, girato in un inspiegabile 4:3 (quinta o sesta produzione d’autore italiana in questo fermato solo quest’anno, il conto è ormai perduto), è il tipo di film che dà al cinema d’autore una pessima nomea.

Certo, se non altro rispetto ad Hannah (il terribile film precedente), qui c’è un’idea: la storia di una donna trans che sta accanto ad un genitore morente, elaborando ciò che accade ma senza rivelarsi. La madre nei suoi ultimi giorni non sa che Monica è diventata donna, pensa sia una persona che la accudisce. Così, come un’amante che non può amare alla luce del giorno, senza rivelarsi ed in incognito, la protagonista sviluppa quasi un nuovo rapporto con la madre, uno più in armonia con la nu...