American Hustle è su Prime Video

“La più brillante ed esilarante commedia degli ultimi anni”: così il Time descriveva American Hustle nella sua recensione datata 2013. E poi: “la miglior serata al cinema che ho passato quest’anno” stando a Richard Roeper; un film “sfacciato e con una personalità gigantesca” per Christy Lemire. Chi non avesse visto il film di David O. Russell potrebbe, a giudicare da questi brevi estratti critici, approcciarsi alla visione aspettandosi una commedia ridanciana e di buon cuore, magari esagerata e un po’ sopra le righe ma in ultima analisi ricca di vibrazioni positive. In questo pezzo non vogliamo negare che sia possibile ridere di cuore e divertirsi innocentemente con American Hustle; vogliamo piuttosto spiegarvi il motivo per cui la mattina dopo la visione vi siete svegliati con uno strano e inspiegabile senso di amaro in bocca.

La spiegazione è semplice e presto fatta: in ossequio al suo (per una volta azzeccatissimo) sottotitolo italiano, l’apparenza di American Hustle inganna, e la realtà è che il film fa schifo. Non nel senso che è scritto, girato, interpretato, montato male, ovviamente, ma nel senso che è un film nerissimo e cinico come Diogene, che dipinge un mondo nel quale l’innocenza non esiste, come non esistono l’altruismo, l’empatia o il sincero amore. Esiste solo l’attrazione, e la voglia di accumulare – soldi, successo, attenzioni. Vagamente ispirato a una storia vera, ma distorta e piegata alle esigenze narrative di Russell e Warren Singer, più che un film American Hustle è una condanna collettiva, e un modo per metterci in guardia. Contro cosa? Contro tutto e tutti, apparentemente.

 

Jennifer

 

American Hustle è un film nel quale un marito fedifrago abbandona sovente la moglie nevrotica a casa con il figlio per consumare la sua storia d’amore clandestina con la sua amante e partner in crime; insieme, i due estorcono commissioni non rimborsabili per aperture di linee di credito che non avverranno mai, ma che sembrano perfettamente plausibili alle vittime fino a un secondo prima che si accorgano di essere state truffate in maniera perfettamente legale. È anche un film nel quale un agente federale con problemi freudiani che non concepisce di andarsene di casa e continua a vivere con la madre che lo vessa vede, nella succitata amante e partner in crime, non solo un bel paio di gambe ma anche un’occasione di redenzione, e ancora di più, il primo scalino di una scalinata che lo porterà fino al successo e alla fama, anche a costo di infrangere qualche regole.

È un film nel quale l’amore è sempre e comunque una moneta di scambio, o il simbolo di un qualcos’altro tendenzialmente egoistico. L’amore di Irving/Christian Bale per Sydney/Amy Adams è prima di tutto un modo per scappare dalla routine quotidiana alla quale non ha mai provato davvero ad abituarsi; e per converso l’amore di Rosalyn/Jennifer Lawrence per Irving è poco più che un ricatto e un modo come un altro per non restare sola – e l’amore di lui nei suoi confronti è qualcosa che le è dovuto, non che va guadagnato. Anche Richie/Bradley Cooper vede in Sydney una via di fuga, un paio di ali grazie alle quali finalmente spiccare il volo; anche lui, in altre parole, sogna il momento in cui potrà appoggiarle i piedi sulle spalle e lasciarsela dietro.

 

American Hustle gruppo

 

American Hustle è un film la cui parola chiave è “transazionale”. Tutti vogliono qualcosa, nessuno fa nulla gratis e la fiducia reciproca, non importa che si sia già sposati o ci si sia fatti travolgere da un improvviso vento di passioni, ha sempre una data di scadenza che coincide con il momento in cui una delle due parti può spostarsi su qualcosa di meglio. È un film di gente che vuole arrivare, qualsiasi cosa significhi, e che all’inizio sembra capire che il modo migliore per scavalcare un muro in due è darsi una mano a vicenda; ma che con il passare del tempo torna a rinchiudersi nel proprio guscio di sfiducia, e a usare il metaforico cadavere del suo prossimo come un trampolino.

È un film sulle apparenze e su quanto sia facile infrangerle, sfondare la facciata di perfezione e mettere in mostra tutto il brutto che c’è sotto. È un film in cui tutti, Irving, Sydney, Rosalyn, Richie, persino il povero sindaco mafioso Carmine Polito/Jeremy Renner, sono contemporaneamente vittime e carnefici, un film che sembra volerci dire che, a ben guardare, non si salva nessuno. Indiscutibilmente fa anche ridere, ed è animato da uno spirito e da un ritmo selvaggi, funky, quasi settantiani che lo rendono irresistibile. Ma provate ad abbassare un attimo la musica e a guardare meglio tutti quei lustrini e quelle paillettes: non vedete il fango che c’è sotto?

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