Come Terrifier 2 è diventato un successo tra vomito, gore e Stephen King.

Ci sono due cose che contribuiscono al successo a un film horror, e una che porta sia un po’ fortuna e un po’ sfortuna. Le prime due sono la censura, o uno scandalo interessante da raccontare che coinvolga gli organi predisposti al controllo dei contenuti dei film. L’altra è il pubblico che sta male, sviene, ha attacchi di cuore in sala. Se ne era giovato molto Blair Witch Project. Paranormal Activity aveva basato il suo incredibile successo sul claim “il film che ha terrorizzato Spielberg” e su trailer basati sugli spaventi e svenimenti del pubblico filmato con visore notturno in sala. 

Il terzo elemento, quello che può portare bene, ma anche molto male al film, è l’endorsement del maestro dell’horror Stephen King. Lo scrittore è stato capace di prendere grandi cantonate, di sostenere flop clamorosi, ma in qualche caso di catalizzare l’attenzione su opere minori. Nel caso di Terrifier 2 si sono verificati tutti e tre gli eventi. 

Il film, prodotto da Bloody Disgusting insieme alla compagnia Cinedigm e diretto da Damien Leone, è costato 250 mila dollari. Ne ha incassati, fino ad ora, quasi 8 milioni tra lo stupore di tutti,  finanziatori compresi. Il film è nato grazie a una campagna di crowdfunding ed è riuscito a correre al box office grazie al passaparola creatosi per i due motivi sopra citati. Sono stati riportati dai media alcuni casi di malore e di vomito in sala, troppo ghiotti per non essere sfruttati dal marketing di uno gore grindhouse come questo. 

Terrifier 2 non ha ricevuto un rating dalla Motion Picture Association, l’organo di autocensura dell’industria per assegnare le valutazioni contenutistiche dei film. Non avere il loro sigillo ha comportato l’ostilità degli esercenti. Senza una valutazione contenutistica, in pochi sono stati disposti a mettere a disposizione la sala per un minuscolo film dell’orrore. Ma l’avvicinarsi di Halloween e una presenza di horror interiore del 45% rispetto al 2019 hanno permesso a Terrifier 2 di ritagliarsi il suo spazio e di sfruttarlo al meglio.

Già questo poteva considerarsi un successo, dato che il primo Terrier non era riuscito nemmeno ad arrivare al grande schermo. Le terribili gesta del clown Art hanno poi una durata insolita per gli horror: 2 ore e 18 minuti. Lunghissimo, rispetto agli standard. Riuscì comunque ad arrivare in 886 cinema nella prima settimana, incassando 825 mila dollari e ripagando da subito il suo budget. Invece dell’atteso declino della seconda settimana il film riguadagnò terreno in una maniera inaspettata. Una di quelle che accadono ben poche volte nel mercato. Trainato da una scena di tortura gore considerata tra le peggiori viste recentemente (c’è un letto, una donna, arti strappati e tanta sofferenza) Terrifier 2 è diventato imperdibile per gli stomaci forti.

Così, a fronte di una contrazione degli schermi disponibili, scesi a 700, il film superò gli incassi del weekend precedente con 850 mila dollari. Ritornarono allora alcuni schermi e iniziò a spandersi il passaparola, con 2 milioni di incasso nella terza settimana e la vendita dei biglietti in continuo rialzo del 4% nella settimana successiva. Arrivato a 8 milioni si prevede che il film possa incassarne almeno fino a dieci, e chissà, forse anche di più se il fenomeno dovesse continuare ad crescere nella portata virale.

Grazie anche a una ricezione critica generalmente positiva quella di Art il clown è diventata una figura del terrore perfettamente viralizzabile. Derivativo, ma con un pizzico di originalità, estremo in un periodo poco radicale per l’horror. Capace di andare a coprire un buco nella programmazione e a prendersi la sua nicchia. Perfetto per i social, per il passaparola e per le sfide con gli amici per vederlo fino in fondo.

La vicenda di Terrifier 2 può essere quindi analizzata sotto due punti di vista: come il segnale dell’importanza del marketing nel successo di un film in sala. Una disciplina piuttosto trascurata nel periodo post pandemico. Ed è un importante indicatore di come alcune fette ben specifiche di pubblico siano ancora in grado di muovere numeri significativi “adottando” alcuni titoli specifici. Un dato che fa pensare anche rispetto alla tentazione di mettere i film di questo calibro produttivo alla svelta in piattaforma. Costruire un fenomeno, provare a trovare terreno fertile per mettere le radici a un’opera, grande o piccola che sia, conviene a tutti. Crea valore su tutta la filiera, porta introiti e, dato che il cinema è anche arte, permette a un regista con un nome noto ai soli appassionati di provare a lasciare traccia nella cultura popolare.

Fonte: Variety

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