Il matrimonio del mio migliore amico è su Netflix

Il matrimonio del mio migliore amico è, in teoria, una commedia romantica, e quindi, come tutte le commedie romantiche, si regge prima di tutto sulla coppia di protagonisti, sulla loro chimica e sulla capacità di mettere in scena una relazione credibile e che ci porti a fare il tifo per loro e per la loro capacità di gettare proverbialmente il cuore oltre l’ostacolo. Vero? Fino a un certo punto. Perché è vero che le commedie romantiche che si rispettino funzionano anche grazie al cast di contorno, che serve per arricchire e completare la storia e a dare atmosfera. Ma è anche vero che, almeno tra i classici del genere, il film di P.J. Hogan è forse quello che più di tutti funziona soprattutto grazie ai personaggi secondari – che tanto secondari non sono, soprattutto in una romcom così poco tradizionale nel suo sviluppo e conclusione.

Il matrimonio del mio migliore amico e il dilemma del carisma

Prima di parlare bene di altri attori, lasciateci parlare non benissimo di quello che dovrebbe essere uno dei due centri di gravità del film. Se infatti Julia Roberts è una delle regine assolute di questo genere, e anche qui domina la scena pur interpretando un personaggio decisamente più tossico e discutibile della sua media, la sua controparte maschile Dermot Mulroney è… be’, ci spiace usare espressioni forti tipo “un buco nero di carisma”, e Mulroney è comunque un attore navigato con una lunga e soddisfacente carriera alle spalle quindi il talento non gli manca. Però vi sfidiamo ad affermare che non sfiguri assolutamente a fianco della sua co-star e pure del resto del cast.

Julia e coso

In parte è “colpa” della sceneggiatura e della scrittura di Michael in particolare: tra i due protagonisti è quello più passivo, più vittima degli eventi e anche più ignaro delle manipolazioni che lo circondano. È un po’ tonto, insomma, e funge quasi da MacGuffin: Jules Potter decide che lo vuole tutto per sé per nessun motivo valido se non che lo conosce da quasi dieci anni e da quasi dieci anni lo considera il suo migliore amico. E perché i due si sono fatti una promessa: se arrivati a 28 anni saremo tutti e due ancora single, ci sposeremo. Il romanticismo del film sta quindi tutto nella testa di Jules: sappiamo relativamente poco del loro rapporto a parte quello che ci racconta lei (che ripete “è il mio migliore amico!” a chiunque la voglia ascoltare), e anche la decisione di provare a sabotare il matrimonio nasce da una questione di principio più che d’amore – tanto che all’inizio del film scopriamo anche che il loro rapporto si sta un po’ raffreddando a causa della lontananza.

Tutte le giustificazioni di questo mondo, però, non cancellano il fatto che il personaggio di Michael è quello meno scritto e meno sviluppato, e che Dermot Mulroney non fa nulla per attirare l’attenzione su di sé: è chiaro che l’anima del film è Julia Roberts e i suoi goffi tentativi di fermare lo sposalizio. Mulroney esiste per essere adorato (da lei e da Cameron Diaz), ma il film dà per scontato che sia così, e non fa nulla per convincere anche noi a innamorarcene. Anche perché intorno ai due ruotano personaggi decisamente più interessanti.

Il matrimonio del mio migliore amico stadio

Mary e Dylan Dog

A partire dalla teorica villain di turno, Kimberly detta Kimmy, la promessa sposa spuntata dal nulla e che è talmente perfetta da risultare irritante: non solo è bella, brava, intelligente e amata da chiunque, ma è anche un rarissimo esempio di personaggio di romcom che agisce con raziocinio e che soprattutto sa riconoscere i propri errori. Nel 1997 Cameron Diaz non era ancora davvero esplosa, pur avendo fatto girare parecchie teste tre anni prima nel suo debutto assoluto in The Mask. Il matrimonio del mio migliore amico fu il suo vero trampolino verso la fama (nei tre anni successivi sarà in Tutti pazzi per Mary, Cose molto cattive, Essere John Malkovich, Ogni maledetta domenica, Charlie’s Angels…), ed è molto chiaro il perché: scritta per essere un personaggio odiosamente perfetto, finisce per brillare di luce propria e attirare tutta l’empatia che né il suo futuro marito, né tutto sommato la protagonista riescono a calamitare.

Il vero problema per Dermot Mulroney, però, è la presenza di Rupert Everett, che si divora ogni scena nella quale compare e a un certo punto sembra quasi che venga tenuto faticosamente a bada da P.J. Hogan, e fatto uscire temporaneamente di scena per evitare che si rubi tutto il film. Il personaggio di George è quello che si dice larger than life, e non è un caso che nella scena forse più famosa di Il matrimonio del mio migliore amico ci sia lui al centro dell’attenzione, con il povero Michael che se ne sta in disparte un po’ basito. George è la voce della coscienza di Jules, ma è anche uno che capisce che l’amica ha smesso di ragionare razionalmente e decide quindi di rimetterla in riga superandola in quanto a locura. Il film sarebbe suo, se non fosse che in teoria il protagonista sarebbe un altro.

Giamatti

E discorsi analoghi si potrebbero fare per il resto del cast, dalle “gemelle” che fanno da damigelle d’onore a Kimmy passando per i vari genitori, tra i quali spiccano Susan Sullivan (la mamma di Kimmy) e soprattutto quel mito di Michael Emmet Walsh (il padre di Michael). Persino il personaggio assolutamente secondario di “Richard”, fattorino dell’albergo dove alloggia Michael, si becca una scena dedicata e un paio di primissimi piani: trattasi d’altra parte di un ancora poco noto, ma già chiaramente fenomenale, Paul Giamatti. Insomma: Il matrimonio del mio migliore amico è un ecosistema, nel quale si aggira un clamoroso pesce fuor d’acqua (Julia Roberts) che diventa quindi protagonista della vicenda, e nel quale tutti gli altri pesci sono più interessanti di quello che, narrativamente, è al centro di tutte le attenzioni (Dermot Mulroney). Si potrebbe anche sostituirlo con un letterale pesce e il film non perderebbe (quasi) nulla del suo impatto.

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