Gli uffici preposti alle registrazioni dei diritti d’autore stanno ricevendo le prime richieste per opere generate dall’Intelligenza Artificiale. Hanno tra le mani un bel problema: nonostante la tecnologia sia diventata di dominio pubblico solo nel novembre 2022 le cose stanno correndo alla svelta, più veloce di quanto i sindacati che tutelano gli autori siano in grado di discutere, decidere e deliberare. Così da una parte ci sono domande a cui nessuno sa come rispondere, e dall’altra c’è una fretta incredibile per regolamentare l’uso della tecnologia in un contesto audiovisivo già molto teso.

Se è chiaro che la legge sul diritto d’autore protegge solo le opere fatte da esseri umani, tutto diventa più sfumato quando un’opera è realizzata con l’aiuto essenziale di uno strumento artificiale. L’Intelligenza Artificiale può figurare come co-autrice insieme a un umano che ha inserito degli input (il primo atto creativo), ha ricevuto una risposta, e l’ha modificata utilizzandola come fonte o ispirazione (il secondo). 

La fotografia, l’Intelligenza Artificiale e i diritti d’autore

Per capire come mai sia così difficile stilare delle regole chiare, viene in aiuto la fotografia. Per scattare un’immagine si deve allineare il lavoro e l’intuito umano con il funzionamento del dispositivo scelto. Ora, nessuno metterebbe mai in dubbio che questo sia un’attività estremamente dipendente dalla creatività delle persone e solamente resa possibile da un macchinario. Quando una scimmia scattò una fotografia, l’U.S. Copyright Office si rifiutò di riconoscerla protetta dal diritto d’autore in quanto l’animale non è tutelato dalla stessa legge. Insomma: la priorità va data al contributo umano. 

Tenendo ferme queste linee guida, bisogna ora riflettere su cosa sia a livello di copyright, ad esempio, una sceneggiatura solamente assistita da Chat GPT. Ovvero con il programma che riceve gli input ed entra nel processo di creazione solo come una piccola parte di una collaborazione effettiva tra persone e sistemi. Una fonte di ispirazione.

Ora come ora infatti gli sceneggiatori non sono minacciati direttamente nel loro lavoro. Per creare una storia convincente e “vendibile” agli studios serve ancora l’apporto creativo di un esperto che riveda, corregga e modifichi quanto prodotto. Domani potrebbe non essere più così. Per questo serve una regolamentazione rapida e chiara che impedisca, ad esempio, di assumere in futuro persone solo per sistemare il lavoro di un programma, il quale potrebbe figurare come primo sceneggiatore. Di chi sarebbe la paternità?

L’ufficio Copyright degli Stati Uniti è aperto alla tutela dei lavori assistiti dall’IA

L’ultimo pronunciamento dell’ufficio che regola le questioni di diritti d’autore ha aperto la possibilità di riconoscere la protezione alle opere generate tramite l’assistenza dell’Intelligenza Artificiale. Deve esserci però un chiaro contributo da parte dell’artista, una collaborazione effettiva. Inoltre si esclude che un programma possa diventare il detentore del copyright di un’opera da lui prodotta. 

In pratica, ha spiegato l’avvocato di MidJourney Jessica McDonald, si tratta ancora di vedere caso per caso. Il semplice input non può essere abbastanza per ritenere il risultato l’opera di un autore umano. Questo perché, nonostante l’ingegno messo in campo per generare un risultato, è ancora considerabile alla stregua di una serie di istruzioni date a una macchina. È quest’ultima ad essere determinante per il risultato finale, ma non può essere tutelata dalla legge per il copyright.

La Writers Guild of America (WGA) è preoccupata. Come vi abbiamo raccontato nel nostro Podcast il sindacato degli sceneggiatori sta cercando di integrare entro dei limiti contrattuali chiari la possibilità di scrittura dei copioni con l’Intelligenza Artificiale (escludendo quelli fatti solo dall’IA). L’obiettivo è permettere agli autori di consultare strumenti come ChatGPT in fase di scrittura, mantenendo però l’intera paternità dell’opera. Contemporaneamente WGA vuole proibire agli studi di assegnare agli sceneggiatori lavori di adattamento di opere scritte dal programma. 

L’idea è che questi software non siano molto diversi da semplici strumenti di ricerca, quando usati correttamente e non abusati come “scorciatoia”. Fare una domanda a ChatGPT deve essere considerato a livello legale come una ricerca su Wikipedia. Gli sceneggiatori devono poter documentarsi senza paura quindi di incorrere a loro volta in cause di paternità né dagli sviluppatori né da eventuali altri autori il cui lavoro è stato usato come database.

Cosa ha detto la WGA

Così recita una nota della WGA: “l’output non è idoneo per la protezione del copyright né un software di Intelligenza Artificiale può firmare una dichiarazione d’autore. Al contrario, il plagio è una caratteristica del processo di IA”.

In questi giorni fervono le trattative per scongiurare un imminente sciopero degli sceneggiatori. Le questioni sul tavolo sono molte e riguardano soprattutto i contratti. Non è chiaro come risponderà a questa proposta la Alliance of Motion Picture and Television Producers (AMPTP), con cui la WGA sta trattando. Una cosa mette d’accordo entrambi: quello dell’Intelligenza Artificiale è un problema molto urgente nelle rispettive agende.

Fonte: The Hollywood Reporter, 2

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