Mission: Impossible – Protocollo fantasma usciva in Italia dieci anni fa, il 27 gennaio 2012

Nel 2011 la saga di Mission: Impossible sembrava pronta ad andare in pensione. Non che ci fossero chissà che problemi, ma perché, dopo un fiacco terzo capitolo diretto da J.J Abrams, non c’erano grandi idee per ripartire. C’era anche l’apparente problema di Tom Cruise, la cui età avanzava insieme ai numeri posti dopo il titolo (e da lui mai graditi) degli episodi. Oggi si è capito che il tempo per l’attore è relativo, e a 59 anni si trova ancora a fare sfuriate sul set e a fare esplodere cose senza troppi problemi. Il franchise nel 2022 sta benissimo e si è imposto come punta di diamante dell’azione made in Hollywood. Merito di alcuni colpi ben assestati che hanno centrato il bersaglio, primo dei quali scagliato da Brad Bird.

10 anni fa Mission: Impossible – Protocollo fantasma godeva ancora della libertà degli one shot: film tenuti insieme da un debole legame con i precedenti e, fondamentalmente, autoconclusivi. Che roba all’antica, per lo spettatore di oggi. Eppure la soddisfazione di andare in sala e vedere una storia completa, senza cliffhanger finali o post credit, ancora permane. Così Brad Bird subentrò senza troppi problemi e in fretta e furia a J.J. Abrams, impegnato a dirigere Super 8. Nessun dilemma di continuità e nessun universo da impostare. Carta bianca.

Addirittura iniziarono a girare il prologo senza nemmeno avere chiari tutti i principali punti della trama. La produzione scelse il regista, noto per i suoi successi in animazione, e lo buttò nel live action senza timore. Il pensiero di fondo era: “Gli Incredibili è basato sullo spionaggio e sull’azione, prendiamo l’autore e facciamolo giocare. Cosa può andare storto?”. A sorpresa il risultato finale diede ragione a loro, anche se in modo inusuale. Perché Bird in Mission: Impossible – Protocollo fantasma non si nasconde e non si piega. Fa un cartone animato duro e puro anche se con attori in carne ed ossa. Non uno di quelli “contenuti” della Pixar, ma proprio uno esagerato della Looney Tunes. Quelli dove la gravità non esiste fino a che non si guarda giù, o dove si scappa a gambe levate dal terreno che crolla. 

Quasi un cinecomic della Marvel

Bird si appoggia molto alla tendenza dei supereroi di quegli anni e addirittura la anticipa. Alla fine si salva il mondo quando il gruppo di spie riesce a lavorare come una squadra (gli Avengers), il Protocollo Fantasma implica una missione in solitaria rispetto all’IMF (The Winter Soldier). Benji di Simon Pegg porta quell’umorismo che aveva fatto il successo delle prime due fasi dell’MCU e il villain Kurt Hendricks di Michael Nyqvist ha un piano di distruzione e rinascita che piacerebbe a Thanos. L’Agent Carter di Paula Patton non sfigura contro quello di Hayley Atwell. Nonostante questa sua capacità di prevedere (o dettare) la tendenza dei dieci anni successivi, Brad Bird evita di fare uno studio accademico sul genere. Si concentra invece su due poli: la vertigine e l’invecchiamento. 

Mission: Impossible - protocollo fantasma

Quando tutto va alla grande inquadra Cruise e soci come figure perfette in quel luogo e in quel momento. Poi subentra l’intoppo tecnologico che li umilia. Dispositivi troppo acerbi, ancora da collaudare, o uomini e donne d’azione ormai troppo in là con gli anni per usare al meglio le possibilità offerte dai gadget? Non c’è una risposta univoca.

Uomo vs Tecnologia

L’intuizione straordinaria del film è infatti di ribaltare la sicurezza di chi possiede gli ultimi ritrovati tech, spesso deus ex machina che salva dai pericoli o ribalta colpi di scena. Nel cinema del 2012 togliersi una maschera è ormai un espediente noioso. Si è già visto tutto negli anni passati mentre la realtà si sta avvicinando alle fantasie più futuribili. Per il regista più di così non si può andare avanti. Va allora preservata la fallibilità umana, il rischio non può essere abbattuto da travestimenti e armi da super spia.

Così Ethan Hunt si trova a penzolare 500 metri di altezza sul Burj Khalifa appeso con una sola mano. Ha dei guanti che sconfiggono la gravità e lo tengono ancorato al vetro come un Uomo-Ragno. Un malfunzionamento ne mette fuori uso uno di questi. La spia invincibile è così in serio pericolo, tradita dai suoi stessi arnesi da lavoro. Ne uscirà indenne, ovviamente, ma nessuno si fiderà più della strumentazione data dall’IMF.

Pensare che all’inizio si guasta pure il sistema di autodistruzione del telefono che elenca i dettagli della missione! Meglio allora fare le cose a mano, come un tempo, dove l’unica cosa che doveva funzionare era l’affiatamento tra i membri del team obbligato a salvare il mondo.

Con venticinque minuti girati in formato IMAX 70mm, il quarto Mission: Impossible è un film sulla vertigine. Sarebbe piaciuto a Hitchcock? È bello credere di sì. Perché, nonostante la sua plasticità cartoonesca, ricerca l’esperienza dello spaesamento sensoriale. Questo è un cinema delle percezioni, a partire dalla splendida sequenza dello schermo riflettente (fin troppo ovvia metafora dell’illusione della sala). Ethan e Benji si avvicinano alle guardie del Cremlino grazie a un telo collegato a un proiettore e un sensore. Questo scansiona la posizione dell’uomo in fondo al corridoio e adegua l’immagine proiettata alla direzione del suo sguardo. Lo sfondo finto e renderizzato cela ovviamente le due spie che si avvicinano furtive quasi a giocare ad “un, due, tre stella”.

Lo sguardo cede alle immagini inattendibili. Si perdono i punti di riferimento per una vertigine letterale (le grandi altezze affrontate) e oculare. Un’ora dopo infatti il film perde ogni punto di riferimento visivo. Durante una tempesta di sabbia l’inseguimento tra buoni e cattivi si tramuta in una caccia al fantasma. Il sonoro qui fa da padrone. Avvolgente, usa il costante rumore di fondo della sabbia per far tendere le orecchie nel caos. Gli occhi non servono più, Hunt deve seguire l’istinto e il segnale del dispositivo che ha in mano. Si potrà fidare?

protocollo-fantasma

 

Vertigine visiva

La grande scena sull’imponente grattacielo si mangia tutto il resto del film. Simbolo e stunt principale, è pura vertigine visiva. Brad Bird riconosce in Tom Cruise un moderno Harold Lloyd. In Preferisco l’ascensore (Safety last), del 1923 il comico si aggrappava a un orologio sul muro esterno di un palazzo. Cadeva continuamente dalle superfici piane, come l’agente Hunt nella lotta finale al parcheggio di auto. Sono entrambi due artisti circensi, che necessitano di confini dell’inquadratura ampi per compiere i loro prodigi. Un linguaggio fisico che avvicina la risata alla tensione. 

Mission: Impossible – Protocollo fantasma schiva infatti la risata grazie al montaggio serrato e “tensivo”. Sarebbero bastate inquadrature diverse, o una colonna sonora più leggera, per fare emergere tutta la comicità volontaria all’interno del brivido spettacolare. Brad Bird ha fatto così un grande film delle origini. Espressione di un cinema puro in cui l’immagine è intrattenimento che deve stupire, bloccare il fiato dalla meraviglia, e poi sollevare gli animi con una risata.

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