Scommettiamo che, se nel poco ispirato pezzo comico degli Oscar Chris Rock si fosse rivolto a Jada Pinkett Smith dicendole “non vedo l’ora di vederti interpretare Ellen Ripley!” a quest’ora non parleremmo di nessun atto di violenza? Né fisica (quella di Will Smith nei suoi confronti), né verbale (quella che qualcuno attribuisce al comico per avere preso in giro l’alopecia dell’attrice). Perché la scintilla della battuta su Soldato Jane non sta nello sfottò in sé, ma nel fatto che – molto probabilmente – nessuno dei due Smith l’ha visto. Bastavano due ore di film per evitarsi dieci anni di sospensione.

È facile offendersi sentendo quel titolo americano: “G.I Jane“. Così simile alla linea di giocattoli G.I Joe, e così generico, insipido e dal suono simile a uno sfottò. Con le idee commerciali di oggi lo intitolerebbero “una donna forte” o “una donna al comando”. Perché alla fine Ridley Scott ha solo fatto nel 1997 quello che sa fare meglio: creare figure femminili risolute, circondate da uomini e dal peggiore maschilismo, che riescono a ribaltare ogni aspettativa dimostrandosi più dure dei duri.

Nel suo cinema la sopravvivenza non è mai un fatto di cromosomi o di prestanza fisica. È una questione mentale: la risolutezza, la motivazione a non cedere, plasmano il corpo e gli consentono di compiere imprese improbabili, ai limiti di quello che concede la sua struttura. È il pensiero che ti permette di vincere contro la tendenza ad arrenderti. A rialzarsi quando l’istruttore ti insulta… o un comico fa una battuta che non gradisci.

Di cosa parla Soldato Jane?

Demi Moore interpreta Jordan O’Neill, una tenente della Marina, che lavora come analista topografica dopo essere stata messa da parte. Da tempo non va in azione sul campo. Viene selezionata da una senatrice per provare a rivoluzionare il programma di addestramento Navy SEAL: se lei avrà successo, saranno ammesse le donne all’interno aprendo nuove posizioni. Una battaglia femminista, all’apparenza. Il training doveva seguire un doppio standard: ovvero essere condotto con prove facilitate. Jordan non ci sta: differenziare significherebbe ammettere in partenza la sconfitta e annullare il senso dell’intero test: dimostrare l’uguaglianza e gli stessi diritti tra uomini e donne. Decide così di affrontare l’inferno del programma proprio come i suoi commilitoni. Quando la stampa si accorgerà di lei, oltre alla sopravvivenza sul campo si aggiunge la pressione mediatica della sua impresa e il significato che porta con sé.

Soldato Jane è un film che precede i tempi. Nonostante Ridley Scott sia qui ben lontano dalle sue migliori ispirazioni, la pellicola è comunque solida, a patto che si perdonino alcuni passaggi veramente troppo “faciloni”, come i politici doppiogiochisti e la voglia di alzare sempre di più la tensione degli allenamenti perdendo credibilità. Bastava raccontare di una donna che riusciva ad affermarsi in un mondo di uomini come un pugile in un ring non favorevole. Invece il film cade in un clima da post guerra fredda fatto di colpi di scena e grandi poteri forti che muovono le pedine nell’ombra. Rinuncia alla sua identità di film “sportivo” per un complotto piuttosto banale.

 

Soldato jane

Tra sport e guerra

Strutturato come un lunghissimo allenamento, Soldato Jane esprime un cinema durissimo e fisico d’altri tempi di cui si sente parecchio la mancanza. Demi Moore, che figura anche come produttrice, ha vinto un Razzie per la sua interpretazione. Una delle tante stranezze della celebrazione, dato che in realtà la sua performance è piuttosto solida!

La sua è una donna in trasformazione che attraverso il suo corpo (sì anche i capelli) scava e fa emergere un ideale di essere umano quasi vitruviano. Il suo assumere atteggiamenti e una struttura fisica più vicina allo stereotipo macho che a quello femminile non sono da leggersi in chiave conservativa. Cioè: Ridley Scott non dice che per sopravvivere in un mondo maschile bisogna diventare come gli uomini. Semmai fa un discorso cyberpunk.

Ridley Scott non sessualizza. Si eccita piuttosto di fronte alla fatica portata al limite dell’umana sopportazione. La luce esalta i muscoli tesi di Jane come Mamoru Oshii faceva con quelli artificiali di Motoko Kusanagi in Ghost in the Shell. La pelle è solo una corazza che fa anche da prigione a ciò che si è veramente. La soldatessa termina il suo addestramento con un atto di durissima ribellione. Si rialza in piedi dopo essere quasi stata violentata dal suo addestratore. Con la pelle squarciata e il volto sanguinante non ha più l’involucro di donna che la trattiene. La volontà può scorrere libera.

Perché la femminilità in Soldato Jane è un costrutto della società (quanto l’idea di virilità) ordito dalle alte sfere. È un meccanismo di controllo e di mantenimento del potere. “Le femmine stiano al loro posto”, dicono indirettamente i cattivi del film. La prova che Jordan deve affrontare ha un valore altamente simbolico. Lei è messa lì per cambiare tutto perché nulla cambi. Sa che il suo successo va oltre il trionfo personale. Un sentimento che non appartiene ai suoi compagni maschi, che hanno come unico punto di riferimento i propri obiettivi, mai quelli collettivi. Per questo le idee del film sono modernissime. Soprattutto lo è la carica con cui vuole “dire” qualcosa, “spiegare” al proprio pubblico come deve pensare. È retorico? Certo! Ma in fondo è proprio un film sulla retorica. E quanti ne stiamo vedendo ultimamente!

Girare Soldato Jane 

Scott ha preso in prestito da suo fratello Tony alcune inquadrature dei sommergibili scartate da Allarme Rosso insieme evidentemente anche al tono spedito del montaggio. Si racconta che Demi Moore fosse così motivata a girare che cercò senza successo di contattare il presidente Bill Clinton per chiedere al dipartimento della Difesa di contribuire a produrre il film. Tutt’ora ritiene la parte una dei punti più alti della sua carriera.

Non era da sola sul set: Soldato Jane vive dell’ambiguo rapporto tra Jordan e il capo istruttore John James Urgayle. Un Viggo Mortensen, come sempre, in grandissima forma. Si preparò al ruolo secondo un regime diverso dal resto del cast. Parlò a molti SEAL, osservò l’addestramento, attirandosi le antipatie degli altri attori che invece si sottoponevano a lunghe ore di palestra. Una distanza voluta che si vede bene anche sullo schermo.

Sono i piccoli dettagli a rendere il suo personaggio interessante. Sembra attratto dalla donna, a tal punto da violentarla di fronte a tutti, o era solo un atroce gioco mentale per l’addestramento? Resta sottile anche la sua posizione rispetto alle torture che deve imporre ai suoi sottoposti. Come rilevato da Roger Ebert, mentre le truppe soffrono, Urgayle legge con attenzione un libro di J.M. Coetzee, scrittore dissidente sudafricano. Una lettura insolita e non certo tra i testi raccomandati dalla marina. Attraverso le sue citazioni e i poemi da cui attinge, si mostra come un personaggio in bilico tra la follia e la ribellione violenta.

Insomma: c’era da offendersi?

Quello che passa nella testa delle persone prima di andare a tirare uno schiaffo in mondovisione non è dato sapere. Sta di fatto che la battuta, per quanto non riuscita, citava un buon film. Uno di quelli che invecchiano bene con il tempo e che probabilmente all’epoca dell’uscita erano stati giudicati con troppa fretta. Contiene poi un personaggio affascinante, totalmente positivo (come ha cercato di spiegare imbarazzato Chris Rock). 

La cosa più ironica è però il fatto che quello interpretato da Demi Moore è un personaggio che fa di tutto per essere simbolo di resistenza. Di affermazione della personalità femminile, della forza interiore contro le umiliazioni di ogni tipo, anche quelle verbali. Soldato Jane parla di una donna che sta in piedi da sola, che sa rialzarsi. Che si taglia i capelli, pur soffrendone, perché deve e perché dentro di lei c’è molto di più di quello che appare. Ma soprattutto una guerriera che non ha bisogno di nessun uomo che vada a rispondere al fuoco al posto suo.

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