Split è disponibile su Prime Video.

Il primo colpo di scena di Split è che il film è buono, molto buono. Uno shyamalan twist alla sua carriera declinante che, in combinazione con l’interessante The Visit, l’ha riportato ad essere uno dei registi che fanno notizia quando arrivano in sala. Il secondo colpo di scena è quello che si trova all’interno della storia che la sovverte e lavora sul senso stesso del narrare. Ma ci arriveremo. 

Perché Split è a sopresa un film di attori fatto da un regista che normalmente li usa poco, solo in maniera funzionale. Lui ha qualcosa da raccontare e loro sono il suo strumento. La loro posizione è però secondaria rispetto alla messa in scena. Invece in questo caso James McAvoy è lo show, la ragione per comprare un biglietto. Shyamalan si mette a sua disposizione, crea un dispositivo per farlo giocare e lo lascia lì. Una storia originale, materia con cui lavora evidentemente meglio, si veda i disastri de L’ultimo dominatore dell’aria e Old tratti da altre opere. La sceneggiatura è vagamente ispirata a Una stanza piena di gente, il libro di Daniel Keyes che avrebbe dovuto vedere un adattamento cinematografico con protagonista Leonardo DiCaprio nei panni di un uomo con 24 personalità. 

Di cosa parla Split?

Tre ragazze vengono rapite da Kevin, un uomo in cui convivono diverse personalità. Non sanno perché l’abbia fatto né dove si trovino. Una di loro, Casey, capisce che per fuggire dovrà utilizzare il contrasto interno alla psiche in suo favore. Deve farsi accettare dalla maggioranza di chi popola la sua mente, prima che arrivi la bestia, una misteriosa e letale ultima identità.

Split si trasforma come il suo protagonista. Cambia spesso tono pur reggendosi bene insieme. Inizia con una concretezza insolita per il regista, spesso preda di misticismi e con un gran senso dell’ultraterreno. Questa volta gli piace lo sporco, i discorsi pratici su come attenuare la violenza di uno stupro, costruisce l’ansia sullo scricchiolio delle ossa e sui volti inquietanti. Anya Taylor Joy è però una finta “innocente rapita”. Anzi, pian piano da preda cerca di diventare predatrice.

Già da qui si sarebbe dovuto capire cosa è in realtà Split: un’operazione di taglio in piccoli pezzi, singole unità poi rimescolate, delle convenzioni dei generi. Anche Casey quindi muta, cambia pelle insieme al film. Studentessa dal fisico gracile, si scopre essere la perfetta macchina da revenge movie grazie a un passato duro, per poi ritornare vittima in un film che non è più il suo.

Passato un anno da The Witch e replicato il genere con Split la Joy sembrava instradata a diventare la nuova ragazza dell’horror. Invece Shyamalan, come Eggers, ne intuisce il talento, le dà spazio e la fa duettare con McAvoy. Incredibilmente il confronto regge. Una è una performance istrionica, l’altra ben più lineare. I problemi arrivano quando l’equilibrio si rompe, quando l’evoluzione di Kevin supera quella di Casey. Di fatto succede con l’emersione della bestia, la radicale trasformazione fisica che fa perdere ogni plausibilità e quindi scioglie anche la tensione. Il film muore lì, ad un passo dalla grandezza. Quel momento però è necessario per correre verso il secondo, e più importante, colpo di scena.

Il twist di Split

Con la comparsa di Bruce Willis nei panni di David Dunn, Shyamalan per la prima volta fa un twist che non ribalta la sceneggiatura: rovescia il concetto stesso con cui nasce il film. Venduto come opera autonoma è invece uno spin off di Unbreakable. Non si giova delle connessioni illustri, se non dopo avere dimostrato di poter esistere autonomamente. L’inganno è a livello di mondo: non siamo in un universo realistico, ma in uno dove ci sono i supereroi, anche se nascosti, e dove volere è potere. Letteralmente. La volontà plasma l’uomo e gli fa fare cose impossibili. Nel Sesto senso il colpo di scena è che chi crediamo vivo è in realtà morto. In Split è che crediamo di avere visto un thriller e invece è un cinecomic.

Split Film

Questo è lo Shyamalan twist più importante dopo Il sesto senso. Un’atto innovativo e arrogante da parte di un autore che vuole continuare a essere imprevedibile. Lavora così sulle aspettative dello spettatore esterne al film,  quelle del marketing. Sovverte i criteri con cui incaselliamo i prodotti narrativi. Quando si entra in sala si è guidati dalla voglia di vedere non un film, ma un insieme di convenzioni che aiutano a capire che esperienza abbiamo comprato. Invece Split prova a fare una cosa diversa: inserisce un film dentro l’altro come una scatola cinese. Ma il secondo strato è accessibile solo se si è visto il film precedente e si conosce il riferimento. Se non lo si coglie, e quindi non si capisce che il film è legato ad un altro, non cambia nulla nell’esperienza. Nemmeno la Marvel ha mai fatto una cosa del genere.

Come è andata poi? 

Non troppo bene, a dire il vero. Non perché Glass non fosse sufficientemente forte. Era coerente con quanto fatto (e amato dal pubblico) prima. Il problema è stato che il terzo capitolo ha voluto circoscrivere quell’universo in una trilogia. Ha tracciato i confini per dare ordine mentale al racconto e ha così bloccato ogni possibile ulteriore espansione. Ed è un peccato perché l’universo è stato fondato con grande sapienza. Come per il Marvel Studios non sono mai i personaggi la costante, anche per l’Unbreakable Cinematic Universe non è Bruce Willis-David Dunn il catalizzatore. 

A tenere insieme il progetto molto più dei personaggi sono un’idea di cinema e una ben precisa scelta di regia. Cioè l’intuizione di ambientare le vicende in un mondo il più aderente possibile al nostro. Salvo un piccolo dettaglio: la mente può cambiare, la convinzione di essere qualcosa ti può rendere quella cosa. E soprattutto c’è un bilanciamento universale, un equilibrio tra bene e male, in una continua lotta sommersa (e quindi meno costosa da mostrare).

Quello di Split è il secondo colpo di scena più importante della carriera di M.Night Shyamalan dopo Il Sesto Senso. Il primo l’ha lanciato, ma l’ha anche messo in una grande bolla che l’ha danneggiato sul lungo periodo (chi ricorda i titoli altisonanti con paragoni azzardati con altri registi?). Mentre in questo caso il twist ha permesso al regista di riappropriarsi della sua filmografia, di adeguarsi alla strategia contemporanea per capitalizzare i successi passati. Senza farsi troppi problemi si appoggia su uno dei suoi film più amati e decide di fare quello che vuole. Dimostra così che la sua filmografia, anche quella più problematica, non è un caso ma parte di un progetto consapevole.

Allora l’alter ego del regista nel film non è il personaggio che lui interpreta con il suo solito cameo, ma è proprio Kevin. Lui è la perfetta incarnazione della sua produzione cinematografica: un percorso assurdo, fatto di alti e bassi, bene e male e a volte anche molto bene. Shyamalan ci dice che il suo cinema è da vedere come un tutt’uno completo, una bestia difficile da gestire ma, in fondo, frutto esatto (e costruito senza rimorso) della sua volontà.

Split è disponibile su Amazon Prime Video

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