Vi abbiamo già parlato dei progetti di Si Spurrier per il Cavaliere Nero, anche noto come Dane Whitman, il più medievale tra gli eroi della Marvel. King in Black: Black Knight ha fatto mostra di sé lo scorso febbraio negli Stati Uniti, come tie-in dell’evento scritto da Donny Cates, e questo mese ha preso le mosse la serie regolare Black Knight di Spurrier, per le matite di Sergio Dávila.

 

 

Lo sceneggiatore ha detto la sua in merito in un’intervista di cui vi riportiamo i passaggi più significativi.

 

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Spurrier – Il Cavaliere Nero, specialmente Dane Whitman, è passato attraverso un sacco di problemi e di traumi, ma è anche stato nelle mani di narratori molto diversi che si sono approcciati a lui da varie direzioni. Se cerchi di spiegare il personaggio a qualcuno che non lo conosce, fai fatica. Io tendo a essere attratto da queste figure come una falena da una fiamma. Ciò che lo ha definito nel corso degli anni è il gruppo in cui ha militato, la spada che ha alla cinta e la donna che ha avuto al fianco in un certo periodo. E io voglio sapere qualcosa in più di lui, scoprire cosa lo renda così timido nell’avere una propria identità ben definita.

Più o meno, questa è la premessa della storia autoconclusiva che abbiamo raccontato. Non era la prima che avevo in mente quando ho iniziato a scriverla, volevo solo raccontare qualcosa di divertente. Al cuore di King in Black: Black Knight, almeno per me, ho trovato un concetto molto interessante da introdurre, che semplifica e cambia completamente la mitologia attorno ai poteri, alla storia, alle motivazioni e agli scopi del personaggio.

La Spada d’Ebano è sempre stata un pretesto decisamente troppo complicato ed è cambiata milioni di volte. Maledetta o non maledetta? Arriva da Camelot o da Dracula? Noi celebreremo rispettosamente tutto quel che è stato raccontato prima di noi, ma ho trovato un modo per condensare e semplificare le cose. Potremo dire di avere davanti Dane, un eroe davvero incasinato. Ed ecco tutto. Speriamo di aver chiarito tutto questo nel one-shot di King in Black e da qui ripartiamo.

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Il modo più semplice per farvi capire è usare Thor come riferimento. Thor è super forte ed è il Dio del Tuono, ma se scendiamo al suo nucleo è solo un tizio con un martello potentissimo. Quell’artefatto è ciò che lo definisce, il suo totem, e la cosa meravigliosa è che può essere brandito solo da chi ne è degno. Questo ci dice un sacco di cose sul personaggio e sulla sua natura, ha una relazione con la persona e, in un certo modo, è proprio questo che manca al Cavaliere Nero.

Da sempre, è un tizio che viene da una dinastia di Cavalieri Neri. Ci sono stati anche un po’ di cambiamenti, un po’ di rettifiche che lo hanno reso discendente di Artù in persona, o suo nipote, o qualche altra strana eredità di Camelot. Ha al fianco questa spada grandiosa, ma quel che manca è il fatto che a renderlo potente non è solo l’arma in sé, ma la sua identità in relazione all’arma. Noi ci siamo concentrati su questo in maniera abbastanza particolare, molto oscura, un po’ malata. E questo rende il desiderio di Dane Withman di fare del bene piuttosto complicato. Diventa quindi un eroe interessante di per sé, perché fare la cosa giusta gli rende la vita sempre più difficile.

Non voglio che la parte più importante della storia di Dane sia la sua spada, ma che sia un catalizzatore, qualcosa che parla della sua identità e dei personaggi che gli stanno intorno. Quindi, quando lo incontriamo nel one-shot, ha perso la sua arma. Vediamo una battaglia con un drago e, per qualche ragione che non posso rivelare, la cosa più eroica che può fare in quel momento è mollare la spada. Lo vediamo cadere dal cielo e venire raccolto da un’eroina di Shangai. E qui inizia la sua avventura.

Aero è molto interessante perché è un’eroina cinese che però ha una mentalità super eroica da occidentale. Vuole proteggere tutti quelli che ne hanno bisogno e per questo è amatissima dalla gente di Shangai. E tutto funziona piuttosto bene. Sword Master è un personaggio di genere diverso, perché il suo passato ha a che fare con un demone che minaccia di conquistare il mondo e con la perdita di suo padre. Nella vita, per lui, è fondamentale cercare e distruggere il demone per recuperare papà. Fa del bene, nel frattempo, ma ha scopi molto precisi.

 

Anche questi due personaggi, che vedremo nella storia King in Black: Black Knight, si troveranno di fronte alla responsabilità di fare del bene, come il Cavaliere Nero, e alle sue implicazioni.

 

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Spurrier – La serie regolare si apre con gli Avengers a Central Park, in lotta con dei giganti che sembrano fatti di sangue solidificato. Ogni volta che ne schiantano uno, esso si riforma e scivola nuovamente verso di loro. Sono in difficoltà e quindi fanno quel che molti farebbero: chiamano i pezzi grossi. Sono gli Avengers, quindi probabilmente troverebbero il modo di sconfiggere i mostri, ma ci vorrebbe troppo tempo, quindi chiamano aiuto. Per ragioni che non posso spiegare, questo aiuto è il Cavaliere Nero.

Non voglio entrare troppo nei dettagli, ma il dramma sta nel fatto che Dane è stato un Avenger, ha un legame forte con loro e, segretamente, crede di meritare un ruolo centrale nel gruppo. Sa di aver condotto la squadra, in passato, ed ora lo chiamano solo ed esclusivamente per affrontare un determinato tipo di creature. La cosa è deprimente e mette dubbi sulla propria identità, sulla natura dei propri amici, sul proprio valore.

E poi c’è il rapporto con la sua spada, che è un circolo vizioso. In pratica, più lui diventa tenebroso, più essa lo rende un potente guerriero. Un destino orribile in cui però Dane è bloccato. E da qui parte, molto rapidamente la nostra storia, perché gli eventi di Central Park mettono in moto un sacco di macelli in giro per tutto il mondo, che hanno a che fare con la magia del sangue e con la necessità di recuperare altri artefatti, che vengono dallo stesso retaggio della Spada d’Ebano.

Black Knight #1, anteprima 01

Una delle missioni in cui ci imbarcheremo durante la storia esaminerà Camelot e i cicli arturiani dalla prospettiva dell’Universo Marvel. Tutti conosciamo le vicende, ma i miti arturiani non hanno alcun senso dal punto di vista storiografico. Semplicemente, non hanno nessuna parvenza di realismo, si contraddicono a vicenda e non accadono in un contesto spaziale preciso.

La nostra visione dei cavalieri in armatura e dei tornei, delle giostre, è una creazione normanna del Dodicesimo Secolo. Semmai fosse esistita una Camelot, una Tavola Rotonda, un regno unificato durante i secoli suggeriti dai poemi, ovvero tra il Sesto e il Nono, avremmo dovuto vedere guerrieri sassoni, motte e bastioni, torri di legno. Invece, nulla di tutto questo.

 

Ecco perché vedremo una Camelot non molto diversa dalla Manhattan della Marvel, piena di eroi e malvagi, che Spurrier ha potuto cambiare esteticamente in maniera quasi storiografica e fornire di una spiegazione per la sua scomparsa in termini archeologici, che ha a che fare direttamente con la figura del Cavaliere Nero e il suo ruolo nell’epoca moderna.

 

 

 

Fonte: CBR